Effettuate dalla delegazione del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito durante le festività natalizie 2015/2015.
Il tour calabrese nelle carceri di cui pubblichiamo il rapporto completo delle visite nasce da un’idea di Giuseppe Candido e Rocco Ruffa durante una delle riunioni del mezzogiorno del Partito Radicale, quella del 18/12/2015, che seguiamo da un po’ di tempo.
Grazie all’ex deputata Rita Bernardini sono state ottenute le necessarie autorizzazioni del DAP per effettuare le visite.
Le autorizzazioni sono state rilasciate dal dottor Massimo DE PASCALIS, vice capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ai sensi dell’articolo 117 DPR 230/2000, assieme al “nulla osta” per la compilazione del questionario carceri (predisposto da Rita Bernardini) per il Partito Radicale e i cui dati hanno consentito di rilevare nel dettaglio le condizioni di detenzione e le principali criticità di ciascuno dei dodici istituti visitati e il quadro generale del “carcere Calabria” pubblicato nel comunicato riassuntivo diramato a termine delle visite.
In un territorio ad altissima densità criminale con carenze di educatori, di magistrati e Regione inadempiente sulle REMS la finalità costituzionale di rieducazione e reinserimento sociale della pena svanisce.
a cura di Giuseppe Candido
Durante le visite nelle carceri calabresi effettuate nelle festività natalizie, una criticità che abbiamo riscontrato parlando coi detenuti e il personale di polizia penitenziaria è legata ai Tribunali e alla magistratura di sorveglianza dei due distretti calabresi (Catanzaro e Reggio Calabria) e ai tempi con cui i magistrati di sorveglianza rispondono alle istanze – spesso legittime – dei detenuti. Leggi tutto “Magistratura di Sorveglianza e sorvegliati … in Calabria”
Valter Vecellio, redattore TG2 e direttore di Notizie Radicali
Con esattezza non sapremo mai il numero delle vittime, di sicuro molte migliaia.
Si parla di una immane tragedia per anni negata: quella degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia; è la tragedia di almeno ventimila italiani massacrati nelle foibe tra il 1943 e il 1947; e di almeno 350.000 in fuga.
Un vero e proprio olocausto, ed esodo di sapore biblico, sempre tenuto nascosto fino al 10 febbraio del 2005, quando, finalmente il Parlamento dedica alle vittime delle foibe, e agli esuli istriani, fiumani e dalmati, una specifica giornata del ricordo. Devono passare quasi sessant’anni, prima che ufficialmente si cominci a elaborare una delle pagine più angoscianti della nostra recente storia.
La storiografia ufficiale stima in circa 5mila le vittime. Nella sola Istria si contano più di 1.700 foibe. Il massacro viene messo a tacere praticamente subito. Un grande silenzio, nazionale e internazionale, copre per decenni il massacro. Leggi tutto “IL GIORNO DELLA MEMORIA DELL’ORRORE DELLE FOIBE”
In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016 il Ministro della Giustizia Andrea Orlando è intervenuto con un proprio discorso sia il 29, a Roma, presso la Cassazione sia il 30 presso la Corte d’Appello di Palermo. Il virgolettato tirato fuori dal sito di Repubblica ed attributo al ministro Orlando è il seguente: “Non c’è più una questione giustizia“.
Siccome così non è per il Partito Radicale i cui esponenti e militanti sono intervenuti in quasi tutte le Corti di Appello per sottolineare proprio la gravità e l’urgenza della “questione giustizia“, Rita Bernardini, sul suo profilo Face Book, citando il Ministro #AndreaO
rlando che ha tra i suoi amici in modo che lo stesso si accorgesse del post, ha scritto:
“Caro Andrea Orlando, dimmi che non è vero: non hai veramente detto che in Italia non c’è più una questione giustizia?”.
Dopo qualche minuto e un centinaio di “mi piace” arriva anche il commento dal profilo ufficiale del Ministro della Giustizia Andrea Orlando:
Amnistia per la Repubblica e Garante dei diritti dei detenuti per la Calabria. Così Candido e Ruffa a conclusione delle visite nelle carceri calabresi effettuate come delegazione del Partito Radicale durante le festività natalizie dal 24/12/2015 al 05/01/2016. Leggi tutto “Rapporto del Partito Radicale in visita alle dodici carceri calabresi”
Giovedì 30, venerdì 31 luglio e sabato 1 agosto é stata la volta dei docenti (infanzia, primaria, secondaria, sia posti comuni sia sostengo) inseriti nelle graduatorie di merito del concorso 2012; da martedì 4 agosto cominciano invece le convocazioni dei docenti inseriti nelle GaE. Ulteriori info sul sito www.calabria.istruzione.it
La Gilda insegnanti era lì, con il prof. Maesano, il coordinatore provinciale Aldo,Trapuzzano e il sottoscritto.
Leggi il messaggio inviato alle Camere dal Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano
Dalla mezzanotte del 10 febbraio Marco Pannella è di nuovo in sciopero della fame (per ora, solo della fame, ma è pronto ad aggravare anche con lo sciopero totale di fame e sete) affinché lo Stato italiano, uno Stato in cui – per Pannella – “il crimine è diventato parte fisiologica e non più solo patologica del regime che vige nel nostro Paese”, rispetti gli obblighi enunciati dal Presidente emerito Giorgio Napolitano nel suo messaggio inviato, secondo l’articolo 87 della Costituzione, alle Camere l’8 ottobre 2013 e perché anche il Presidente Mattarella possa operare nella stessa direzione e, come dice Pannella, con lo stesso “animo sturziano”. Quando annuncia l’inizio del suo ennesimo sciopero della fame dalla rubrica radio carcere di Radio Radicale, Pannella è indiavolato. Quelli cui assistiamo in televisione sulla corruzione e sulla giustizia, per lui, sono dibattiti tra soci. Soci nello spartirsi il bottino. Nel 2007, spiega agli ascoltatori, Rita Bernardini aveva già previsto tutto quello che oggi emerge dall’inchiesta “mafia Capitale”. D’altronde la criminalità organizzata deve reinvestire i profitti illeciti e lo fa dove c’è più convenienza: a Milano, a Roma.
Carlo Nordio, ricorda Rita Bernardini, il Procuratore della Repubblica di Venezia che si è occupato delle indagini sul Mose, ha spiegato chiarissimamente che per combattere la corruzione non servono nuove leggi, non serve aumentare le pene e allungare i termini di prescrizione, ma che è sufficiente applicare le leggi che già esistono e rendere la giustizia più celere in modo che i processi si celebrino in pochi mesi anziché in molti anni.
Come ha spiegato altrettanto chiarissimamente il primo Presidente della Cassazione Giorgio Santacroce in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario lo scorso 14 febbraio, se anche per ipotesi non si aggiungessero ulteriori nuove cause, per evadere l’arretrato giudiziario penale ci vorrebbero tre anni e mezzo per la sola Cassazione, altri due anni per i giudizi pendenti in appello e oltre una anno per quelli in primo grado. Dopo 40-50 anni di partitocrazia, per Marco Pannella, c’è una caratteristica da tenere presente: la corruzione che oggi dilaga è corruzione della carne di uno Stato in cui non è possibile parlare della realtà della giustizia italiana e in cui, come si muove una procura della Repubblica sono a decine i politici ad esser scoperti, fermati, arrestati.
Il paradosso di uno Stato che condanna i suoi cittadini perché disobbedienti alle leggi e, lui stesso, si rende criminale nel non rispettare le sue stesse leggi emerge evidente dal confronto delle parole del Ministro della Giustizia Orlando con quelle del Primo Presidente della Corte di Cassazione pronunciate durante i rispettivi discorsi tenuti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
Se per il Ministro Orlando, “gli effetti dei provvedimenti legislativi adottati (dal Governo, ndr) sono desumibili, in primo luogo, dalla rilevante diminuzione del numero dei detenuti presenti in carcere, contemporaneamente sono aumentate le misure alternative alla detenzione sino ad arrivare, al 31 dicembre 2014, a 31.962. Dico questo – aggiunge Orlando – per rispondere con i numeri a chi ha più volte parlato di un indulto mascherato. Questi numeri ci dicono altro: non abbiamo rinunciato alla sanzione penale. Abbiamo semplicemente applicato una diversa sanzione”, per il Primo Presidente della Cassazione Giorgio Santacroce, le cose stanno assai diversamente.
Nello stesso giorno e nello stesso contesto in cui Orlando da’ i numeri e dice quello che dice, il Presidente Santacroce gli ricorda che “le carceri sono la carta d’identità dello Stato costituzionale e dello Stato di diritto”. E che, “se è legittimo e costituzionale togliere a un uomo la libertà, non è legittimo ed è incostituzionale togliergli la dignità”.
Bisogna ringraziare Riccardo Arena che, da Radio Radicale, fa ascoltare le parole del Presidente Santacroce pronunciate subito dopo quelle del Ministro Orlando. Su queste contraddizioni si dovrebbe, quantomeno, aprire un dibattito. Invece niente. Zero assoluto. Perché il primo Presidente della Cassazione, senza mezzi termini, ha spiegato al Governo che, se da un lato “le misure finora prese vanno senz’altro nella direzione giusta” queste, ha aggiunto, “non sono risolutive”. Perché “anche se il numero dei detenuti tende a diminuire, l’emergenza determinata dal sovraffollamento, suicidi e tensioni nelle strutture carcerarie non è ancora rientrata e non può protrarsi ulteriormente, come ha ammonito la Corte Costituzionale. Bisogna ripensare – ha aggiunto Santacroce – il tema del carcere e dell’intero sistema sanzonatorio penale, assicurando il rispetto della dignità della persona nella fase di esecuzione della pena”. Perché, ha concluso, “siamo ancora lontani dall’aver realizzato un sistema nel quale la sanzione penale costituisca la estrema ratio di protezione giuridica e, all’interno del sistema penale, il carcere costituisca l’estrema ratio di sanzione da impiegare soltanto quando non siano utilizzabili misure diverse e meno afflittive”.
A sentire queste discrepanze tra un ministro della Giustizia che dice che l’emergenza è superata e un presidente della Cassazione che invece spiega chiarissimamente che l’emergenza perdura, in un Paese che fosse un minimo civile si dovrebbe aprire un dibattito serio in quelle sedicenti trasmissioni di approfondimento, invece niente. Per poter cogliere tali discrepanze e tali contraddizioni, c’è bisogno di accendere Radio Radicale e ascoltare il lavoro meticoloso fatto da Riccardo Arena nel selezionare i relativi passaggi dei due discorsi.
Tralasciando l’aspetto dell’informazione che tragicamente è assente in questo Paese, c’è da notare che in base a quanto detto anche dal Presidente della Cassazione Giorgio Santacroce, quel messaggio costituzionale dell’ormai emerito Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano inviato alle Camere l’8 ottobre del 2013, che è stato trattato dal Parlamento in modo non costituzionalmente adeguato perché non è stato neanche discusso, rimane ancora straordinariamente e drammaticamente attuale tant’è che i Radicali, guidati da Rita Bernardini, lo hanno posto al centro della loro azione politica durante l’ultimo comitato nazionale.
Sabato 24 i Radicali saranno alla Corte d’Appello di Catanzaro per l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015
Per corrispondere in una sede istituzionale a quel messaggio del Presidente Napolitano inviato alle Camere l’8 ottobre 2013 e rimasto praticamente inascoltato, anche in Calabria, a Catanzaro, una delegazione del Partito della nonviolenza ha chiesto di prendere parola durante la cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Giudiziario che si terrà presso la Corte d’Appello di Catanzaro sabato 24 gennaio alle ore 9.00. Con la mozione della segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, approvata lo scorso 18 gennaio 2015 dal Comitato nazionale, è stato, infatti, deciso di porre quel messaggio di Napolitano al centro dell’iniziativa politica del movimento, in ogni modo e in ogni occasione istituzionale”.
A comunicarlo, con una nota stampa, sono Giuseppe Candido, segretario dell’associazione Non Mollare, membro del Comitato nazionale di Radicali italiani e l’ing. Rocco Ruffa, militante di Radicali italiani appositamente delegato dalla segretaria Rita Bernardini ad intervenire e prender parola a nome del partito di Pannella e Bonino.
Delegazione di Radicali dopo la visita di Capodanno al carcere U. Caridi di Catanzaro. Da sx: Savaglio, Candido, Giglio, Russo, Scaldaferri e Ruffa
“Anche quest’anno, comeRadicali del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito e come Radicali Italiani” – si legge nella nota stampa – “abbiamo deciso di essere presenti, chiedendo di poter intervenire, anche a Catanzaro, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, per leggere lo stesso testo, in ogni corte d’Appello, con spirito di dialogo e di confronto verso le istituzioni che hanno la responsabilità di occuparsi della giustizia.
“La giustizia è divenuta per cittadini e imprese” – queste sono le parole del Ministro Orlando pronunciate alla Camera dei Deputati lo scorso 19 gennaio 2015 – “non la sfera a cui rivolgersi per vedere garantiti diritti o dare tutela ai propri legittimi interessi, non la dimensione dove anche il più debole tra i cittadini possa trovare riparo dai soprusi del più forte, ma il simbolo di un calvario da tenere il più lontano possibile dalla propria vita”.
La mozione approvata il 18 gennaio dal Comitato nazionale di Radicali italiani – proseguono Candido e Ruffa nella nota – non soltanto ha rilevato il permanere dell’illegalità in cui versa il sistema della giustizia con la sua immonda appendice carceraria, le violazioni dei diritti umani dei detenuti e quelle concernenti la durata non ragionevole dei processi condannate in forma di messaggio solenne nel messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica l’8 ottobre del 2013; ma come Radicali abbiamo con forza denunciato – come si legge nella mozione – il comportamento degli interlocutori istituzionali del Presidente (Parlamento, in primis) che hanno sistematicamente negato dignità al testo formale proveniente dalla più alta carica dello Stato nell’esercizio della sua massima autorità magistrale e volto a richiamare gli improcrastinabili obblighi di riforma strutturale della Giustizia a partire da un provvedimento di amnistia e indulto. All’uscita del Palazzo della Corte d’Appello – conclude la nota – terremo, con i compagni che ci potranno raggiungere, una breve conferenza stampa”.
Pubblicato su Cronache del Garantista il 20 ottobre 2014
Tra le pagine calabresi delle Cronache del Garantista qualche giorno addietro leggevo di un’interessante inchiesta curata da Simona Musco sulla marijuana legale e sugli effetti negativi del proibizionismo. Il titolo dell’articolo era molto chiaro: “L’oro verde calabrese. Il proibizionismo ingrassa i clan: perché non cambiare?”. Su analogo argomento, qualche giorno dopo, insisteva pure Davide Varì, chiedendosi se ci fosse, in Calabria, un politico disposto a sposare la battaglia della legalizzazione della marijuana.
Il Garantista ha lanciato la sua proposta alla politica calabrese: perché non legalizzare la coltivazione di cannabis? Ma in realtà, la proposta di legalizzazione dei consumi di cannabis, è una proposta ultra trentennale dei Radicali e di Marco Pannella. I Radicali, già dagli anni ’70, parlavano di legalizzazione e mai di liberalizzazione, come invece qualche incauto giornalista spesso scrive soprattutto nei titoli, e che è cosa assai diversa. Non è una questione semantica. La droga è già libera di essere acquistata per strada e nelle piazze di tutta Italia oltreché in Calabria. E la ‘ndrangheta festeggia perché ne detiene il monopolio. I ‘duri colpi’ inflitti alle criminalità, non scalfiscono di una virgola i loro introiti. Il fallimento delle politiche proibizioniste è ormai un’evidenza che ha acquistato, negli anni, sempre più numerosi e autorevoli sostenitori, fino ad arrivare, nel 2011, al rapporto della Commissione mondiale per le politiche sulle droghe dell’ONU in cui si parla chiaramente di ‘fallimento’ sia nel ridurre i consumi sia nel ridurre i milionari traffici illegali da cui le criminalità organizzate di tutto il mondo traggono ingenti profitti. Insomma, c’è da prendere atto che “La guerra globale alla droga è fallita,” – scrivono a chiare lettere i commissari – “con conseguenze devastanti per gli individui e le società di tutto il mondo”. E aggiungono che, “Cinquanta anni dopo la Convenzione Unica delle Nazioni Unite sugli Stupefacenti, e a 40 anni da quando il presidente Nixon lanciò la guerra alle droghe del governo americano, sono urgenti e necessarie riforme fondamentali nelle politiche di controllo delle droghe nazionali e mondiali”.
Anche il New York Times, più recentemente, partendo proprio dall’evidenza del fallimento delle politiche proibizioniste, a seguito di una decisione della direzione e del board editoriale, ha lanciato una campagna a favore della legalizzazione dei derivati della cannabis.
Oggi, la cannabis ha molteplici usi legali, come ricorda la giornalista del Garantista, sono assai molteplici. Ma voglio soffermarmi su quello terapeutico sul quale, come Radicali, qualche mese fa, abbiamo partecipato con Rita Bernardini ad un convegno organizzato, in Calabria, a Catanzaro. Nonostante in Italia il ricorso alla marijuana per fini terapeutici sia legale dal 2007, e anche se alcune recenti leggi regionali (Toscana, Abruzzo e Puglia) ne hanno l’uso, sono ancora troppe le difficoltà che i pazienti hanno a reperire farmaci a base di cannabis. I dati del Ministero della salute parlano chiaro: nel 2013 sono state rilasciate solo duecento autorizzazioni all’importazione del ‘medicinale’. Ma poiché ogni paziente è tenuto ad importare il farmaco per un dosaggio non superiore alle necessità di tre mesi di terapia, il dato di 213 pazienti autorizzati va diviso per quattro e si capisce che solo una sessantina persone sono riuscite a ottenere il farmaco legalmente.
E’ evidente che molti di loro ricorrono al mercato illegale. Ma la cosa davvero esilarante è che, dall’Italia, la cannabis la importiamo dall’Olanda al costo di 15 euro al grammo. E anche se, finalmente, la Camera ha dato il via, approvando un ordine del giorno presentato dai Radicali nel 2008, alla produzione legale presso uno stabilimento militare in Toscana, nella Calabria dove sterminate sono le piantagioni sequestrate alla ‘ndrangheta, nella Calabria baciata dal sole dove, se ti fai una canna e per sbaglio ti cade un seme, l’erba cresce su da sola, in questi tempi di crisi, noi non troviamo un posticino, un cantuccio, per coltivarla legalmente, sotto controllo militare, e venderla ai malati delle Regioni d’Italia?
Lo scorso 17 ottobre a Cernobbio, in occasione della XIV edizione del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione organizzato dalla Coldiretti, persino Roberto Moncalvo, presidente dell’associazione di agricoltori italiani, ha lanciato la sua proposta sulla base dei risultati di un’analisi commissionata all’istituto Ixé per la quale quasi 2 italiani su 3 sono favorevoli alla coltivazione legale per motivi di salute, ma anche “economici e occupazionali”. E’ con queste idee che si sblocca l’Italia, non certo sbloccando le trivelle per nuove ricerche petrolifere in Abruzzo, in Lucania e sullo Ionio calabrese, coi rischi ambientali che inducono.
In Italia, ha ricordato Monclavo, “ci sono 1000 ettari di serre abbandonate per colpa della crisi dell’ortofloricoltura dove sperimentare la coltivazione a scopo terapeutico della cannabis”. Per la Coldiretti – stando a quanto riportato suLa Stampa da Maurizio Tropeano, corrispondente da Cernobbio per il quotidiano torinese – questa “potrebbe essere un’opportunità per il Sud” da “valutare attentamente per uscire dalla dipendenza dall’estero e avviare un progetto di filiera al 100% italiana che unisca l’agricoltura all’industria farmaceutica”. Nelle serre dismesse la coltivazione legale potrebbe essere autorizzata subito facilitando i necessari controlli per prevenire gli abusi. Ma la cosa più importante è che, legalizzando la coltivazione per fini terapeutici, si renderebbe al mercato legale, secondo lo studio presentato da Coldiretti, un giro di affari di circa 1,4 miliardi di euro ogni anno.
Ha più ragioni, quindi, il Garantista che, dalle sue colonne, sostiene che la legalizzazione sarebbe un modo per creare posti di lavoro legale e sottrarre – soprattutto in Calabria – manovalanza a basso costo alla ‘ndrangheta. Purtroppo, una cultura proibizionista ormai radicata vuole che le criminalità organizzate continuino a lucrare e che, anche per i fini terapeutici, la dobbiamo importare dall’Olanda. Su questo tema bisognerebbe che, anche la politica calabrese, aprisse, senza tabù, una seria discussione. Un confronto tra ragioni diverse, diametralmente opposte. Tra chi, come noi Radicali, da anni, siamo favorevoli alla regolamentazione e alla legalizzazione e di chi, invece, sostiene posizioni proibizioniste intransigenti che continuano però ad alimentare le casse della ‘ndrangheta.
Quando qualcuno sostiene che, anche se si legalizzasse la coltivazione, le ‘ndrine venderebbero la cannabis comunque a prezzi più bassi, sarebbe facile rispondere che, non perché ci sono le sigarette di contrabbando (fenomeno assai limitato in alcune città italiane) qualcuno pensa di proibire la vendita legale dei tabacchi e che, nonostante sia più dannoso alla salute l’alcol, nessuno pensa – neanche i proibizionisti più agguerriti – di ritornare agli anni ’30 del proibizionismo americano quando, con la vendita degli alcolici illegali, Hal Capone e le sue bande di gangster si erano ingrassate di dollari.
Non è un caso che pure Roberto Saviano, su l’Espresso di un anno fa, parlava, anche lui, di “evidente fallimento delle politiche proibizioniste” che hanno “alimentato per anni e continuano ad alimentare le casse della camorra”, come della ‘ndrangheta. Diceva di voler poter votare un partito antiproibizionista. Dimenticava, però, o faceva finta di dimenticare, che, in Italia, un partito antiproibizionista, che da anni lotta per legalizzare c’è, eccome: si chiama Partito Radicale, si chiamano Radicali Italiani, che in Calabria son pochi, ma ci sono.
Allora partiamo da qui. Per fugare tentazioni grilline, se Mario Oliverio, il candidato del ‘nuovo’ PD e del centro sinistra alle prossime elezioni regionali, vorrà il sostegno anche dei Radicali e delle loro idee, provi a chiederlo facendo proposte chiare. Partendo da questa della legalizzazione della coltivazione di cannabis per fini terapeutici che, come Radicali, facciamo nostra anche per fini ludici, assieme a quelle già in campo dell’istituzione del garante dei diritti delle persone private della libertà in carceri inumane come quella di Rossano, quella dell’anagrafe pubblica dei siti inquinati e del registro tumori di cui, pure in questa Regione, c’è urgente bisogno.
Nota inviata al direttore di Calabria Ora, Piero Sansonetti
di Giuseppe Candido*
Gentile direttore Piero Sansonetti,
Sellia Marina, località foce Simeri – ex lido balneare
rispondo volentieri pure io all’invito di Calabria Ora rivolto a noi politici, impegnati in questa campagna elettorale per le prossime elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013, di spiegare ai nostri conterranei le nostre “idee per migliorare la Calabria”. Come certo lei saprà ma come sicuramente non tutti i calabresi sanno, noi Radicali siamo impegnati in queste elezioni che di democratico hanno davvero ben poco, in liste di scopo di unità democratica riformatrice tra quanti, in Italia e non solo, lottano dando priorità assoluta all’obiettivo dell’uscita immediata del nostro Paese dalla sua flagranza criminale contro i diritti umani e contro lo Stato di diritto. Una condizione inumana, quella delle carceri italiane e anche di quelle calabresi, che ci fa vergognare e ci umilia in Europa e nel mondo e alla quale CalabriaOra, il quotidiano da lei diretto, è sicuramente assai sensibile. L’articolo “Se la sala d’attesa… è dietro le sbarre” di Alessia Truzzolillo, pubblicato domenica 10 febbraio nel quale si evidenziava la drammaticità della condizione delle carceri calabresi e pubblicato assieme alla lettera di Alessandro Figliomeni, ex sindaco di Siderno detenuto in attesa di giudizio, sono la prova nostrana che un provvedimento d’amnistia e indulto assieme ad una riforma organica della giustizia rappresenterebbero di per sé idee adatte a promuovere lo sviluppo anche della nostra regione. Chi mai investirebbe, mi chiedo e le chiedo, in una regione, dove tra l’altro c’è pure la piaga della ‘ndrangheta, sapendo che per recuperare un credito, mediamente, i tempi della giustizia sono di quasi dieci anni? Un’amnistia e la riforma organica della giustizia sarebbero senz’altro provvedimenti strutturali in grado non soltanto di riportare le carceri, anche quelle calabresi, in condizioni di legalità costituzionale togliendole dalla situazione di strutturale e sistematica violazione dell’articolo 3 della convenzione europea per i Diritti umani che vieta i trattamenti inumani e degradanti, ma provvedimenti anche in grado di dare sviluppo ad una regione, dando anche ad essa certezza del diritto e di rispetto della legalità. Tutto questo non significa, però, che come radicali non abbiamo idee specifiche per la nostra terra. Tutt’altro: le idee ci sono e sono pure queste correlate alla legalità mancante. Ripartire dalla legalità per ridare sviluppo e, soprattutto, lavoro alla Calabria, potrebbe essere lo slogan che ne sintetizza il senso. La situazione d’emergenza rifiuti che oggi sta vivendo la Calabria e che è sotto gli occhi di tutti con discariche stracolme, sempre più simile a quella Campana, è nient’altro che l’epopea di un disastro annunciato. Diciotto anni di emergenza consecutivi e di conseguente commissariamento dell’emergenza non hanno portato alla soluzione del problema: né la politica di centro destra né quella di centro sinistra, in questo parimenti fallimentari, sono state in grado di governare il fenomeno, la partitocrazia non è riuscita ad avviare e far progredire seriamente la raccolta differenziata. La sistematica deroga della legalità col meccanismo del commissariamento della legge non è stata funzionale ad evitare brogli e brogliacci normativi per ottimizzare la risoluzione del problema bensì a favorire quell’amico o quell’impresa per un incarico o per un appalto. Mettere in atto anche nella nostra regione un ciclo integrato dei rifiuti con raccolta differenziata e trattamento meccanico-biologico a basse temperature come avviene sempre più spesso in Germania come valida alternativa ai grandi inceneritori, ad esempio, potrebbe rappresentare un primo volano di “messa in moto” e di sviluppo di una nuova e sempre di più auspicabile economia verde.
Il risanamento del dissesto idrogeologico, frane e alluvioni che sistematicamente colpiscono duramente, il nostro territorio e con esso la nostra economia e, spesso, le nostre genti con feriti e lutti, rappresenta il fallimento di una classe dirigente intenta a governare il territorio non nel senso di governo dei fenomeni e dei processi che sul territorio interagiscono, ma nel senso del procurarsi clientele e consensi diffusi. Questo sistema ha, di fatto, permesso la costruzione di ogni cosa in ogni dove, senza una visione d’insieme, organica e strutturale, dello sviluppo urbanistico. Piuttosto che parlare ancora di ponte sullo stretto i cui investimenti servirebbero solo ed unicamente ad arricchire le grosse multinazionali e la filiera di imprese di costruzione e movimento terra ad esse collegate con appalti e sub appalti quasi sempre poco chiari, il risanamento del dissesto idrogeologico diffuso, con una serie di piccoli interventi “morbidi” mirati alla mitigazione del rischio, consentirebbe non solo di prevenire disastri annunciati ma anche, a molti giovani e a molte giovani professionalità calabresi, di nascere e crescere nella nostra terra senza dover emigrare per trovare lavoro. Poi, sempre per restare sul tema del possibile “lavoro verde”, non dimentichiamo l’altra grande pericolosità della Calabria, quella sismica, legata a un territorio “ballerino” e che si traduce in un altrettanto elevato rischio sismico soltanto a causa di un patrimonio edilizio, sia privato sia pubblico, fatiscente ad alta vulnerabilità sismica. Anche questa situazione è frutto di una diffusa illegalità e dall’assenza o inadeguatezza dei controlli, ma anche questa emergenza può rappresentare un’idea per far ripartire la Calabria. Molte scuole, ospedali, comuni e molte sedi di enti locali della nostra regione, risultano classificati ad alta vulnerabilità già dal 1999 (sic!) da uno studio effettuato dal dipartimento della Protezione civile, allora guidato dal dott. Franco Barberi, e riguardante la vulnerabilità sismica degli edifici pubblici di ben nove regioni italiane tra cui la nostra. Anche rottamando e ricostruendo oltreché adeguando sismicamente questi edifici, quelli pubblici con mirati investimenti dei fondi della comunità europea e con incentivi per quelli privati, si metterebbe in moto un sistema virtuoso in grado, già esso, di rilanciare l’edilizia molto più di un qualunque piano casa che permetta ampliamenti tout court. Infine, ma non per questo ultimo, c’è tutto il discorso legato alla trasparenza della politica: quella che vorrei, mutuando il Vasco, è una “politica trasparente” in cui si capisca facilmente quanti soldi gli eletti ricevono come emolumenti, quanti ne ricevono come gruppi consiliari regionali, provinciali e comunali e, soprattutto, come questi soldi dei cittadini vengono spesi. Con quattro semplici parole, noi radicali, chiamiamo tutto ciò anagrafe pubblica degli eletti e nominati: un’arma – direbbe Sergio Rizzo – contro Batman e rapaci in genere che consentirebbe di evitare preventivamente sprechi d’ogni genere.
*Geologo, docente di scienze e giornalista pubblicista, candidato alla Camera dei Deputati (Cric. Calabria) con la Lista AMNISTIA GIUSTIZIA LIBERTA’
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