Palmi, Reggio, Rossano, Vibo e Catanzaro. Ancora tante le criticità riscontrate. Dai detenuti un caloroso “FORZA MARCO”.
a cura di Giuseppe Candido (*)
Dopo il tour natalizio nelle carceri calabresi, venerdì Santo, sabato e domenica di Pasqua, – grazie alle autorizzazioni del Vice Capo del DAP Massimo De Pascalis rilasciate grazie a Rita Bernardini che, intanto, visitava le carceri abruzzesi, – in Calabria, una delegazione del Partito Radicale Nonviolento ha effettuato visite ispettive in cinque diverse carceri calabresi. Venerdì santo, Gianpaolo Catanzariti, Santo Cambereri e Caterina Siclari hanno iniziato la “Via Crucis” da quello che, per condizioni strutturali e di sovraffollamento, Catanzariti ha definito il “Golgota delle carceri reggine”. Sabato santo, discesa agli inferi, mentre Catanzariti visitava il carcere di Reggio Calabria con Santo Cambereri, Anna Siclari e Giovanni Rossi, e mentre il ministro della giustizia con quattro detenuti andava a trovare Marco Pannella, il sottoscritto, coi compagni Rocco Ruffa, Nadia De Bortoli, Ernesto Biondi e Claudio Scaldaferri (in sciopero della fame e della sete e con la sua grossa stella gialla), siamo stati con gli ergastolani ostativi della Casa di Reclusione di Rossano Calabro ribattezzata dai detenuti la “Guantanamo” italiana per la presenza di un braccio in cui ci sono immigrati ritenuti affiliati all’ISIS. Domenica di Pasqua, con Rocco, Claudio, Gernando Marasco e Francesco Pacile’ siamo stati in visita al carcere di Vibo Valentia la mattina e nel carcere di Catanzaro il pomeriggio. In tutti gli istituti visitati, dai detenuti, ci sono stati calorosi applausi e un coro unanime: “forza Marco, resisti”.
Venerdì santo, 25 marzo: la Via Crucis. Visita al casa circondariale di Palmi
Per quanto riguarda il carcere di Palmi, Catanzariti scrive su FB:
<<…Accompagnati dal direttore, dott. Romolo Pani, e dal personale di polizia penitenziaria abbiamo incontrato e dialogato con i detenuti di alta e di media sicurezza. Tutti calorosamente hanno inteso rivolgere un saluto ed un augurio a Marco Pannella. Specie un detenuto napoletano, tale Nunzio, definitivo “deportato” in Calabria, lontano dalla propria famiglia, per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri delle altre regioni. Le solite “docce comuni” non regolamentari, la solita umidità delle celle e le solite grate a maglie fittissime alle finestre che smorza ogni speranza di libertà assieme alla riduzione della luce naturale. I soliti corti passeggi da super carcere degli anni ’70. Alcuni detenuti campani lamentano lo spostamento lontano dai propri affetti e dalla loro terra d’origine. Per paura che possano incorrere in tragici incidenti d’auto, come già avvenuto nel cosentino, invitano i propri familiari a non venire a trovarli, in barba al diritto all’affettività ed alla territorialità della detenzione. Questo fenomeno di importazione “detentiva” ha riguardato anche il carcere “inespresso” di Arghillà. Detenuti defintivi provenienti dalla parte più distante della Sicilia della Puglia e della Campania, anche se i calabresi sono numerosi nelle restanti regioni d’Italia. Mi auguro presto di andare a farvi visita presto ad Arghillà per denunciare le tante lacune di quella struttura moderna eppure inadeguatamente utilizzata, magari con la partecipazione dell’on. Enza Bruno Bossio, particolarmente sensibile a questi temi che toccano vasti strati di cittadinanza. A Palmi sempre assente il servizio radiologico, il cardiologo è una chimera, così come l’otorino. L’assistenza medica, per fortuna, esiste h24 anche se quella infermieristica è presente solo per 18 ore al giorno, in barba all’immediato pronto intervento di primo soccorso>>.
Sabato santo, 26 marzo: discesa agli inferi, nel labirinto del diritto delle carceri calabresi.
Visita C. circondariale G. Panzera di Reggio Calabria:
Scrive Gianpaolo Catanzariti:
<<Pasqua nelle carceri ha un sapore particolare. Un segnale di attenzione verso i luoghi che ospitano tutti coloro che comunque, colpevoli o meno, portano, anche per noi, la croce della nostra società, con i suoi difetti e storture, con i loro errori o comportamenti devianti. Anche a Reggio Calabria, con Katia Siclari, Santo Cambareri e Giovanni Rossi, accompagnati dal comandante Stefano Lacava, abbiamo visitato il “Panzera”. La problematicità più evidente l’abbiamo riscontrata nel settore per le osservazioni psichiatriche del tutto inadeguato per le suppellettili spigolose e facilmente asportabili con pericolo per i detenuti osservati e per gli altri. Sono ancora evidenti i segni di devastazione che un detenuto nigeriano ha lasciato prima di essere trasferito a Barcellona. Chissà la Regione quando aprirà le rems che già avrebbe dovuto aprire per superare gli OPG. Ancora una volta, così come a Palmi, si è riscontrata la persistenza di una carenza quantitativa del personale penitenziario in servizio.
I detenuti anche a Reggio, molto interessati per la nostra visita, hanno rivolto un caloroso ed affettuoso saluto a Marco Pannella ed a Rita Bernardini. Alcuni mi si avvicinavano ed insistevano “Tanti saluti a Marco Pannella”, quasi fossi in collegamento diretto.
Nel settore femminile, visita tranquilla tranne che per la presenza di una detenuta che da alcuni giorni movimenta il tutto, compiendo degli atti e gesti auto-lesionistici.
Le detenute tutte, però, lamentano l’assenza di una sezione femminile permanente che consentirebbe alle stesse di rimanere vicino ai propri familiari.
Tutti molto interessati a conoscere gli esiti dei lavori dei tavoli tematici sugli Stati Generali.
Spero che il Ministro Andrea Orlando non mi faccia perdere la faccia. Dinanzi a tutti ho segnalato la sensibilità dell’attuale Ministro, pertanto oggi è necessario recepire in apposite riforme strutturali i lavori specifici dei tavoli. Al di là del sovraffollamento, che, peraltro, seppur ridotto, ancora esiste, occorre ripensare il modello detentivo verso una reale ed effettiva rieducazione e la responsabilizzazione dei detenuti, anche di quelli c.d. di alta sicurezza. I detenuti, ed anche noi, si aspettano molto da questo lavoro. Lasciare cadere nel vuoto questo anelito riformatore vuol dire arrecare un danno irrimediabile al nostro Paese, Noi continueremo la nostra attività anche per sensibilizzare le istituzioni a mirati ed efficaci interventi tesi a recuperare la dimensione umana della detenzione. Stiamo facendo quello che un garante regionale in Calabria avrebbe dovuto fare e che, almeno sino a quando la Regione non lo istituirà, non potrà fare.
Abbiamo speso parole positive per la neonata istituzione del garante nazionale per i detenuti. Mauro Palma, Emilia Rossi e Francesco D’Agostino. Sono convinto che anche loro non deluderanno le aspettative.>>
Visita C. reclusione di Rossano Calabro.
C’eravamo stati a capodanno con Rocco Ruffa ed Emilio Quintieri. Ci ritorniamo il sabato santo. Accompagnati dalla comandante Elisabetta Ciambriello e dall’ispettore Domenico Vennari, con i compagni Rocco Ruffa, Ernesto Biondi, la moglie Nadia De Bortoli e Claudio Scaldaferri, abbiamo visitato la casa di reclusione di Rossano Calabro, in provincia di Cosenza. A fronte di una capienza di 215 posti, c’erano presenti 197 detenuti (178 con sentenza di condanna definitiva), tra cui molti ergastolani ostativi, quelli con pena fino alla morte. Tra gli oltre cento casi psichiatrici, sessanta affetti di epatite C, quattordici tossico dipendenti, ben cinquanta detenuti sono stranieri, per lo più di origine irachena o araba.
La Guantanamo d’Italia, la chiamano i detenuti italiani da quando è stato istituita una “sezione speciale” per detenuti extra comunitari, per lo più iracheni, ritenuti affiliati all’ISIS. Il carcere infatti è presidiato dai militari dell’esercito. Sono i primi detenuti che incontriamo mentre stanno facendo un po’ di attività in palestra. Pochi parlano italiano, molti lamentano di non poter fare telefonate ai propri parenti. La comandante Ciambriello ci dice che la situazione è grave e che, da quando hanno dovuto istituire il servizio di sentinella armata per la presenza di questa “sezione speciale”, unica nel suo genere in Italia, le carenze di organico già esistenti sono aumentate. Nella sala di culto, non essendoci un mediatore culturale, ci dice l’ispettore Vennari, “è difficile comprendere ciò che si dicono e ciò che si predica”.
Ma i problemi nel carcere sono molti. Nella sala biblioteca, Francesco, ergastolano ostativo che di recente ha preso la laurea in sociologia, ci dice: “Qui il problema è che non facciamo un cazzo! Non lavoriamo, nessuno di noi (intende gli ergastolani come lui) lavora ‘fisso’, tutti a rotazione al massimo per due tre mesi l’anno”. Stessa richiesta proviene anche da Michele. E mentre ci dicono questo, ci ricordiamo dell’altra visita. Nel carcere c’è infatti una falegnameria con costosissimi macchinari, addirittura con un impianto di produzione di pellet per riciclare gli scarti delle eventuali lavorazioni, ma poiché non c’è un’associazione o una società esterna che la faccia funzionare, nessun detenuto vi può lavorare. Ma anche una seconda cucina, non funzionante, ma che, ci dice il dottor Francesco nel suo ragionamento, potrebbe diventare un laboratorio di pasticceria. Ma è la stessa direttrice sanitaria, la dottoressa Licciardi, che incontriamo durante il giro, a sottolineare la necessità – per implementare le attività che i detenuti possono fare – di organizzare almeno dei dei corsi per Operatore Sanitario.
Poi arriviamo alle sezioni dell’alta sicurezza nostrana. Si dice che i problemi di sovraffollamento siano per lo più risolti, ma gli ergastolani, soprattuto se ergastolani con fine pena mai contrario alla costituzione, avrebbero almeno il diritto di avere delle celle singole. A Rossano ciò non succede: Francesco, ergastolano ostativo sta in cella con un’altro detenuto che ha “solo”, si fa per dire, sette anni da scontare. Ma anche Michele P., pure lui ergastolano con fine pene mai, sta in cella con Fabio che di anni ne deve scontare solo cinque. Ma c’è anche qualcuno che ci dice di non poter lavorare da un anno e mezzo. Qualcuno ci dice che “gli assistenti sociali non si vedono proprio”. Quei pochi mesi all’anno che lavorano, per 6 ore al giorno
Persino il rinnovo del documento di identità diventa un problema: è scaduto da quattro mesi ma R. non riesce a rinnovarlo poiché, ci spiega l’ispettore Vennari stesso, il servizio è affidato ad un volontario esterno. I detenuti lamentano di passare troppo tempo nelle celle: “solo due ore e un quarto la mattina e un’ora e mezza il pomeriggio per i passeggi e, due giorni alla settimana, un’ora di saletta per la socialità dove si può giocare a biliardino. E il tempo scorre così in barba alla finalità rieducativa e di reinserimento sociale che la pena dovrebbe avere secondo Costituzione.
In tutto ciò, centoventi detenuti hanno sottoscritto un ricorso al magistrato di sorveglianza per le obsolete reti metalliche presenti ancora alle finestre delle celle che, aggiuntive alle sbarre regolamentari, limitano di molto l’entrata della luce naturale. Adesso, ci dicono, “il magistrato ha fissato l’udienza”.
Pasqua di resurrezione, 27/3/2016. Visita alle carceri di Vibo Valentia e Catanzaro
Vibo. Con Claudio Scaldaferri, Rocco Ruffa, Gernando Marasco e Francesco Pacile’ ci ritroviamo davanti al carcere alle 8:45 in punto. Incontriamo i primi detenuti ai passeggi durante l’ora d’aria: sono divisi in tre distinte aree e, appena ci riconoscono come delegazione di Radicali, subito fanno partire un caloroso applauso per Marco Pannella. Applauso che viene poi ripetuto negli altri due passeggi anche dagli altri detenuti.
Su una capienza regolamentare di 390 posti ci sono 366 detenuti presenti, quindi, sulla carta, il problema sovraffollamento appare non esistere. Ma nei cubicoli, cellette per due detenuti al massimo, nel circuito dell’alta sicurezza, sono costretti a starci in tre. Duecento quattordici detenuti sono, infatti, tutti del circuito alta sicurezza, mentre sono solo 56 i detenuti comuni del circuito della media sicurezza.
Il direttore Antonio Galati, al quale, per augurare una Buona Pasqua, abbiamo donato una ‘cuzzupa’, dolce tipico catanzarese, ci ha accompagnato durante tutta la visita come aveva fatto a Santo Stefano durante la visita che abbiamo durante il tour natalizio. Il direttore ci ha spiegato di aver posto in essere un progetto di istituto per incrementare le attività rieducative, sta cercando di far completare la ristrutturazione dell’area verde per i colloqui, ciò nonostante quando incontriamo i detenuti capiamo che le problematiche che avevamo riscontrato subito dopo Natale sono ancora lì: le docce comuni sono state eliminate (ora sono nelle celle) trasformate in zona stenditoio, ma l’acqua calda – che arriva alle docce ma non ai lavabi – c’è solo per un’ora e mezza al giorno e, in cella, a doversi lavare spesso sono in cinque.
Il diritto alla salute continua a restare una chimera: nonostante diciotto medici specialisti si alternino nell’istituto, la principale cosa che lamentano è la mancata celerità per le cure e le visite mediche: otto mesi per una visita oncologica. Franco, ad esempio, è senza denti ed ha difficoltà notevoli di masticazione ma sono sei mesi che chiede (e non riesce) ad andare da un dentista. Ha ottant’anni, è a quattro mesi dal fine pena ma resta in carcere nonostante non sia per nulla autosufficiente e sono i suoi compagni di cella che lo fanno mangiare e gli lavano la roba. Infine, dal punto di vista sanitario, è lo stesso direttore Galati a sottolineare che l’ottanta per cento dei detenuti è in terapia psichiatrica.
I detenuti lamentano inoltre di non poter fare sport perché il campo sportivo è inutilizzabile quando piove e che, nemmeno in una giornata di festa come la Santa Pasqua possono fare la socialità con altri detenuti di altre celle, cosa che invece a Catanzaro la direttrice Angela Paravati. Altra problematica che i detenuti ci hanno segnalato è l’eccessivo costo delle telefonate: 90 centesimi al minuto contro gli 11 centesimi che pagavano in altri istituti. Tant’è che il direttore ha preso nota del fatto e ha chiaramente detto ai detenuti, in nostra presenza, che controllerà se la segnalazione risponde al vero e provvederà, eventualmente, a restituire i soldi spesi in più dai detenuti.
Infine, i detenuti ci segnalano chiedendoci di fare qualcosa per la vergognosa pensilina di appena due metri quadri, presente fuori dal carcere e dove attendono i parenti prima di effettuare i colloqui.
Terminiamo la visita alle 12:45 e, dopo i saluti col direttore, con Rocco e Claudio ci spostiamo a Catanzaro per effettuare l’ultima delle visite presso la Casa Circondariale Ugo Caridi.
Catanzaro. La direttrice Paravati ci aveva già fatto anticipare con una mail che non l’avremmo trovata. Ne anche il comandante Scalzo è presente: ad accoglierci e ad accompagnarci durante il giro si c’è l’ispettore Pagliuso.
È Pasqua e i detenuti, qui, stanno facendo socialità dalla mattina ed è stato consentito loro, in condizione di celle aperte, di socializzare anche tra detenuti di celle diverse. Ci riconoscono, ci chiedono di Marco e, anche qui, i detenuti fanno partire un caloroso applauso per Marco Pannella e un coro: “forza Marco, resisti”. Ci invitano a mangiare un pezzo di una torta alle rose fatta da un detenuto: è buonissima. L’ha preparata Domenico che inizia subito ad elencare i problemi del carcere: “le pillole fino a qualche giorno fa ce le davano sfuse, senza confezionamento”, ci dice. Anche se, dopo le loro lamentele, pare che questo problema almeno sia stato risolto, “La situazione igienico-sanitaria è un colabrodo”, ci dice un altro detenuto.
In effetti, ad eccezione del padiglione nuovo, in tutte le sezioni, – in attesa dei lavori di ristrutturazione – ci sono ancora docce comuni fuori dalle celle, piene di muffa, con mattonelle alle pareti distaccate e con i soffioni delle docce che, piuttosto, sarebbe giusto chiamare sgocciolatoi. Nelle celle continua a non esserci l’acqua calda e, nelle docce, arriva solo tre ore al giorno e la domenica non si può mai fare perché – ci spiega l’ispettore che ci ha guidato durante la visita – non c’è il tecnico della caldaia.
Sono i detenuti che ci segnalano un grave caso di ritardo sanitario: Antonio V., deceduto per un problema oncologico al pancreas, ha chiuso la sua esistenza in carcere dove – ci spiegano i detenuti alla presenza dell’ispettore Pagliuso che ci accompagna – ha dovuto attendere ben otto mesi per fare una Tac, non gli era stato neanche detto di avere un male incurabile e, per fare una gastroscopia altri tre mesi.
In tutto ciò, in una delle celle della sezione alta sicurezza, incontriamo Antonio: ha un solo rene e, probabilmente, un tumore all’altro. Insufficienza renale cronica. Il dirigente sanitario, dott. Tavano, ci dice lo stesso Antonio, sta facendo di tutto per aiutarlo. Ha fatto istanza al tribunale di sorveglianza per chiedere la sospensione della pena per cure mediche e attende una risposta. “Qui in carcere sto facendo terapie che sono solo palliativi e ho dovuto firmare liberatorie per un intervento di biopsia renale”. Se le cose dovessero andar male rischia di finire in dialisi.