#LaBuonaScuola … che non vorrei

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di Giuseppe Candido

Con lo slogan “professori scelti dei presidi” e “soldi a chi merita”, durante il Consiglio dei Ministri giovedì 12 marzo e relativa conferenza stampa, “la buona scuola” di Renzi ha finalmente visto la “luce” in un disegno di legge. Dopo aver posto in consultazione online un documento di 136 pagine per oltre due mesi, e dopo aver rinunciato a varare la riforma per decreto legge con procedura d’urgenza, adesso il disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri che dovrà essere approvato in Parlamento, è di sole ventidue pagine. E il grande piano d’assunzioni passa da 148.100 precari a poco più di 100mila. Nella conferenza stampa il premier – da grande comunicatore – l’ha definito “una rivoluzione culturale”.

Chiara Saraceno su Repubblica parla persino del “linguaggio”: quello con cui è stato presentato il disegno di legge sulla scuola e che, per la giornalista, “segna senza dubbio un’inversione di tendenza”. E aggiunge: gli insegnanti non saranno più “puniti con stipendi mortificati e bloccati”.

A differenza di quanto previsto inizialmente nella “buona scuola”, il disegno di legge varato giovedì mantiene gli scatti d’anzianità, ma con una cifra aggiuntiva per il merito. Resta però la corsa contro il tempo per garantire le assunzioni dei precari che chiede l’Europa con urgenza ma che rimangono ancorate al provvedimento: “Siamo pronti a correre insieme al parlamento e pronti a sfidare il parlamento: se vogliono fare meglio di noi lo facciano, basta che facciano presto, con il senso dell’urgenza, l’Italia non ha tempo da perdere”, pare abbia dichiarato il premier.

Della riforma della scuola se ne può discutere, per fortuna non si farà il decreto d’urgenza, ma se ne deve discutere senza perdere tempo. Nonostante il Premier si dica ottimista, l’iter parlamentare prevede però il passaggio nelle commissioni di Camera e Senato, poi toccherà al parlamento. E la pausa pasquale accorcerà ulteriormente i tempi già stretti.

Per capire i reali contenuti della riforma abbiamo letto attentamente i 24 articoli in cui è presentato il ddl. 

L’arma di distrazione di massa scelta è quella dei “presidi con più poteri”, cioè dei dirigenti scolastici con le loro funzioni potenziate (e stipendi incrementati), assieme a quella dei 500 euro per i prof per il loro aggiornamento culturale: libri, corsi, teatro … ecc.

Nelle ventidue pagine del disegno di legge articolato in otto capi, benché numerati erroneamente fino al nono (sic!), si torna a mischiare capri e cavoli: l’urgenza dell’assunzione dei precari che impone il diritto europeo con la riforma della scuola, del merito, della valutazione e del loro inquadramento giuridico contrattuale, in un’ottica eccessivamente spinta verso quella aziendale, proprio come se l’istruzione fosse merce.

E i presidi, in attesa che si stabilisca come adeguarne la valutazione, divengono “allenatori di una squadra” di insegnanti che potranno “scegliere” a loro piacimento da un albo.

In pratica, dopo aver fatto la cura dimagrante nel numero di pagine, il disegno di legge sulla scuola presentato rischia di rovinarla una volta per tutte.

Nel II capo del ddl dedicato alla “autonomia scolastica e valorizzazione dell’offerta formativa”, si legge che

“la funzione del dirigente scolastico” viene “rafforzata per garantire una immediata eccellere gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, …”. Si prevedono piani triennali dell’offerta formativa che ogni scuola dovrà redigere, e viene istituito l’organico dell’autonomia “funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali dell’istituzioni scolastiche come emergenti, appunto, dal piano triennale”.

Poi, tra valorizzazione delle competenze linguistiche, di quelle matematico-logiche e scientifiche, di quelle in musica, in arte e nell’italiano, si dice che i dirigenti scolastici “scelgono il personale da assegnare i posti dell’organico dei docenti, con le modalità di cui all’articolo 7”.

E cosa dice questo articolo 7? Per capirlo, da pagina due bisogna saltare a pagina 6 dove compaiono tutte le nuove “competenze del dirigente scolastico”.

Un dirigente a “capo” di una squadra di insegnanti e che, nel ddl, “svolge compiti di gestione direzionale, organizzativa e di coordinamento ed è responsabile delle scelte didattiche, formative e della valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti”. “Propone gli incarichi di docenza” e li attribuisce secondo principi assolutamente discrezionali che potranno anche variare da scuola scuola. Incarichi a docenti di durata triennale ma rinnovabili, ad eterno. In pratica i dirigenti diventeranno dispensatori, a loro piacimento, di incarichi extra e di docenze su posti funzionali.

Un potere che neanche un sindaco ha. E il dirigente potrà persino utilizzare il personale docente di ruolo su classi di concorso diverse da quelle per le quali questo risulta abilitato, purché possegga un titolo di studio valido all’insegnamento di quella disciplina. I dirigenti “potenziati” potranno individuare fino a tre, anziché due, loro collaboratori, e quindi avranno così altri incarichi da assegnare. Tanto si dà forza alle competenze del dirigente scolastico, che se ne leva la retribuzione (sia quella fissa sia quella variabile) aumentando il relativo “fondo unico nazionale” di 12 milioni di euro per il 2015 e 35 milioni di euro l’anno a decorrere dal 2016. 

Mentre sono anni che si tagliano i fondi delle istituzioni scolastiche, e mentre addirittura si proponeva di tagliare gli scatti di anzianità per poter assumere i precari, con questi chiari di luna adesso si innalzano le retribuzioni dei dirigenti scolastici. È anche questa la buona scuola di Renzi. Si elevano le retribuzioni ai dirigenti scolastici, ma non si adeguano quelli dei docenti (poco più di milletrecento euro al mese) che restano assai sotto la media europea. E, sempre per i dirigenti scolastici, in merito alla loro valutazione, “nelle more della televisione” si lascia tutto così com’è.

Ma cosa c’azzecca tutto questo col piano di assunzioni dei precari che chiede l’Europa? Nulla. Ed è per questo, per stravolgere in un’ottica aziendalistica l’intero sistema scolastico senza neanche troppo dibattito, limitando la discussione, che Renzi lega la riforma col piano assunzioni straordinario che trova spazio all’art 8 del provvedimento. Un piano che – ancora una volta – non si capisce perché non lo si faccia con un apposito provvedimento d’urgenza, lasciando fuori il resto e consentendo al Parlamento di discutere temi così importanti e che, di fatto, stravolgeranno il sistema d’Istruzione così come lo conosciamo. Nel disegno di legge non c’è traccia, non c’è un benché minimo rifermento alla Costituzione e agli articoli 33 e 34.

Si danno più poteri ai presidi, se ne aumenta per questo lo stipendio, ma di libertà della scienza e delle arti non v’è traccia.

Nell’articolo 8, però, ci sono i numeri del “piano assunzionale straordinario”. È così che l’hanno chiamato. Piano assunzionale. “Per l’anno scolastico 2015/2016” il MIUR è autorizzato ad attuare il piano di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado”, non per tutti i 148.100 precari inizialmente previsti nella Buona Scuola, ma solo quelli necessari “per la copertura dei posti vacanti disponibili nell’organico dell’autonomia”. Solo per quelli “vacanti e disponibili”, per i quali, cioè, la normativa europea – dopo la recente sentenza dello scorso 26 novembre – non consente più il rinnovo di contratti a tempo determinato oltre i trentasei mesi.

E per ottemperare alle disposizioni europee s’è deciso di stravolgere tutto. Anche se rimangono gli scatti d’anzianità, e anche se si da’ un bonus per l’arricchimento culturale ai docenti e s’introduce un aggiuntivo agli stipendi in base al merito, ma solo per il 20 per cento dei docenti di ruolo, nel complesso il disegno di legge rischia di creare una scuola-azienda assai distante dai principi costituzionali e assai peggiore di quella che conosciamo. Addirittura per decreto del Ministero dell’Istituzione si prevede di individuare “gli obiettivi, la valutazione del grado di raggiungimento degli stessi, le attività formative e i criteri per la valutazione del personale docente ed educativo in periodo di formazione e prova …” e, come fa per una squadra di calcio il commissario tecnico, in caso di valutazione negativa, “il dirigente scolastico provvede alla dispensa dal servizio con effetto immediato, senza obbligo di preavviso”. Nell’articolo 10, in sole dieci righe e tre commi, si liquida la questione della “valorizzazione del merito del personale docente”. 

Presso il MIUR viene istituito (ma solo a decorrere dal 2016) un apposito fondo di (soli) 200 milioni di euro. Il fondo sarà ripartito tra le scuole di ogni ordine e grado in proporzione agli organici, dopodiché (e tanto per cambiare) sarà il dirigente scolastico ad assegnare “annualmente la somma”. 

Come? … 

“Sulla base della valutazione dell’attività didattica in ragione dei risultati ottenuti in termini di qualità d’insegnamento (ma non si capisce come si intenda valutarla), di rendimento scolastico degli alunni e degli studenti, di progettualità nella metodologia didattica utilizzata, di innovatività e di contributo al miglioramento complessivo della scuola”.

Il tutto, in delega, da fare successivamente con decreti legislativi.

C’è però la novità strabiliante, la seconda “arma” di distrazione di massa: “La carta del docente”. 

Per sostenere la formazione continua dei prof viene istituita la Carta del docente che, come si legge, è costituita da un voucher di 500,00 euro per libri, testi scientifici-didattici, eccetera. Ma non si capisce se la prenderanno tutti i docenti o solo quel venti per cento cui è destinato anche il fondo del merito. E non lo si capisce perché si rimanda a un decreto del PDCM di concerto con il MIUR entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del ddl per definire “criteri e le modalità di assegnazione e utilizzo della Carta”. Quello che invece si capisce subito è l’importo totale stanziato sostenere l’aggiornamento delle competenze professionali dei docenti. Tutto per tutto, per l’attuazione del piano di formazione, viene “autorizzata la spesa di 40 milioni annui”. Appena. Mentre il fondo per i dirigenti e le loro retribuzioni cresce di 12 milioni nel 2015 e di 35 milioni di euro l’anno a regime.

Poi, però, c’è un altro fondo per i docenti. Meno male, si dirà. No, perché è quello previsto all’articolo 12: è il fondo per il risarcimento. Un fondo, è scritto testualmente nel ddl, “per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti la reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a 36 mesi, anche non continuativi, su posti vacanti e disponibili”. E sono solo 20 milioni. Dieci per il 2015 e altri dieci per il 2016.

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Articolo di Gianluigi Dotti (Responsabile del “Centro Studi” Gilda insegnanti) sulla riforma della scuola del Governo Renzi

Poi c’è il capitolo delle agevolazioni fiscali. Agevolazioni date anche alle paritarie, ma limitandole a quelle dell’obbligo. E non c’è solo il bonus alle famiglie che iscriveranno i figli alle private. C’è anche un altro aspetto del finanziamento dello Stato alle scuole private. Quello del 5 per mille che potrà essere destinato anche alle paritarie, e quello del credito d’imposta riconosciuto nella misura del 65 percento a chi donerà erogazioni liberali alle istituzioni scolastiche. Anche se private. Il principio costituzionale dice che enti privati possono sì dare servizi d’istruzione ma senza oneri per lo stato. Invece, se con questi chiari di luna le tasse dei privati finiscono per riparare scuole private, è chiaro che si sta tentando di smantellare la scuola pubblica statale. Quella che ha garantito il diritto a tutti all’Istruzione e che oggi qualcuno vorrebbe ridurre a una scuola-azienda. 

Tralasciamo per brevità di occuparci delle fantastiche “scuole innovative”: 20 nuove scuole da costruire una ogni regione e che Renzi sembra regalare quasi come donò in regalo agli italiani le 80 euro al mese. Ma tralasciamo pure l’articolo 19 che si occupa di “misure per la sicurezza e la valorizzazione degli edifici scolastici” e le “indagini diagnostiche su edifici scolastici”. Su questo aspetto dico solo di fare un giro nelle scuole calabresi e che non è più possibile che si lascino scuole medie e scuole elementari coi vetri frangibili e che, chi scrive, da rappresentante dei lavoratori della sicurezza nella scuola in cui insegna, per tre anni non ha mai potuto vedere, pur avendone fatto esplicita richiesta, le certificazioni di idoneità statica di nessuno degli edifici scolastici dell’Istituto in cui è in servizio.

Tralasciamo tutto ciò perché vogliamo soffermarci sulla vera “bomba” contenuta nel disegno di legge: la delega in bianco al governo su ben 14 diversi obiettivi articolati in 63 temi delegati per i quali il governo, dopo l’approvazione, potrà tranquillamente fare i suoi bei decreti legislativi con forza di leggi. “Riordino, adeguamento e semplificazione delle disposizioni legislative e contrattuali in materia di istruzione” è il titolo in cui sono contenute le boriose deleghe in materia d’Istruzione che il Governo intende farsi dare dalle Camere con l’approvazione del ddl.

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Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi

Tutto l’articolo 21, di fatto, è una delega in bianco al Governo su questioni importantissime. “Ampliamento competenze gestionali” delle singole istituzioni scolastiche, “riforma del sistema” per diventare docenti, “riforma” della modalità di assunzione per uniformarla a quella di tutto il pubblico impiego senza minimamente riconoscere la specificità della funzione. Le deleghe sono tantissime ed elencarle tutte è praticamente impossibile. Ce ne una, però, più pericolosa di tutte: quella che al contempo delega il governo alla “creazione” di un nuovo “ruolo unico dei docenti” con la possibilità di utilizzare “criteri di flessibilità all’interno delle classi di concorso” pur di piazzarli e per la “creazione del sistema di scelta del docente da parte del dirigente scolastico, della durata degli incarichi e della possibilità di messa in disponibilità”. Si ridefiniscono così “i ruoli” e, accanto ai “posti comuni” e di “sostegno”, si avranno posti di “organico funzionale” istituendo, di fatto, il ruolo di docenti supplenti o destinati al potenziamento pomeridiano.

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Luigi Einaudi

Ma quello che maggiormente preoccupa sia i docenti sia i sindacati è che se passasse il ddl così com’è, saranno automaticamente cancellate tutte le norme del contratto collettivo nazionale che non piacciono alla buona scuola. Le norme contenute, è scritto testualmente, “sono inderogabili” e, “a decorrere dalla data di entrata in vigore, le norme contenute nei contratti collettivi”, contrastanti col ddl, “sono inefficaci”. Tutto per sposare l’idea (antica e anche superata) della scuola-azienda e di un preside come un “sindaco”. Senza tenere in considerazione che, per i Sindaci ogni cinque anni c’è quantomeno una verifica più o meno libera su ciò che è stato fatto da parte degli elettori e che, soprattuto, dopo dieci anni che si fa il sindaco si diventa non più eleggibili per evitare corruttele ed evitare che la prolungata gestione del potere diventi utile al suo stesso garantirsi e perpetuarsi. Se questa è la buona scuola, non è certo la scuola che vorrei per i miei figli.

Leggi altri articoli sulla scuola oppure scarica il testo del ddl di riforma della scuola pubblicato dal sito OrizzonteScuola.it