Welby, l’uomo che scriveva da Dio

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“Ocean Terminal”, romanzo postumo, ricorda Bukowski e Kafka

di Alessandro Litta Modignani

ocean terminal
Piergiorgi Welby, Ocean terminal

C’è molto Bukowski nel romanzo postumo di Piergiorgio Welby, il malato terminale che appellandosi al Presidente Napolitano e scrivendo “Lasciatemi morire”, sconvolse i sonni di politici clericali e alti prelati nell’autunno del 2006.

“Ocean Terminal” (170 pagine, 17,50 euro, Castelvecchi Editore) è un romanzo convulso, allucinato, a tratti schizoide. Il racconto è frammentario e procede a strappi. La prosa è cruda, iper-realistica, spesso violenta e oscena. Non mancano però pagine tenui, riflessive, in cui l’autore abbandona improvvisamente ogni aggressività per scivolare nei ricordi dolci dell’infanzia. Il labile confine fra prosa e poesia spesso è infranto di slancio: interi paragrafi sembrano scritti in versi, rivelando una tecnica di straordinaria potenza narrativa. Le parole che chiudono il romanzo (“Anche il dolore è muto questa notte”) sarebbero state un titolo altrettanto perfetto; e sono un endecasillabo.

Welby ci rimanda dunque a Bukowski – che infatti nel libro è citato quattro volte – ma ancor più a Kafka, in particolare a “La metamorfosi”, cui l’autore dedica un’amara riflessione: “Io sono sempre io e non avrò mai la fortuna di risvegliarmi scarafaggio, verme, grillo, ragno…”. Anche l’allucinato racconto iniziale (una specie di introduzione a sé stante) e molti altri spezzoni del romanzo sono di tipica impronta kafkiana, nel filone classico della letteratura fantastica.

“Ocean Terminal” è un libro autobiografico, ricco di riferimenti filosofici, artistici, religiosi, letterari, cinematografici, a testimonianza della vastissima curiosità intellettuale dell’autore e della sua cultura enciclopedica. Grandi protagonisti sono la droga, il sesso e naturalmente la malattia,. La sofferenza fisica di Welby è all’origine del malessere psicologico ed esistenziale che lo porterà a sprofondare negli abissi della tossicodipendenza. Le corsie d’ospedale, le medicine, le iniezioni, le infermiere sono lo scenario della vita quotidiana. Il bisogno di amare è bruciante e carnale, il desiderio si manifesta in un senso del possesso irrefrenabile e spasmodico.

Alla fine il romanzo resta incompiuto: proprio l’impossibilità di continuare a scrivere, agli inizi del 2006, indurrà Welby alla richiesta di una “morte opportuna”, che otterrà il 20 dicembre grazie all’aiuto di Marco Pannella e di un medico coraggioso, Mario Riccio. Tuttavia il libro assolve alla sua missione, rivelandoci uno scrittore e poeta di eccezionale talento. Ringraziamo dunque ancora una volta Piero Welby: dicendo “amo la vita, voglio l’eutanasia”, egli ha prometeicamente strappato agli Dèi libertà e dignità per gli esseri umani; scrivendo questo romanzo, ha confermato il proprio valore letterario. Era un vero uomo, scriveva da Dio.