Piove, #Governo ladro?

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Mezza Italia è sotto una bomba d’acqua. In Calabria piove da ventiquattro ore e le previsioni meteo non lasciano prevedere miglioramenti per le prossime 24 ore. Le scuole sono chiuse in molti Comuni calabresi: i sindaci, infatti, hanno preferito non rischiare. Giovedì sei novembre, l’ArpaCal, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente calabrese, attraverso il centro funzionale multirischi, con un comunicato a firma dell’ing. Roberta Rotundo, ha diramato a tutte le cinque prefetture calabresi e per conoscenza alla protezione civile nazionale, l’avviso di “criticità per possibili precipitazioni intense” con livello di allerta 2 caratterizzato da ‘criticità elevata’. Tradotto: rischio frane e alluvioni a go-go.
Nella descrizione dello scenario di rischio diramato alle 5 prefetture calabresi e, da queste, a tutti i Comuni, si legge che “Nelle aree a rischio di frana e/o a rischio di inondazione e in particolare in quelle classificate dal PAI (aree a rischio di inondazione, aree di attenzione, zone di attenzione, punti di attenzioe, aree a rischio elevato o molto elevato di frana) sono attese precipitazioni che potrebbero determinare fenomeni di dissesto diffusi e di intensità da media ad elevata”.
E si specifica che, “fenomeni di questo tipo possono costituire pericolo per la incolumità delle persone che si trovano nelle aree a rischio”.
A leggere il comunicato dell’ArpaCal viene spontaneo domandarsi se ‘le persone che si trovano nelle aree a rischio’, quelle, per intenderci, delimitate dal PAI dal 2001 e a cui il comunicato dell’ArpaCal fa esplicito riferimento, sono consapevoli di vivere in aree di rischio o di trovarsi vicini a zone o a specifici punti d’attenzione. E viene da chiedersi pure se per tali zone rese note dall’Autorità di Bacino Regionale a tutti i comuni già dal 2001 con l’invio di mappature del rischio, i sindaci dei comuni interessati abbiano predisposto adeguati sistemi di allerta specifici per avvisare le popolazioni coinvolte del rischio o se, invece, ci si limiti a una generalizzata, seppur doverosa, chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, ogni qual volta che viene diramato l’allerta meteo.
Se le zone, le aree e i punti di attenzione per rischio inondazione e quelle a rischio frana sono state delimitate sulle carte del PAI, perché non si realizza uno specifico sistema di informazione e di allerta per le popolazioni residenti in tali aree? Perché non si effettuano prove di evacuazione periodiche? Ogni volta che una perturbazione si scatena sullo sfasciume pendulo, frane e alluvioni non si contano e, sistematicamente, ci tocca assitere a fatti luttuosi. Fatti luttuosi che presi singolarmente sembrano pochi, ma se si tiene il conto delle vittime negli ultimi cinquanta anni ci si accorge che, per sole frane e alluvioni, quasi tremila persone sono morte. Sfollati centinaia di migliaia di persone e miliardi di euro di danni alle cose. Le persone muoino perché escono per strada, perché passano da un punto d’attenzione non segnalato (ad esempio una strada che interseca un corso d’acqua minore che, però, in occasione delle bombe d’acqua divengono tumultuosi ecc.).
Nelle altre parti del mondo, in queste condizioni, periodicamente si effettuano simulazioni, la popolazione è informata dei rischi e dei comportamenti da tenere nelle verie situazioni di rischio.
In Calabria come nel resto del bel Paese, invece, ci si limita a chiudere le scuole. La gente non ha conoscenza di dove siano le aree di rischio nel proprio comune e i punti di attenzione non sono neanche segnalati.
Mentre scrivo piove. La pioggia continua a cadere in maniera copiosa. Incessantemente batte sui vetri della finestra sospinta da un vento teso e burrascoso di Mezzogiorno che, per il Golfo di Squillace, significa mareggiate che tendono ad impedire il naturale deflusso verso mare dei corsi d’acqua. Ma non sarà come nel 1973 quando precipitazioni abbondanti coinvolsero la fascia ionica ove alla fine si registrarono 1500 mm di pioggia, un valore che uguaglia il valore medio di un anno. Allora innumerevoli furono i crolli e gli allagamenti, per non parlare delle frane che isolarono parecchi Comuni della provincia di Reggio Calabria, obbligando i loro abitanti all’evacuazione. Careri e Bovalino vennero evacuati mentre risultarono sinistrate Catanzaro Lido invasa dalle acque del Fiume Corace e Marina di Gioiosa da quelle di una mareggiata. La storia dei luoghi ci dovrebbe mettere in guardia, ma gli eventi non si ripetono mai uguali, mai negli stessi luoghi.
Quello che come allora si ravvisa, difronte al dissesto idrogeologico nazionale e in particolare di quello della Calabria, è l’erroneo, distorto e speculativo uso del suolo la causa prima dello ‘sfasciume idrogeologico, delle alluvioni, delle frane’. Ricordare le parole di un comunicato del Consiglio Nazionale dei Geologi del 1973 aiuta forse a comprendere meglio:
L’aver sempre trascurato la natura del suolo, la consistenza e la distribuzione delle risorse naturali”, – scrivevano oltre 40 anni fa i geologi – “ha portato a scelte economiche, urbanistiche e di assetto che sono presto entrate in contraddizione con il territorio stesso, innescando quel vasto processo di rigetto le cui manifestazioni più vistose sono appunto frane e alluvioni”.

Come ancora attuali e significative appaiono pure le parole di Alberto Ronchey che nel 1991 dalle colonne di Repubblica sosteneva come, “malgrado lo smisurato debito pubblico nazionale, la spesa pubblica trascura da quaranta anni le opere di prioritaria necessità. Eppure, impegnare più risorse materiali e tecniche per evitare disastri costerebbe di gran lunga meno che riparare e risarcire i danni, migliaia di miliardi l’anno. Troppi ministri e legislatori favoriscono spese anche dissennate, che assicurano immediati vantaggi clientelari o elettorali, mentre non si curano delle opere a utilità differita benché fondamentali e vitali. La loro idea di manutenzione – aggiungeva Ronchey – pare simile a quella che in India ispira gli amministratori discendenti dalla casta dei Marwari, o strozzini: si cambia la corda all’ascensore solo quando s’è spezzata”.
Prevenire sarebbe meglio che curare, e anche più economico.
Allora le parole che forse meglio aiutano a capire a che punto sia la prevenzione idrogeologica in questo Paese, sono ancora una volta i versi di Eugenio Montale:
Piove
non sulla favola bella di lontane stagioni,
ma sulla cartella esattoriale,
Piove su gli ossi di seppia e sulla greppia nazionale
”.