Riflessioni su #labuonascuola e ideologia renziana che elimina ultimi presidi di libertà

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di Vito Destito

Riceviamo e pubblichiamo alcune “Controdeduzioni alla proposta di riforma scolastica del governo Renzi” del professor Vito Destito

L’intenzione dichiarata di Renzi, con la sua proposta di riforma della Pubblica Istruzione, è di attribuire al dirigente scolastico la facoltà di “scegliersi la squadra”, cioè di assegnare le cattedre individuando senza vincoli di graduatoria all’interno del cosiddetto organico funzionale quei docenti che, sulla base delle sue valutazioni, gli sembrano più adatti per raggiungere il migliore risultato possibile.. All’interno della P.A. sarebbe l’unica dirigenza in grado di esercitare una tale prerogativa sui sottoposti e i docenti sarebbero gli unici dipendenti pubblici a dover sottostare a un dirigente munito di un così grande potere. Un unicum che, come proverò ad argomentare, si ha intenzione di introdurre proprio nel settore in cui risulterebbe maggiormente dannoso.

Molti docenti si chiedono se, prima di lanciare una simile proposta ad effetto, vi sia stata una seria riflessione su quale sia sempre stata e dovrebbe continuare ad essere la funzione primaria dell’istruzione pubblica. Il nuovo tipo di rapporto tra dirigente e docenti, proposto dal governo Renzi, è in pratica quello proprio delle scuole che hanno una dichiarata finalità educativa di parte. Nelle scuole non statali che intendono offrire un orientamento culturale ben definito, quella prassi appare scontata e funzionale per il fatto che i genitori accettano con piena consapevolezza, alcuni di loro anzi pretendono che i loro figli ricevano quella particolare formazione; i docenti che vi lavorano non possono sentirsi mortificati nella loro professionalità, coartati o censurati, perché si presuppone che siano in piena sintonia con la specifica missione educativa di quelle scuole. Non ho nulla, sia chiaro, contro quel tipo di educazione; vi sono scuole private di prim’ordine, ancorché culturalmente orientate, e la nostra Costituzione garantisce ai genitori, sia pure senza oneri per lo Stato, la libertà di scegliere per i loro figli la scuola che ritengono più confacente al proprio orizzonte valoriale. Per queste stesse ragioni, però, il nuovo tipo di rapporto tra dirigente e docenti, proposto da Renzi, non può funzionare nelle scuole statali, nelle quali non è ammissibile, per definizione, che qualcuno possa avere il potere di imporre un orientamento culturale tendenzioso.

E’ questa l’essenza della libertà di insegnamento sancita e finora garantita dall’art. 33 della nostra Costituzione, quella stessa libertà che, d’altra parte, vincola i docenti al dovere di professare un sapere prospettico, dialogico, critico, pluralistico, resistendo a qualunque tentazione, interiore o ambientale, di indottrinamento tendenzioso, quand’anche tentasse di imporlo una maggioranza all’interno del Collegio dei Docenti (art. 3 comma 2 del D.P.R. 275/99).

Le finalità del sistema di istruzione pubblica sono del tutto inconciliabili con l’idea renziana del “dirigente-allenatore” che, sulla base della sua visione e dei suoi orientamenti, decide chi gioca, chi va in panchina, chi va in tribuna, chi è incedibile e chi deve cercarsi un’altra squadra; i docenti in tal caso sarebbero inevitabilmente indotti ad adeguarsi ai desiderata del capo di turno, con tanti saluti alla libertà di insegnamento e all’autonomia di valutazione.

La continuità didattica e le gerarchie all’interno di ciascuna scuola sarebbero determinate dalla capacità professionale o piuttosto dalla disponibilità ad assecondare l’orientamento del capo? I docenti con la schiena dritta, quelli più portati a dire quel che pensano, di solito i più carismatici e ammirati dagli studenti proprio perché capaci di dare prova di dignità e senso critico, con il nuovo sistema di relazioni all’interno delle scuole non sono forse quelli che più rischierebbero di essere epurati? Se infatti non è impossibile, è quanto meno improbabile che il dirigente plenipotenziario ami circondarsi di docenti che mostrino il coraggio di dissentire e contraddire. Si corre perciò il grave rischio di trasformare il corpo insegnanti in un esercito di soldatini obbedienti che, quand’anche forniti di una buona preparazione, poco di autenticamente educativo avrebbero da trasmettere. Col docente al guinzaglio, si intende forse eliminare uno degli ultimi presidi di libertà?

E’ vero che, dietro le garanzie offerte dal sistema ancora vigente, si può trincerare qualche docente fannullone o incapace di costruire rapporti positivi con gli studenti, ed è per questo che la proposta Renzi riscuote apprezzamento tra il grande pubblico che non ha gli strumenti per misurarne le conseguenze nefaste a medio e a lungo termine.

Ma per rimuovere dalle scuole i pochi sfaccendati o scarsamente vocati, non è necessario né conveniente dotare i dirigenti di un’arma di distruzione di massa; sarebbe sufficiente applicare il metodo della rendicontazione declinato nelle varie leggi sulla trasparenza nella P.A. e già collaudato in tante Nazioni avanzate: si potrebbe rafforzare la disciplina sull’incompatibilità ambientale e attribuire al dirigente scolastico la facoltà non già di scegliere col lanternino i docenti a lui graditi ma, al limite, di imporre il trasferimento al docente che risulti, da prove documentate e diffusamente testimoniate, in stato di grave e continua tensione nei confronti dell’utenza, con la clausola che possa essere assegnato ad altra mansione quel docente che ripetutamente e in diversi ambienti sia incappato in situazioni di incompatibilità.

Nessuno, infatti, sa e può valutare i docenti meglio degli studenti e dei loro genitori; lo sanno bene proprio i dirigenti che di anno in anno, per andare incontro ai desiderata delle famiglie più insistenti, si vedono costretti a distribuire i docenti più bravi su diverse classi di diverse sezioni. Ovunque nel mondo si sia messo in discussione l’idea del posto fisso, della cattedra a vita, il merito dell’insegnante è misurato non ex ante dal dirigente (che, peraltro, mai avrebbe l’onniscienza necessaria a valutare i docenti delle più svariate discipline) ma solo ed esclusivamente ex post, in ragione dei risultati conseguiti sul campo, quindi della considerazione di cui gode presso i suoi studenti e i loro genitori; quei risultati e quella considerazione costituiscono l’unica, insostituibile misura del suo valore.

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P.S.: le negatività della nuova dirigenza proposta da Renzi sarebbero inevitabili anche se i nostri dirigenti scolastici fossero ai livelli di quelli finlandesi o coreani. Si rifletta perciò su quanti altri abusi e distorsioni potrebbero derivare dal fortissimo potere discrezionale che si intende attribuire ai nostri capi d’istituto che certo non sono di eccelso livello. Specie nell’ultimo decennio, infatti, a vincere i concorsi per dirigente scolastico sono stati quasi esclusivamente i docenti meno preparati, quelli che potevano fare affidamento non sui propri meriti, ma solo sul sostegno di politici e sindacalisti. Si consideri la composizione delle commissioni concorsuali nelle ultime due tornate; per poche centinaia di euro e senza l’esonero dall’insegnamento per la durata dei lavori della commissione, è ovvio che si sia reso disponibile a ricoprire l’incarico di presidente o commissario solo chi si è sentito costretto a fare, nel più breve tempo possibile, “il lavoro sporco” per conto degli apparati (nell’ultimo concorso per D.S. il tempo medio di correzione e valutazione per ciascun elaborato è stato inferiore ai 10 minuti). I tanti contenziosi ancora in atto stanno lì a dimostrare il livello di superficialità e opacità di tutta la macchina concorsuale. Nella situazione data, la sacralizzazione dei concorsi, tanto osannati da Renzi, risulta involontariamente comica. Un tempo, quando i componenti delle commissioni erano esonerati dal lavoro e ben remunerati con decine di milioni di vecchie lire e potevano correggere non più di cinque elaborati al giorno, il fatto che, quanto meno per passare il tempo, leggessero le prove, faceva venire loro lo scrupolo di mandare avanti i concorrenti preparati insieme a quelli raccomandati. Ora nei lavori di commissione, dell’elaborato si legge soltanto l’incipit, comunicato sottobanco prima della correzione, per bypassare l’ipocrisia dell’anonimato. Il pubblico concorso in Italia si è così ridotto a una pura formalità, funzionale soltanto a legalizzare i rapporti di forza tra le cordate di potere degli apparati. Visto il livello di corruzione della P.A., che si riproduce per cooptazione attraverso concorsi “farlocchi”, per amor di patria sarebbe il caso, almeno per i concorsi di livello apicale, di bypassare la discrezionalità delle commissioni, affidandosi o a procedure di selezione del tutto oggettive con questionari e problemi da risolvere per via telematica oppure alla collaudata pratica dei concorsi riservati a chi abbia acquisito sul campo una sicura competenza. Poiché, contro il dettato costituzionale, si arriva ai vertici non per merito ma per raccomandazione, gli attuali dirigenti nel migliore dei casi, se non sono anche incompetenti, sono almeno disonesti; per emergere, infatti, si sono quanto meno assoggettati agli apparati che li hanno favoriti. L’Italia non si riprenderà fino a quando al comando della macchina pubblica vi saranno coloro che hanno fatto e continuano a fare carriera in modo disonesto e, da componenti delle commissioni concorsuali, di certo non potranno avere poi il coraggio e l’onestà di favorire il meritevole senza raccomandazione a scapito del raccomandato incompetente.

E Renzi, nonostante il quotidiano stillicidio di casi di corruzione nella P.A., propone di attribuire ancora più poteri a dirigenti di tal fatta!

prof. Vito Destito


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