#Syriza, i #Radicali e il progetto per abolire la miseria

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Pubblicato su Cronache del Garantista, sabato 31 gennaio 2015

Mentre il Cardinale Angelo Bagnasco, in rappresentanza della Chiesa italiana, parla di “lama del disagio sociale” che, in Italia, “continua a tormentare moltissime famiglie che non arrivano da tempo alla fine del mese”, con la vittoria in Grecia di Syriza guidata da Alexis Tsipras scopriamo che in Europa è necessario creare più crescita e lavoro e che la soluzione a tali problemi deve essere una soluzione di tipo europeo se non si vuole che trionfino i populismi anti-europei più beceri. In tal senso c’è da essere d’accordo con l’analisi storica oltreché politica di Fausto Bertinotti pubblicata sulle Cronache del Garantista martedì 27 gennaio, nella quale si notava il fatto – inequivocabile – che quella di Tsipras è una vittoria di una sinistra nuova fondata non su alleanze basate sulla geografia politica, ma su di un programma chiaro, che nasce da un movimento dal basso provocato dal disagio e dai conflitti sociali subiti dal popolo greco in questi anni. Non un soggetto politico per essere più a sinistra di qualcos’altro. Nel nostro Paese, come nel resto d’Europa, non c’è certo necessità – fa bene Bertinotti a metter le mani avanti, lui che di rifondazioni se ne intende – di una “nuova sinistra” variamente e casualmente legata a quella di Tsipras, un ennesimo tentativo di rifondare non si sa bene cosa, né su quali basi. E sono d’accordo con Bertinotti quando sostiene che, in Italia, bisogna creare “un fronte di lotta concreto (e aggiungerei, unitario delle forze laiche) contro l’impoverimento e la devastazione sociale”.

Non c’è dubbio, come giustamente nota Piero Sansonetti, che quella di Syriza sia una vittoria non di un partito, ma una vittoria popolare, fondata su un voto altrettanto popolare, che ha premiato – e questo è il secondo aspetto, forse anche più interessante – “una campagna elettorale basata su un programma politico molto chiaro, netto, comprensibile”. Pragmaticamente e non ideologicamente, per governare, si “mescola” con la destra anti austerità sulla base di un programma. E se da un lato è vero che Tsipras ha riportato al centro “la questione politica” con modalità assai diverse da quelle tentate dalla sinistra nostrana, è altrettanto vero che questa “svolta” nella politica europea, questo vento di cambiamento che riscalda l’inverno greco, soffia col vento del Mezzogiorno. Viene da Sud, dal Sud dell’Europa dove più forte è stata, in questi anni, “la lama del disagio sociale”.

Ma se tutto ciò è vero, allora serve costruire un chiaro progetto politico, alternativo a quello esistente, che consenta se non di abolire del tutto come sarebbe auspicabile, quantomeno di ridurre la miseria sempre più dilagante in larghe fasce della popolazione. Nella sua bella analisi sul voto greco, Fausto Bertinotti ha ricordato “le forme di mutualismo sociale con le mense popolari, gli asili nido e le diverse forme di sanità solidale” con le quali Sinistra greca, negli ultimi anni, ha saputo insediarsi “nel popolo e nei territori costruendo una sorta di Stato sociale autogestito”. Cosa che in Italia è paragonabile, e solo lontanamente, a ciò che a fine dell’Ottocento fece il nascente movimento operaio inventando le società di mutuo soccorso, le leghe e le associazioni.

Tralasciando la “stagione di movimenti e conflitti sociali” senza la quale l’Europa sarebbe destinata a non cambiare, non v’è dubbio che tutto ciò ci spinge a una riflessione su quello che potremmo-dovremmo fare per creare, anche nel nostro Paese, non certo un altra Syriza, non un’alchimia politica “più a sinistra di”, ma un’alternativa all’alleanza partitocratica del Nazareno, e alle politiche di austerità e rigore, credibile e comprensibile.

partitocrazia_img06È necessaria una proposta politica chiara, alternativa, che consenta di abolire, o quantomeno ridurre la miseria. D’altronde è questo che Syriza pone al centro. Anche in vista di un confronto elettorale, tenendo ferma la volontà di mettere al centro dell’iniziativa politica il Messaggio dell’ex Presidente delle Repubblica Napolitano inviato alle Camere l’8 ottobre 2013, come Radicali occorre avere un programma comprensibile utile ad aggregare forze laiche, socialiste e liberali, e che veda al primo punto il lavoro, il benessere umano e l’abolizione della miseria dilagante. Una proposta che vada al di là delle iniezioni di liquidità fatte dalla BCE, importantissime, ma che da sole non creano crescita né lavoro. Se si vuole davvero essere alternativi alle politiche di austerità con le idee di “una sinistra nuova”, è necessario dare risposte a quella “lama di disagio sociale” di cui parla la chiesa di Papa Francesco e che tormenta “anziani con pensioni da fame, giovani che hanno paura per il loro futuro incerto, adulti che il lavoro l’hanno perso e che hanno famiglie da mantenere”.

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Leggi l’articolo di Giuseppe Candido

Sul tema del lavoro, del porre freno alla miseria, come facciamo per i diritti umani, per i diritti degli ultimi, dei migranti e dei carcerati, noi Radicali, noi Socialisti, noi laici, libertari e liberali, dovremmo impegnarci a mescolare le nostre culture ed elaborare una proposta politica che metta al centro l’Uomo, le sue libertà (anche economiche) e suoi fondamentali diritti umani. Non si tratta di fare assistenza sociale, né assistenzialismo. Come nel piano Beveridge del ’42 e come nelle idee di Ernesto Rossi pubblicate nel volume “Abolire la miseria” scritto in Svizzera dopo la prigionia e il confino, l’idea di base – per abolire la miseria – è quella di essere d’accordo quando si propongono “servizi gratuiti alla persona atti a garantire quel minimo di vita civile” come diritto di ognuno, mentre bisognerà evitare trasferimenti in danaro, come nel caso dei sussidi di disoccupazione. “Trasformare i trasferimenti in danaro, spesso causa di sprechi e parassitismi, in servizi reali”. Partendo dall’analisi di cosa sia la miseria e la conseguente crisi finanziaria che, anche allora, come oggi, attanagliava il Paese, Ernesto Rossi parte dalla riforma della scuola e dai rapporti di questa con il mondo del lavoro. Una proposta che andrebbe riletta, perché assai diversa da “La buona scuola”, che oggi esce fuori. E per i disoccupati mai stati occupati, per evitare che possano essere ingaggiati dal sistema del lavoro nero (se la miseria esiste, – sostiene Rossi – il capitalismo la sfrutta, ma ciò non autorizza a dire che la miseria sia indispensabile al capitalismo), si prevede di poterli ingaggiare in quello che Rossi chiama “esercito del lavoro”. Un esercito fatto di giovani (anche di donne) che si occupi della produzione di beni e servizi occorrenti per soddisfare i bisogni essenziali.

Ernesto Rossi

 

Per Rossi l’abolizione della miseria diventa una condizione necessaria per la sopravvivenza stessa della società capitalistica. E la collettivizzazione di settori dell’economia diventa conveniente almeno in due casi: quando regimi monopolistici di settori strategici (come le comunicazioni) determinerebbero l’eccessivo sfruttamento dei consumatori; e quando “il libero gioco delle forze economiche lascerebbe insoddisfatti i bisogni di alcune categorie di consumatori fornite di una minore capacità d’acquisto – bisogni che si vuole tutti, almeno in una certa misura, per conservare un dato livello di vita civile”. In questi casi la collettivizzazione di alcuni settori non sarebbe “un freno per la libera iniziativa”, ma, anzi, la stimolerebbe. Rossi coniuga così esigenze ed esperienze liberali con quelle socialiste-ugualitarie. La collettivizzazione necessaria a soddisfare i bisogni essenziali dovrebbe riguardare il sistema scuola-università, quello della sanità, degli alloggi essenziali, e persino del vitto e del vestiario essenziali. Rientrerebbero per cui parzialmente settori della produzione agraria, dell’industria alimentare, del vestiario e dell’edilizia popolare. A questi settori “essenziali”, oggi, potremmo aggiungere anche quelli della sicurezza del territorio, della manutenzione del territorio, della previsione dei rischi geologico-ambientali e del censimento e le bonifica dei siti inquinati. Alla produzione dei beni e dei servizi occorrenti a soddisfare bisogni essenziali, individuali e collettivi, potrebbe anche oggi provvedere quello che, come già accennato, Rossi chiamava “esercito del lavoro”, una sorta di volontariato civile cui corrispondere una indennità di cittadinanza in cambio di produzione di beni e servizi che lo stato riterrà utili per abolire la miseria. Oltre le politiche di austerità c’è una proposta ancora valida, quella di Rossi, perché capace di creare lavoro, in grado di coinvolgere dal basso le persone con i loro problemi, le loro libertà negate e i loro diritti umani violati.

Testamento biologico: “la farsa è chiara”

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Riceviamo via mail e pubblichiamo

Il “diario” di Maria Antonietta Farina Coscioni*

“Alla fine la farsa è apparsa chiara, la manovra svelata: Pierferdinando Casini e l’UdC hanno strumentalizzato una questione delicata e seria come il bio-testamento, nella speranza di farla diventare parte integrante della campagna elettorale e della quotidiana polemica politica. Alla farsa si è prontamente prestato il presidente del Consiglio, con la sua “lettera”, nella quale accusa ‘i giudici che colmano il vuoto con iniziative più o meno estemporanee’…Più che una preoccupazione, alla prova dei fatti si è rivelata una barzelletta di pessimo gusto…”.

“Prima Casini chiede di invertire il punto all’ordine del giorno sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento della Camera, per discuterlo ‘senza ulteriori rinvii, in particolare per il rischio che, in mancanza di un’iniziativa legislativa siano i giudici a colmare il vuoto con iniziative più o meno estemporanee’; dà così per scontata l’interpretazione berlusconiana di quello che starebbe accadendo nel nostro paese, ma al tempo stesso mostrando di ignorare quello che accade quotidianamente in tante stanze di ospedale e nelle camere da letto dei malati di questo paese. Poi, quasi a pentirsi preventivamente per quello che stava per porre in essere, dice di augurarsi ‘che nessuno voglia strumentalizzare una questione molto seria e che ci sia la serenità necessaria per dibattere in modo approfondito questioni così delicate…che non sono parte né della campagna elettorale imminente, né della nostra, purtroppo quotidiana, polemica politica, m a fanno parte delle scelte esistenziali che un Parlamento in alcune circostanze è chiamato ad assumere”.

Un’ora dopo, quando si deve passare all’esame delle proposte emendative, colpo di scena: il Presidente della Commissione Bilancio Giorgetti informa l’Aula che la Commissione Bilancio ‘non ha potuto esprimere il proprio parere perché il Governo ha chiesto un supplemento di tempo per il supporto tecnico della Ragioneria di Stato.” E chiede la sospensione dei lavori. Ma possibile che né l’UdC né la Presidenza sapesse che NON SI POTEVA procedere con l’esame del provvedimento?

Appuntamento comunque per giovedì mattina. Nel frattempo alle 18,15 la Commissione Bilancio si riunisce, e in 15 minuti netti disbriga i propri obblighi sull’articolo 1, e rinvia ad altra data l’esame sul resto degli emendamenti.

Giovedì, come fissato, alle 9,30 riprendono i lavori d’Aula ma bisogna attendere più di tre ore, e finalmente alle 13 si apprende che la Conferenza dei capigruppo ha deciso di posticipare al 18-19 maggio la discussione sulle DAT. Non un deputato dell’UDC fiata. Dov’è finita l’urgenza di cui avevano parlato il giorno prima?

E allora interveniamo noi: “Signor Presidente, il Presidente Leone ha letto molto velocemente il calendario dei lavori, ma mi è parso di cogliere una data molto importante: quella del 18 e del 19 maggio entro la quale, anzi, nella quale riprenderemo i lavori sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, cioè fra tre settimane. L’iniziativa dell’UdC e dell’onorevole Casini, che hanno voluto anticipare la discussione sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, in realtà, si è trasformata in un posticipo…Ci saremmo aspettati dall’UdC, che aveva tutta questa urgenza di discutere questo importantissimo documento, una sia pur minima reazione…Di certo, quella che è stata venduta ai cittadini come una grande iniziativa politica si è rivelata, alla prova dei fatti, nemmeno dopo ventiquattr’ore, una «bolla» mediatico-elettorale, ancora una volta, sulla pelle dei cittadini, ma anche sulla dignità di questo Parlamento. Non c’era nessuna nec essità di posticipare il dibattito sulle dichiarazioni anticipate di trattamento che erano all’ordine del giorno. Ieri avremmo potuto chiudere la discussione di oggi; e oggi, avremmo potuto affrontare il resto dei temi, che discuteremo invece la prossima settimana; e la prossima settimana, senza agitazioni propagandistiche, avremmo discusso con tranquillità le dichiarazioni anticipate di trattamento.Questo modo di trattare quest’Aula e i deputati è indecoroso e viola anche il buon senso, il senso comune. Non vorremmo che, di fronte a fatti come questi – nei telegiornali di ieri sera e nei quotidiani di stamattina non si parla d’altro – domani, venisse meno l’attenzione rispetto ad un fatto molto semplice: l’UdC e l’onorevole Casini si sono presi gioco di questo Parlamento, perché impegnati in campagna elettorale.”

Tutto ciò si può definire solo in un modo: ancora una brutta, volgare, cinica speculazione. L’ennesima.

* Deputata radicale eletta nel PD

Biotestamento, il Pd cosa fa?

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di Maria Antonietta Farina Coscioni*

Pubblicato su “Europa” il 26 aprile 2011

Un giorno è la sottosegretaria Eugenia Roccella che “vive” la questione come una missione. Il giorno dopo è il ministro del lavoro Maurizio Sacconi, che sembra interessarsi solo di questo (sommessamente ricordo: nel 2010, secondo i dati Inail ancora provvisori, si sono registrati 780mila infortuni sul lavoro, 950 morti “bianche”; dall’inizio dell’anno oltre 100 morti, più di uno al giorno, domeniche e feste comprese. Alle numerose interrogazioni presentate, nessuna risposta). Quando i primi due non intervengono, allora è la volta di Gaetano Quagliariello o di Maurizio Gasparri: il leitmotiv è sempre lo stesso: la legge sul biotestamento va urgentemente approvata così come è formulata nel ddl Calabro; e guai a obiettare, a dissentire.

Dice la sottosegretaria che «è all’eutanasia che si vuole arrivare, e il progetto politico è quello di arrivarci tramite le sentenze», che si vorrebbe arrivare sostanzialmente a derubricare il reato di omicidio del consenziente inserendo un elemento di caritatevolezza e rovesciando il criterio della solidarietà tra gli uomini.

Ora sarebbe facile obiettare che qualsiasi membro del governo e della maggioranza siano i meno indicati a parlare di carità, misericordia e solidarietà: i malati di Sia e di altre gravi malattie sono letteralmente abbandonati a loro stessi, non c’è alcuna solidarietà o appoggio alle famiglie, non si riesce neppure ad aggiornare i Lea e il nomenclatore tariffario. La maggioranza vuole imporre al paese una legge retrograda e incivile sul fine vita che non ha pari e riscontro con le legislazioni di altri paesi; e si arriva all’impudenza di mettere sul banco degli accusati chi a questa legge si oppone, obietta che è un testo anticostituzionale fatalmente destinato a fare la stessa fine della legge 40; e tra gli argomenti che vengono agitati dalla maggioranza per difendere quello che è indifendibile si arriva all’impudenza di affermare che si vorrebbe introdurre l’eutanasia attraverso le sentenze dei giudici. Simili affermazioni si giust ificano e si spiegano solo con la scarsità di argomenti. Ai sedicenti difensori della vita (e che più propriamente sono sostenitori e alfieri della sofferenza sempre e comunque, anche quando è inutile) rispondo che si vuole quello che già è garantito per esempio in Germania, dove esistono le cosiddette “Disposizioni del paziente “cristiano” elaborate dalla Conferenza episcopale tedesca, dal Consiglio della chiesa evangelica tedesca e dalla Comunità delle chiese cristiane in Germania già dal 1999. Queste disposizioni prevedono per il testatore cristiano di richiedere «quando ogni terapia prolungherebbe soltanto il processo del mio morire» il non inizio o l’interruzione di trattamenti salvavita «come la nutrizione artificiale, la respirazione assistita, la dialisi o l’impiego per esempio di antibiotici».

Oggi le disposizioni sono state aggiornate dopo l’approvazione delle Dat e includono la tutela degli interessi legittimi del paziente diventato “incapace”. Ebbene, il ddl Calabro’ non solo non rispetta la volontà – espressa dal cittadino – ma va in direzione esattamente opposta: la volontà della persona non è tenuta in alcun conto, e si prevede che alimentazione e idratazione non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento. Non solo: il comma 5 dell’articolo 3 prevede che «l’alimentazione e idratazione nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono-essere mantenute fino al termine della vita». È proprio questo l’elemento che permette il prolungamento indefinito del coma anche contro la volontà di una persona che non può rifiutare!

Per difendere una posizione indifendibile, si fa ricorso ad affermazioni che nulla hanno di scientifico e anzi ne sono la negazione. Anche uno studente di medicina alle prime armi, infatti, sa che alimentazione e idratazione artificiale sono atti medici veri e propri che richiedono un’elevatissima competenza. Ci vuole una incredibile dose di malafede e faccia tosta per far credere che si tratti di qualcosa come una bottiglia di acqua minerale che si nega o si concede. Posizionare una cannula nutrizionale nello stomaco è un atto diffìcile, fare una gastrostomia endoscopia percutanea (peg) è un atto diffìcile, che solo chirurghi, medici anestesisti e rianimatori addestrati sono in grado di compiere. Allo stesso modo inserire un sondino nasogastrico e superare correttamente il tratto gola-esofago-stomaco è altrettanto difficile e anche pericoloso: richiede lo stesso un grado di specializzazione particolare: la sonda può introdursi in t rachea anziché nell’esofago con conseguenze disastrose. Inoltre, nel successivo trattamento nutrizionale, la definizione degli elettroliti, delle proteine, dei glu-cidi, somministrati come composto chimico non può che essere seguito da medici nutrizionisti. Questo per dire che, a proposito di alimentazione forzata, se una persona, in perfetta lucidità di pensiero, non desidera più alimentarsi, questa sua volontà va rispettata, come sostiene il codice di deontologia medica. Per questo sostengo che questa legge è contro il testamento biologico e, quindi, inutile. Chi compilerà le direttive anticipate se sa già che non verranno rispettate? Nessuno. Meglio allora nessuna legge. Ogni legge deve soddisfare le aspettative dei cittadini o tutelare i loro diritti. Il ddl

Calabro, al contrario, non soddisfa alcuna aspettativa, in particolare non tutela il diritto del rifiuto alle cure, una delle maggiori conquiste civili e democratiche. I principi del consenso informato dei trattamenti e dell’autodeterminazione sono i capisaldi di una concezione liberale di uno stato, che questa maggioranza di fatto si accinge a calpestare. Sono d’accordo con quanto scrisse Giorgio Cosmacini dell’università Vita-salute di Milano: «Se è antiumano porre limitazioni alla persona del malato, limitarne la personalità è anticostituzionale e-antidemocratico. Una legge limitativa, restrittiva, che conculca la-validità di un testamento liberamente sottoscritto da persona dotata di piena capacità in vista di una futura incapacità, oltre a contraddire molti valori, ignora il dibattito scientifico, disattende l’appello degli addetti alle cure, non ascolta le sofferenze dei familiari, sposa una incultura che ha la presunzione di possedere il monopolio dei principi etici e religiosi».

Al senato il Pd ha sostenuto che il ddl Calabro è anticostituzionale. Potrà non sostenerlo alla camera? E vorrà lottare contro questo ddl e far valere le sue ragioni almeno quanto ha fatto stilla “prescrizione breve”? Spero di sì. Noi deputati radicali lotteremo per quanto ci sarà possibile.

* Deputata Radicale eletta nel PD

Gli affari del Vaticano, l'Istituto per le opere religiose

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propaganda fide
propaganda fide

Tutto quello che l’otto per mille alla chiesa … le case di Propaganda Fide date agli amici e agli amici degli amici … Balducci e lo I.O.R. … l’Ici non pagata. Craxi, quando firmò il concordato, chiese perdono all’immagine di Garibaldi ma non aveva immaginato si potesse arrivare a tanto. Vi siete persi Report di domenica 30 maggio 2010? Eccovi l’audio integrale. Ci riserviamo commento e analisi ma, intanto, ascoltate l’audio e fatevi un opinione voi. Se questa è misericordia allora la carità è una truffa e il Santo Spirito tra gli uomini è solo una Banca.

Ascolta l’audio della trasmissione

RU486: Euforie elettorali e la corona degli imperatori

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di Giuseppe Candido

Cota Scopelliti Zaia
Luca Zaia – Giuseppe Scopelliti – Roberto Cota

Pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 4.4.2010

Mentre Berlusconi “scende in campo” anche on line su face book, e mentre nei retroscena dei giornali aleggia ancora la vicenda dei preti pedofili dei “Legionari di Cristo” e di come il Vaticano insabbiò tutto, Benedtto XVI presenta il conto elettorale chiedendo ai cattolici di disobbedire “le leggi ingiuste” con esplicito riferimento all’aborto e alla legge 194.

E subito dopo il voto si palesa la strategia che qualcuno chiama “cattolico padana” che ha contagiato anche il neo eletto governatore della Calabria. La Lega, ormai al governo di importanti regioni, risponde al Pontefice e si palesa subito dopo le elezioni: la pillola RU486, il farmaco che consente l’aborto farmacologico in sostituzione di quello chirurgico, stante la legge lo consenta, non sarà utilizzabile nel nuovo Piemonte di Cota dove “resterà a marcire nei magazzini” e nel nuovo Veneto di Luca Zaia che intende “bloccare gli ospedali” che ne hanno fatto già richiesta e afferma “nel Veneto mai”. Ma se il Papa che richiama i cattolici a battersi per il rispetto della vita è ovvio, logico e nessuno può (né deve) impedirglielo, le esternazioni di Cota e Zaia, oltreché di Peppe Scopelliti che non ha perso tempo per accodarsi alla Lega, ci appaiono un’interruzione di legalità se non addirittura, come sottolinea Marcello Sorgi, “un’interruzione di pubblico servizio”. Come persone. i neo eletti presidenti, hanno tutto il diritto di pensarla come credono e avere opinioni coincidenti con quelle del Papa ma, da governatori neo eletti, da uomini delle Istituzioni, dovrebbero rispettare e far rispettare le leggi esistenti anche se li si ritiene sbagliate e li si vorrebbe cambiare. Ciò sia per rispetto di coloro che li hanno votati sia anche per rispetto dei cittadini che non li hanno votati o che non sono proprio andati a votare.

Intervistata da Cristina Pugliese dai microfoni di Radio Radicale, Eleonora Artesio, assessore uscente alla sanità nella Regione Piemonte, ha risposto al neo governatore Cota: “Dopo aver condotto una campagna elettorale in doppio petto come vero rappresentante delle istituzioni Cota, appena eletto, si sta dimostrando veramente essere un uomo non delle Istituzioni. In questo Paese, fino a prova contraria, si applicano le normative che vengono determinate e non è proprio possibile che un farmaco regolarmente registrato dall’Aifa (l’agenzia italiana del farmaco) non venga reso accessibile per decreto del presidente della Regione”. E ancora, continua l’ex assessore alla sanità piemontese, “un presidente della Regione ha un potere in ordine alle modalità organizzative”. L’assessore trova “molto discutibile” anche “l’inserimento delle linee guida dell’Istituto Superiore della Sanità” in quanto “il ruolo dello Stato riguarda i livelli essenziali di assistenza ma i modi organizzativi di sfruttare questi livelli attengono alle regioni”. Poi l’ex assessore si sofferma in modo particolare sulla “questione per la quale si cercano d’intimidire i direttori generali, i medici rispetto al colloquio che gli stessi devono fare con le persone per determinare qual’è il protocollo più idoneo, oltre che intervenire anche sui comportamenti delle persone perché si vìola la loro possibilità di individuare la modalità ritenuta più confacente rispetto al singolo caso” che sembra davvero “un atto di arbitrarietà e di forza giocato tutto sul piano politico e senza alcuna sensibilità nei confronti delle persone”. Anziché preoccuparsi del dissesto idrogeologico e della sanità che produce debito e non salute, anche il neo eletto Scopelliti, da alfiere azzurro, si preoccupa di bloccare il diritto delle donne ad avere il trattamento terapeutico più idoneo anche in Calabria. E meno male che almeno c’è la Prestigiacomo e la Polverini e le donne della Lega che, dallo stesso versante politico, sottolineano che esiste già una legge (la legge 194) e che, a meno di non volerla cambiare, questa deve essere fatta rispettare anche dai governatori, stante le loro legittime opinioni a meno che, davvero, non si sentano già in testa la “corona dell’imperatore”.

Welby, l’uomo che scriveva da Dio

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“Ocean Terminal”, romanzo postumo, ricorda Bukowski e Kafka

di Alessandro Litta Modignani

ocean terminal
Piergiorgi Welby, Ocean terminal

C’è molto Bukowski nel romanzo postumo di Piergiorgio Welby, il malato terminale che appellandosi al Presidente Napolitano e scrivendo “Lasciatemi morire”, sconvolse i sonni di politici clericali e alti prelati nell’autunno del 2006.

“Ocean Terminal” (170 pagine, 17,50 euro, Castelvecchi Editore) è un romanzo convulso, allucinato, a tratti schizoide. Il racconto è frammentario e procede a strappi. La prosa è cruda, iper-realistica, spesso violenta e oscena. Non mancano però pagine tenui, riflessive, in cui l’autore abbandona improvvisamente ogni aggressività per scivolare nei ricordi dolci dell’infanzia. Il labile confine fra prosa e poesia spesso è infranto di slancio: interi paragrafi sembrano scritti in versi, rivelando una tecnica di straordinaria potenza narrativa. Le parole che chiudono il romanzo (“Anche il dolore è muto questa notte”) sarebbero state un titolo altrettanto perfetto; e sono un endecasillabo.

Welby ci rimanda dunque a Bukowski – che infatti nel libro è citato quattro volte – ma ancor più a Kafka, in particolare a “La metamorfosi”, cui l’autore dedica un’amara riflessione: “Io sono sempre io e non avrò mai la fortuna di risvegliarmi scarafaggio, verme, grillo, ragno…”. Anche l’allucinato racconto iniziale (una specie di introduzione a sé stante) e molti altri spezzoni del romanzo sono di tipica impronta kafkiana, nel filone classico della letteratura fantastica.

“Ocean Terminal” è un libro autobiografico, ricco di riferimenti filosofici, artistici, religiosi, letterari, cinematografici, a testimonianza della vastissima curiosità intellettuale dell’autore e della sua cultura enciclopedica. Grandi protagonisti sono la droga, il sesso e naturalmente la malattia,. La sofferenza fisica di Welby è all’origine del malessere psicologico ed esistenziale che lo porterà a sprofondare negli abissi della tossicodipendenza. Le corsie d’ospedale, le medicine, le iniezioni, le infermiere sono lo scenario della vita quotidiana. Il bisogno di amare è bruciante e carnale, il desiderio si manifesta in un senso del possesso irrefrenabile e spasmodico.

Alla fine il romanzo resta incompiuto: proprio l’impossibilità di continuare a scrivere, agli inizi del 2006, indurrà Welby alla richiesta di una “morte opportuna”, che otterrà il 20 dicembre grazie all’aiuto di Marco Pannella e di un medico coraggioso, Mario Riccio. Tuttavia il libro assolve alla sua missione, rivelandoci uno scrittore e poeta di eccezionale talento. Ringraziamo dunque ancora una volta Piero Welby: dicendo “amo la vita, voglio l’eutanasia”, egli ha prometeicamente strappato agli Dèi libertà e dignità per gli esseri umani; scrivendo questo romanzo, ha confermato il proprio valore letterario. Era un vero uomo, scriveva da Dio.

Chiesa: “istituzione anacronistica". Lo scisma è qui?

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recensione di Alessandro Litta Modignani

Il viaggio di Chiaberge fra i cattolici adulti

Lo Scisma. Il libro di Riccardo Chiaberge
Lo Scisma. Il libro di Riccardo Chiaberge

Nel suo lungo viaggio fra i cattolici adulti (“Lo scisma – Cattolici senza Papa”, 300 pagine, Longanesi) Riccardo Chiaberge si reca in visita a una cospicua lista di quei credenti, quasi tutti cattolici praticanti, che mandano puntualmente il cibo di traverso alle gerarchie vaticane. Sono personaggi noti e meno noti, laici ed ecclesiastici, storie di vita e di fede che non rientrano nello stereotipo che vorrebbe il “buon cristiano” ligio ai dettami della Chiesa.

La carrellata parte dal frate eremita che si oppone “alla concezione anticristiana della vita e della famiglia diffusa dal berlusconismo”, non risparmia Radio Maria (“Per me è un veleno…. Un fanatismo lontano anni luce dal messaggio evangelico”) e osserva acutamente: “Celibe dev’essere il monaco, non il prete”. Poi è la volta della cosiddetta “secessione viennese”, con il suo cupo corollario di scandali a sfondo pedofilo. Sfilano i parroci di base, le suore comboniane, i gesuiti non allineati, i “missionari in Padania” – e naturalmente quelli in Africa, che distribuiscono preservativi per limitare la diffusione dell’Aids. Un apposito capitolo è dedicato ai “Preti in amore”, i vari Bollettin, Milingo, don Sante e molti altri.

Particolarmente ricco il fronte dei cattolici impegnati nella ricerca scientifica e nelle nuove frontiere della medicina, da Giorgio Lambertenghi Deliliers a Elisa Nicolosi, a Elena Cattaneo e naturalmente a quel don Luigi Verzé che ha ammesso di avere “staccato” su richiesta, dalla macchina che lo teneva in vita, un suo amico paziente terminale. Lambertenghi alza gli occhi al cielo commentando l’accanimento di chi vuole nutrire forzatamente un corpo dopo 17 anni di vita vegetativa: “Lo so, cosa vuole, i bioeticisti…. Oggi sono molto di moda. Molti di loro non conoscono gli ospedali, non sono mai stati in una corsia…. Persino Papa Giovanni Paolo II ha detto: lasciatemi tornare alla casa del Padre”.

Commovente e significativo il panorama degli “ex voto” affissi nelle bacheche del Regina Elena, a Milano, da quanti sono riusciti ad avere un figlio grazie alla fecondazione assistita, nonostante i veti della Chiesa: “Ci avete dato amore e speranza…. Avete compiuto il miracolo…. Il nostro sogno si è realizzato… Bisogna credere fino in fondo, sperare e pregare che il miracolo si realizzi…. C’è un angelo in cielo che non aspetta altro che di diventare un bambino….” e così via.

Il libro di Chiaberge conia un neologismo: “dolorismo”, termine con il quale il gesuita Padre Carlo Casalone descrive una visione arcaica e un po’ sadica del cristianesimo: “Non è stato il dolore a salvarci, ma l’amore”. Purtroppo di “doloristi” se ne sono radunati un po’ più del necessario al capezzale di Piergiorgio Welby, commenta l’autore.

La donna ? Nel ’95 la Congregazione per la dottrina della fede, presieduta da Joseph Ratzinger, dice che la sua esclusione “è fondata sulla parola di Dio, scritta e costantemente conservata e applicata nella tradizione della Chiesa”; che “è stata proposta infallibilmente” dal pontefice; e che dunque “si deve tenere sempre e ovunque da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede”. Chiaro, no?

Chiaberge parla di un “crescente distacco dei vertici romani dal popolo di Dio” e di una Chiesa “istituzione anacronistica, l’ultima monarchia assoluta in Europa dopo il crollo dell’Ancien Règime, una piramide tutta al maschile in un mondo dove le donne hanno ormai raggiunto quasi dappertutto ruoli di comando”. Per contro, il mondo cattolico seguita a esprimere quella “creatività cristiana che nessuna gerarchia, per quanto ottusa, potrà soffocare”, per usare le parole di Jean Delumeau. Quest’ultimo aggiunge: “Oggi i progressi dell’embriologia ci dicono che la fecondazione dura più di venti ore, e che solo un ovulo fecondato su tre arriva a impiantarsi nell’utero. Soltanto a partire dal 14° giorno è certo che l’ovulo non darà vita a due gemelli. E allora perchè non decidere che la persona umana comincia solo quando appaiono i primi rudimenti del cervello?”. Già, perché?

Monsignor Sergio Pagano si spinge a dire: “Le cellule staminali, la genetica, qualche volta ho l’impressione che siano condannate con gli stessi preconcetti che si avevano verso le teorie di Copernico e Galileo”, ma il genetista Bruno Della Piccola, presidente di Scienza & Vita, subito lo bacchetta: “Fermare la ricerca sulle staminali embrionali non è affatto oscurantismo”. A volte, almeno in Italia, gli scienziati arrivano a essere più clericali del clero, chiosa Chiaberge.

Io credo che Gesù sarebbe stato per l'eutanasia. Intervista a Vittorio De Seta

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E sul caso Eluana Englaro cita Gesù : “Voglio misericordia e non sacrificio”. In Sardegna: “c’era la cabadora”

di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

22 novembre 2008 Intervista a Vittorio De Seta

.. Sono per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo”. ..Gandhi è diventato Gandhi dopo aver letto “il Regno di dio è in noi” di Tolstoj. Con Pasolini ha in comune la formula “Sviluppo senza progresso”

di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

L’8 settembre 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo gira a Pentedattilo, in provincia di Reggio Calabria, il cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione: “Articolo 23.Pentedàttilo” che sarà presentato il prossimo primo dicembre al Teatro Argentina in Roma.

Nato in Sicilia (Palermo, 1923) da nobile famiglia di origini calabresi, il maestro del film documentario italiano vive a Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, dove cura le sue tenute. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Architettura nel ”41 fu allievo ufficiale dell’Accademia Navale di Livorno. Dopo l’armistizio fu internato in Austria dai nazisti. Liberato nel ”45 ricomincia a studiare e inizia ad occuparsi di fotografia e di cinema. Nel ”53 collabora come aiuto regista ne “Le village magique” di Jean Paul Le Chanois e, sempre nello stesso anno, affianca Mario Chiari in un episodio di “Amori di mezzo secolo“. Il suo nome, nel dizionario del cinema dei registi mondiali dei tipi Enaudi, sta tra quelli di De Santis e De Sica. A partire dal ”54 sino al ”59 scrive e dirige una serie di documentari cortometraggi considerati oggi veri capolavori del cinema mondiale: Lu tempu di li pisci spata (1954 min 10′.04” ); Isole di fuoco (1954 min 09′.02” ); Surfarara (1955 min 09′.39”); Pasqua in Sicilia (1955 min 08′.12” ); Conrtadini del mare (1955 min 09′.24” ); Parabola d’oro (1955 min 09′.39” ); Pescherecci (1958 min 10′.02” ); Pastori di Orgosolo (1958 min 09′.54” ); Un giornoin Barbagia (1958 min 09′.27” ); I dimenticati (1959 min 16′.56” ). Straordinari documenti originariamente in Ferraniacolor e Cinemascope oggi digitalizzati e ripubblicati ne “Il mondo perduto” assieme a “La fatica delle Mani”,una raccolta di scritti su Vittorio De Seta a cura di Mario Capello che accompagna il dvd e in cui spiccano “La sabbia negli occhi” di Roberto Saviano, “su Banditi a Orgosolo” di Martin Scorsese, “una conversazione con Vittorio De Seta” di Goffredo Fofi, “Il metodo verghiano di De Seta” di Vincenzo Consolo, “De Seta: la Grande del documentario” di Alberto Farassino, “L’arcaico e la trasmissione della conoscenza” di Marco Maria Gazzano, “Un lungo viaggio verso il mondo perduto” di Gian Luca Farinelli. Nel ”61 De Seta esordisce col 35 mm nel lungometraggio con “Banditi a Orgosolo” ( Italia, 1961 – 98 min., 35 mm b/n). Seguono “Un uomo a metà” ( Italia, 1966 – 93 min., 35 mm, b/n) osteggiato dalla critica ma che ottenne riconoscimenti a Venezia e lodi da parte di Pierpaolo Pasolini e Moravia,  “L’invitata” ( Italia-Francia, 1969 – 90 min., 35 mm, col.); Diario di un maestro” ( Italia, 1973 – 270 min. 4 episodi , 16 mm, col.) evidenzia la problematica della scuola italiana e il vero scopo della scuola non finalizzata all’ottenimento di una promozione o di un diploma ma piuttosto come preparazione alla vita, la formazione del carattere e della personalità. Tutti temi ripresi in “Quando la scuola cambia” ( Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.) con cui De Seta, rispondendo a chi gli sottolineava  dopo l’uscita di Diario che quel maestro era finto e che non poteva attuarsi quel tipo di scuola, descrive quattro casi di scuola d’avanguardia, in Lombardia e in Puglia. Successivamente De Seta gira “La Sicilia rivisitata” ( Italia, 1980 – 207 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Hong Komg, la citta dei profughi” ( Italia, 1980 – 135 min. 3 episodi , 16 mm, col.), “Quando la scuola cambia” ( Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Un carnevale per Venezia” ( Italia, 1983 – 56′ min., 16 mm, col.). Con “In Calabria” ( Italia, 1993 – 83′  min., 16 mm, col.) ritorna alle tradizioni, al racconto della realtà ancestrale in cui un paese, un villaggio erano una comunità. In “Lettera dal Sahara” ( Italia, 2004 – 123′ min., col.) De Seta racconta l’immigrazione nel mondo di oggi con la storia di Assan, un senegalese sbarcato a lampedusa e che, in meno di sei mesi, risale l’Italia passando per Napoli, Prato, Torino e cambiando ogni volta lavoro. E sul lavoro che nel settembre 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, gira in provincia di Reggio Calabria un cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione, il lavoro. “Articolo 23. Pentedàttilo” (Italia, 8 settembre 2008 – min. 05′ 49” , col) è un cortometraggio in cui immagini, musiche delle Calabrie ti accecano e raccontano. Pentedàttilo, a sud dell’Italia, è stato abbandonato dagli abitanti partiti in cerca del lavoro. Ma altri emigranti, ancora più poveri, arrivano a prenderne il posto.

Lo scorso 28 ottobre, Vittorio De Seta,  ha voluto farci l’onore di redigere la prefazione per “La Calabria”, una raccolta di canti sacri, leggende, canti popolari,tratti dall’omonima rivista di letteratura popolare edita in Monteleone, dal 1888 al 1902 e che gli scriventi stanno curando e stiamo per pubblicare.

Abbiamo pensato al maestro per la prefazione a questa  raccolta perché i documentari di De Seta, lodati dalla critica nazionale ed internazionale, non raccontano ma mostrano la realtà e ripercorrono, nel tempo che celebra il culto mediatico, il mondo perduto che fu non per esorcizzare o evadere la realtà ma per recuperare il senso delle cose dai segni, dai simboli ancora carichi di sacralità laica perché vere, umane.

Siamo andati a trovarlo in una giornata tempestosa, con il vento che piega la pioggia come le canne, per ringraziarlo della sua disponibilità e cogliendo l’occasione per fargli qualche domanda …..Antico e aspramente contemporaneo, la forza delle immagini dei cortometraggi che riescono a far parlare alberi, animali, vento,  mare, a tradurre in racconto il rumore, ora lieve ora travolgente della vita.

Lo incontriamo nella sua casa di Sellia Marina (CZ), facendo fatica a non distrarci dal nostro dialogo per guardare le sue cose,volti e corpi che diventano compagni di cammino.

D: Nella fase in cui si trovano oggi l’Italia e il mondo nella crisi globale, cosa è diventato oggi il lavoro?

R: Io ho fatto il lavoro manuale, sono stato due anni prigioniero. Una volta il lavoro in un certo senso era creativo .. perché il lavoro manuale è creativo. Uno fa un lavoro. vengono qui gli operai, una siepe, è finita e la vedi. Ma l’alienazione consiste nel fatto che ci sono degli operai in certe fabbriche meccaniche, che fanno dei pezzi che non sanno neanche che cosa sono, dove vanno. Se sono pezzi d’automobile o pezzi di un qualsiasi altro meccanismo. Perché ormai è fatto tutto per appalti. La fiat non è che produce, appalta tutte le parti. la cosa non può funzionare. Non fosse altro che per il fatto che per quattro milioni di anni si sapeva che cosa si faceva. Capito? La vita media poteva essere, che ne so, quarantacinque anni, mortalità infantile, gravidanze, ….figuriamoci, malaria, tubercolosi. Ci siamo liberati da questo, però si è perso un qualche altra cosa che era fondamentale. E che si sarebbe potuto mantenere.

D: Cosa ti piace di oggi?

R: Di oggi? E’ bellissimo voglio dire. Un trattore è una cosa bellissima, e non è che non si può usare. Non c’era bisogno di buttare tutto il resto. E’ un’incredibile imprevidenza da parte delle classi dirigenti. degli intellettuali. Nessuno ha dato l’allarme di questo. Che io sappia. salvo un americano: Torou, che a un certo punto ha detto che bisognava distruggere le macchine.

D: Finalmente hanno capito chi è Vittorio De Seta. In Italia, …

R: Adesso forse…, Saviano?

D: Guardando i cortometraggi di De Seta si ha la netta sensazione di conoscere il tempo nelle sue varie scansioni, di conoscere il vento, di vederlo, di assaporarlo, di sentirlo. Oggi è una giornata De Setiana.Abbiamo visto le canne piegate dal vento. Nel cinema di De Seta è la stessa cosa. I tuoi documentari ripropongono esperienze di vita. De Seta scandaglia il fondo delle cose e dell’animo umano della cultura popolare?

R: Si, in sostanza, la cultura contadina che è la cultura popolare, che era proprio la storia dell’uomo come evoluzione lenta, è stata buttata a mare. Io faccio sempre il paragone, forse ne ho già parlato. Insomma, si va sempre indietro. Già si parla dell’Umo da 4 milioni di anni. Io dico: 4 milioni di anni sono 42.000 secoli; 42.000 secoli sono come i metri della maratona. Sono 42.195 metri. Il progresso prende gli ultimi due metri. Nessuno parla mai di questo. Il nostro cervello si era sviluppato lentamente fino al 1827 quando è entrata in campo la locomotiva, tanto per stabilire una cosa. E li c’è stato un movimento. Un’accelerazione esponenziale. Per cui io sento che noi non facciamo più fronte. La vita è proprio cambiata. I documentari ripropongono quell’esperienza di vita che poteva avere un uomo siciliano di cinquant’anni fa. E quindi quella di sempre. Mi segue? E quindi gli odori, i sapori, i suoni. Tutto. Noi siamo stati privati di questo patrimonio, in cambio del progresso. Però a questo punto io dico che il frigo e questo telefonino (prendendo in mano il suo cellulare) l’abbiamo pagati troppo caro. (minuti 4′:20”.11)

D: Maestro, hai conosciuto Pasolini?  Com’ era Pasolini?

R: l’ho visto 4 5 volte in tutto. Intanto molto generoso, molto anche impulsivo, diretto. Lui, ad esempio, quando ho fatto un uomo a metà che è stato letteralmente linciato da una parte della critica ma che è andata in corto circuito a Venezia, e poi adesso sempre meglio capisco perché, lui è intervenuto. Ha parlato di cinema di poesia. Anche Moravia aveva fatto una buona critica. Però non è servito perché l’hanno massacrato passando pure notizie false. Quello che più ho di più lui (Pasolini ndr) è la formula “sviluppo senza progresso” . Tutto il resto per esempio, leggendo quegli articoli del Corriere della Sera, ecco, dovrei rileggerli. Ma non c’è mai tempo. Mi sono ricomprato il volume di Gramsci, non si fa più in tempo a seguire, a capire. (minuti 1′:23”.17)

D: Maestro, con Moravia che rapporto avevi? Com’era Moravia

R: No, Moravia era bravo, lui faceva la critica sull’espresso.

D: E’ venuto in Sardegna?

R: No, lui dirigeva una rivista. “Nuovi argomenti” che, mi pare nel ’57 o ’58, ha pubblicato un’inchiesta di Franco Cragnetta che era un antropologo sociologo. F. Cragnetta aveva fatto “a Orgosolo” raccontando Orgosolo, raccontando la famosa disamistate a cavallo della guerra mondiale. Una faida interna al paese. E proponendo questo paese che era rimasto fuori dalla storia.

D: Lui era un’esistenzialista?

R: Moravia? I titoli, una noia. Io ripeto, non lo conosco bene. Non ho avuto il tempo. Io per esempio Purz non l’ho letto. Non ho fatto in tempo. Però qualche anno fa ho passato due anni a rileggere solo Tolstoj. Perché Tolstoj oltre ai romanzi ha scritto dei saggi morali bellissimi. Gandhi è diventato Gandhi dopo aver letto un libro di Tolstoj che si chiama “Il Regno di Dio è in noi“. Una frase che c’è nel vangelo.

D: Che rapporto ha con la fede De Seta?

R: Questo è molto complesso. Io non riesco a rinunciare alla ragione. Se la fede è rinuncia alla ragione allora non ho fede. Ho una grande devozione, come dire, un’ammirazione immensa per Gesù. Per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo. Cioè questa revisione, questo abbandono totale. Questa deve essere roba…, Tolstoj l’ha approfondito in questo libro che ho ma ma è in inglese e non riesco a leggere. Si chiama Critica della teologia dogmatica. I discorsi diventano troppo lunghi. In sostanza, Tolstoj mi ha insegnato che al di la della versione chiesastica, diciamo, di Gesù, della dottrina di Gesù. Che si riassume nel credo, che è stata annunciata a Nicea nel 300 d.C.. Al di la di questo, la dottrina di Gesù è un’altra cosa, contrasta enormemente.

D: Tu innamorato di San Paolo?

R: Si, si. Ma soprattutto di Gesù perché è stato falsato. Forse non si poteva fare altro. San Paolo lo stesso. Cioè praticamente: Gesù è un profeta. Infatti Lui dice(va) sempre: “è stato detto occhio per occhio ma, Io vi dico …..”. Quindi Lui era venuto a cambiare. Quella frase che c’è nel vangelo: “Sono venuto soltanto a compiere”. Non è vero. Però … nel cristianesimo c’erano le sette giudeo cristiane che hanno mantenuto il vecchio testamento. Però fra il vecchi e il nuovo c’era un contrasto enorme.  (minuti 4′:18”.05)

D: Riesci ad esprimere questo nei tuoi lavori ? Che Gesù è stato falsato?

R: E no. Io volevo fare, ma non ce la farò. Insomma, non tutto il vangelo, un film su una parte del vangelo per cercare di spiegare. C’è un grosso equivoco di base. Cioè la dottrina di Gesù viene sempre espressa come un qualche cosa di meraviglioso ma astruso, inattuabile, metafisico. Mentre invece no. Tolstoj mi ha insegnato che è profondamente razionale. Quando Gesù dice quei paradossi, che sembrano paradossi, “ama il tuo nemico”. In realtà è giusto, è vero. E la gente lo sente tant’è vero che a questa dottrina la gente aderisce. Però poi è invalsa la consuetudine di dire: va bene, però questi sono sogni, la realtà è un altra. E quindi, per esempio, il Male. la chiesa riconosce il male, mentre invece Gesù non lo riconosceva. Oppure lo riconosceva come diminuzione di bene, ecco, non come entità autonoma.

D: San Paolo in un certo qual modo ha divinizzato….

R: San Paolo ha dovuto fondare una chiesa che è un istituto secolare. Che è uno Stato oggi, che ha una guardia svizzera, una guardia armata. Gesù diceva che – quando manda in giro i discepoli –  che non dovevano portarsi neanche i sandali di ricambio. Neanche la bisaccia, forse neanche il bastone. Insomma, è differente nei vari vangeli. Li (nella chiesa ndr) abbiamo il Vaticano con la cappella sistina …. (minuti 2′:00”.86)

D: Parlando di nuovo di chiesa, lei diceva, raffigurava nelle sue parole una contrapposizione tra religione e religiosità sentita dalle persone. Oggi questo tema la chiesa lo ripropone per il caso  Englaro, come fu per Piergiorgio Welby..

R: Nel Caso?

D: Eluana Englaro, quella ragazza …

R: Si, e quello non l’ho seguito per niente.

D: In buona sostanza la situazione è la stessa cosa di Piergiorgio Welby….

R: Cos’era la sacralità della vita?

D: La sacralità della vita difesa fino all’ultimo tant’è che adesso in pratica si propone una petizione al Parlamento europeo per cercare di annullare tre gradi di giudizio più una sentenza della Corte costituzionale che già si sono espresse a favore di Beppino e della famiglia Englaro nella richiesta di veder rispettata l’autodeterminazione.

R: Detto proprio in soldoni. La chiesa quando dice così tradisce. Perché Gesù, credo che nel vangelo è riportato tre o quattro volte, Lui dice: “voglio misericordia e non sacrificio”. E’ tutto li. Mantenerla in vita è un sacrificio. Per lei (Eluana ndr), per la famiglia, per tutto. Io credo che Gesù sarebbe stato per l’eutanasia. Perché è la cosa logica, è razionale. Non c’è niente di irrazionale, niente di astruso, niente di metafisico nella dottrina di ..(Gesù ndr). Se tutti facessimo così credo che vivremmo in pace meravigliosamente.

D: Nella cultura delle nostre tradizioni, come per il caso dell’aborto clandestino che c’era la figura delle mammane, esistevano delle figure simili per quanto riguarda l’aiutare a far soffrire meno nella morte?

R: In Sardegna c’era sicuro. C’era la cabadora, la cabadora  (deriva ndr) dallo spagnolo. Cioè, quando c’era qualcuno che era così, in difficoltà, e provvedeva lei. Quando la situazione era insostenibile. Quindi la saggezza popolare aveva trovato il rimedio. Perché è una questione di senso comune. Se uno accantona i pregiudizi, i principi. Umanamente una situazione così bisognerebbe intervenire, assumersi ….E’ facile dire la vita è sacra. Ma che cosa vuol dire? Abbiamo avuto i cappellani militari. La chiesa ha partecipato alle guerre.

D: Cos’è il senso di colpa per De Seta?

R: Il senso di colpa è che noi …noi veniamo dal male. Dal così detto male. Il mondo della natura si vede: c’è il male. Il mondo dei dinosauri era un mondo basato sulla violenza. Noi veniamo da la. Ce lo portiamo nell’inconscio. L’inconscio è ereditario.

D: Non c’è niente da fare insomma.

R: E si, l’uomo esprime questa contraddizione: si è instaurata, non so quando non so come, la coscienza morale però è rimasto questo ricordo ereditario del male dal quale usciamo. Mi segue?

(minuti 0′:58”.15)

D: Come liberarsi dal senso di colpa?

R: Capendo. Capendo il meccanismo. Per cui Gesù dice delle cose fondamentali. Una volta gli dicono: Tu che sei buono… E Lui (Gesù ndr) dice: “Io non sono buono, Dio è buono“. Lui si dichiarava Uomo. E poi perdona tutti: perdona l’adultera, perdona il partigiano, il brigante crocefisso vicino a Lui, perdona tutti. Lo accoglievano i pubblicani, che erano gli esattori delle imposte, quindi doppiamente spregevoli per il popolo. Perché percepivano le imposte per i Romani, che poi l’impero romano era un impero militare fiscale. Non c’era questa grandezza di Roma che si dice. S, perché facevano le strade ma in realtà spremevano sangue da tutti.

D: De Seta, come dice Scorsese, antropologo poeta?

R: A.. questo l’ha detto Scorsese? Va be questo riguarda i documentari. Si, ma perché io neanche me ne rendevo conto quando li ho fatti. Adesso, ha ragione (Scorsese ndr), c’è – come dire . un’interpretazione religiosa della vita. si sente nei documentari. Li avete visti adesso quelli restaurati? Perché una volta era così. C’era…., c’era la soggezione per il mistero. Cioè si riconosceva che c’era un qualcosa che non si può capire. La saggezza popolare questo lo aveva intuito. Mentre invece, oggi … E’ come la parabola dei vignaioli omicidi che c’è sempre nel vangelo. Quella è illuminante. Il padrone, cioè Dio, costruisce una vigna, la circonda di un muro, insomma, e poi la consegna a questi vignaioli. Poi quando manda a prendere l’affitto, manda i profeti, questi li maltrattano, qualche volta li uccidono. Allora Lui dice: manderò mio figlio almeno avranno rispetto di lui. Di questi temi, di queste cose non se ne parla mai. Il materialismo è questo. Si parla solo della pensione, l’ambiente. Cose sacro sante, per carità. Però questo e basta. S’è perso quel senso… quando si dice gli antichi, che poi noi giudichiamo spregevoli, ignoranti, arretrati, il popolo rozzo, violento. Ma quando mai! Avete visto i dimenticati?

Quello era e ancora in parte è. Quindi è tutto un inganno. E’ tutto un’impostura. Questo è il fatto.

D: Pensa di essere stato, in un certo senso, scomunicato per aver detto verità scomode?

R: Si, ma queste cose poi non le ho mai scritte. Però basterebbe riprendere Tolstoj. Non è che uno vuole fare chissà che. Non c’è questo assunto di originalità. …… Tolstoj a un certo punto ha finito di scrivere. Ha smesso di scrivere narrativa, romanzi. Perché la chiesa ortodossa l’ha scomunicato. E poi ancora oggi è all’indice. Nessuno ne parla. E’ una personalità, uno dei più grandi uomini del secondo millennio.

Ernesto Nathan, il sindaco blasfemo

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Erensto Nathan e il XX Settembre. A cent’anni dal suo mandato serve ancora l’esempio laico?

di Giuseppe Candido

Ernesto Nathan - Wiki
Ernesto Nathan – Wiki

Parlando del XX settembre con un amico proponevamo di organizzare qualche cosa anche in Calabria per ricordarla e farla diventare festa nazionale di laicità

Pannella addirittura vorrebbe celebrare il prossimo 20 settembre a Londra. Affinché l’evento cancellato dalla memoria delle istituzioni nazionali (il 20 settembre del 1870 la Roma vaticana cadde sotto i colpi dei Bersaglieri e dei Garibaldini) torni ad essere evento nazionale ed europeo. Un evento per la Patria europea.

Per capire che centra Londra con il 20 settembre e l’Unità d’Italia bisogna fare un passo indietro e ricordare chi fosse Erenseto Nathan: nato a Londra nel 1845 e Sindaco di Roma dal 1907 al 1913.

Ricercando su wiki alla voce “Erenesto Nathan” si scopre non solo che fu sindaco di Roma ma che, poiché figlio di Sara Levi, imparentata dal lato materno con la famiglia Rosselli, e di Meyer Moses Nathan, di nazionalità tedesca ma vissuto per molti anni a Parigi, ebbe occasione fin dall’infanzia di respirare aria europea e democratica. Nella sua casa londinese, infatti, avevano accesso molti esuli italiani tra i quali Mazzini. L’amicizia profonda che legava Mazzini alla famiglia Nathan influì sulla formazione del giovane Ernesto. Dopo la morte del padre, Mazzini lo richiamò da Londra e lo inviò a Roma, dopo il 20 settembre 1870, incaricandolo di amministrare il giornale “La Roma del Popolo”, un mezzo attraverso cui formare la coscienza civile degli Italiani. Ma presto Nathan si dedicò alla politica, con impronta fortemente laica e anticlericale. Dal 1879 aderì alla sinistra storica, nello schieramento di Francesco Crispi e nel 1888 ottenne la cittadinanza italiana.

Nathan, che può esercitare i diritti politici poiché il Parlamento gli ha concesso la cittadinanza italiana, viene eletto Consigliere provinciale a Pesaro, dove dal 1889 al 1894 guida l’opposizione, e nel 1895 è al Consiglio Comunale di Roma come Assessore all’Economato e ai Beni patrimoniali. Nel 1895 si presenta, senza successo, come candidato dei radicali e dei repubblicani alla Camera dei Deputati impostando la sua campagna elettorale sull’allargamento del suffragio universale, sull’indipendenza della magistratura, sul restringimento del potere esecutivo. Attacca Crispi per lo scandalo della Banca Romana, che aveva concesso illegalmente crediti a uomini politici, e per sperpero del pubblico denaro; ma attacca anche politici, giudici e amministratori pubblici per smascherarne comportamenti contrari ai principi etici che debbono doverosamente appartenere a chi si occupi della “cosa pubblica”.

Allo scoppio della rivoluzione russa del 1917, Nathan affronta anche il tema della difesa del diritto di proprietà criticando la lotta di classe proponendo – in alternativa – una linea economica basata sul cooperativismo e, quindi, sulla partecipazione di tutti i soggetti alla produzione e agli utili dell’impresa. Un comunista italiano precursore dei tempi.

Nel 1907 diviene Sindaco di Roma sostenuto dal cosiddetto “Blocco”, una lista elettorale comprendente liberali, demo-costituzionali, repubblicani, radicali, socialisti che si caratterizzano come anticonservatori e anticlericali.

La sua amministrazione, durata fino al 1913, fu improntata ad un forte senso d’etica pubblica di dichiarata ispirazione mazziniana, ed ebbe come baricentro principalmente due questioni: lo sforzo di governare la gigantesca speculazione edilizia che si era aperta con il trasferimento della capitale a Roma, e un vasto piano vasto d’istruzione per l’infanzia e il sostegno alla formazione professionale pensati e realizzati in chiave assolutamente laica.

Nel 1909 fu approvato il primo piano regolatore di Roma, che definì le aree da urbanizzare fuori le mura, tenendo conto del fatto che il 55% delle aree edificabili era in mano a otto proprietari.

Si avviò anche una politica di opere pubbliche. Come si legge nel sito del comune di Roma, “Il cinquantenario dell’Unità d’Italia, nel 1911, fu l’occasione per Roma di avviare un programma urbanistico rinnovatore. Ernesto Nathan, sindaco in quegli anni, sfrutta tutti i finanziamenti possibili per realizzare edifici e opere che diventano i simboli di Roma capitale del regno. Sono inaugurati in quell’anno il Vittoriano, il Palazzo di Giustizia – che i romani battezzano subito il “palazzaccio” -, la passeggiata archeologica (un grande comprensorio di verde pubblico, oltre 40.000 metri quadrati tra l’Aventino e il Celio) e lo stadio Nazionale, l’attuale Flaminio, il primo impianto moderno per manifestazioni sportive.”

Durante l’amministrazione Nathan furono inoltre aperti circa 150 asili comunali per l’infanzia, che fornivano anche la refezione. Un numero più che rispettabile, se si pensa che Roma ha, oggi, non più di 288 scuole materne comunali.

Nel 1870 il tasso di analfabetismo è del 69%, e il numero di elettori è pari al 2% circa.  L’istruzione del popolo, legata strettamente all’educazione, come già per Mazzini, costituisce una delle convinzioni basilari su cui si fonda l’azione di Nathan: significativo il suo contributo ad edificare un istituto per corsi serali con biblioteca e sala di lettura.

Nel 1887 aderisce alla Massoneria, dove ricoprirà la carica di membro della Giunta Nazionale e Presidente della Commissione per gli studi sociali, e nel 1896 sarà eletto Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.

In questo periodo si batte per sensibilizzare i cittadini sull’importanza dei contratti di mezzadria e sulla bonifica dell’Agro romano; propone azioni di emancipazione politica, culturale ed economica per sollevare il popolo rurale dal prepotere del clero delle campagne; si pone dalla parte dei radicali e dei ceti più deboli, insomma vuole che gli ideali di “libertà – uguaglianza – fratellanza”, coniugati col fervore dell’apostolato mazziniano, divengano radicale pratica attuativa.

Il periodo storico è segnato dalla politica di Crispi e di Giolitti e dalla nascita del Partito Socialista (1892) e del Partito Repubblicano (1897), a cui si rivolgevano sempre più speranzose le masse popolari alla ricerca di un proprio riscatto. Un fermento sociale che preoccupava non poco papa Leone XIII, che nel 1891, allo scopo di arginare il diffondersi del socialismo, aveva promulgato l’Enciclica “Rerum Novarum”, e continuava ad indire Convegni antisocialisti, antirepubblicani, anticomunisti, antinichilisti, antimassonici.

Durante il suo mandato di Sindaco, che dal 1907 al 1913 precorse di 100 anni esatti di uello che invece è il mandato dell’attuale Sindaco Alemanno, Ernesto Nathan continua a coniugare i principi ideali maturati da giovane nella sua casa londinese con l’azione politica concreta. Il ruolo di Roma, capitale del nuovo Stato laico, per operare cambiamenti strutturali che migliorassero la vita economica e culturale dei cittadini.

Un’opera di riforme e rinnovamento, dunque, quella voluta dalla Giunta Nathan, che si scontrò  con le – ancora oggi mai deposte – aspirazioni teocratiche della Chiesa cattolica poco disposta, allora come ora, a rinunciare ad esercitare il proprio potere politico, e di cui Nathan denunciava dogmatismo e oscurantismo.  Un oscurantismo che oggi torna a ri-esistere.

Nathan è diventato famoso (in qualche libro di storia sicuramente) per il discorso suo commemorativo del XX settembre, discorso lucido e rigoroso, tenuto proprio a Porta Pia, dove il coraggioso Sindaco di origini londinesi denunciò l’azione clericale “intesa a comprimere il pensiero” ed “eternare il regno dell’ignoranza” contro “uomini e associazioni desiderosi di conciliare le pratiche e i dettati della loro fede, con gli insegnamenti dell’intelletto, della vita vissuta, delle aspirazioni morali e sociali della civiltà”.

Le reazioni della chiesa furono molto forti, si mosse finanche il papa, e su “L’Ancora” del 29 settembre venne scritto: “E’ il mondo cattolico che deve destituire il sindaco blasfemo e incosciente, e gridare da un punto all’altro dell’universo: rimandatelo al ghetto!”. Non rinunciando così a rinfocolare gli atavici pregiudizi antisemiti che proprio il mondo cattolico aveva seminato nei secoli, e in nome dei quali aveva creato i ghetti per gli ebrei.

Ecco che il 20 settembre si lega alla vita di Ernesto Nathan e alla sua casa londinese dove ebbe le prime influenze politiche mazziniane e garibaldine.

Sitografia

Radio radicale:

http://www.radioradicale.it/ernesto-nathan-un-grande-laico-un-grande-sindaco

Movimento radicalesocialista;

Ernesto Nathan (Maria Barbalato della sez. romana Associazione Nazionale del Libero Pensiero Giordano Bruno)

“Un funerale non si nega a nessuno tranne che a Welby. CHIESA VERGOGNA”

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di Giuseppe Candido

Roma 24.12.2006 Così un cartellone di uno dei tanti partecipanti alla cerimonia laica svoltasi oggi in Piazza San Giovanni Bosco a Roma per dare il saluto al leader radicale Piergiorgio Welby. Testualmente la scritta su un cartellone era: “Un funerale non si nega a nessuno tranne che a Welby. Lui si è rifiutato di continuare a soffrire. Per questo voi lo punite. CHIESA VERGOGNA!”. Dopo il diniego da parte della chiesa, oltretutto mediante un burocratico e freddo comunicato del Vicariato di Roma, di celebrare i funerali religiosi di Piergiorgio Welby presso la chiesa Don Bosco così come avrebbe desiderato, non Piergiorgio, bensì la mamma di Piergiorgio – Luciana Cirquitti – e la moglie Mina, si sono svolte nella Piazza San Giovanni Bosco le esequie civili per e con Piergiorgio Welby, leader politico radicale e copresidente dell’Associazione Coscioni, morto per sua volontà il 20 dicembre, con l’aiuto del medico, dott. Antonio Riccio che ha assecondato la richiesta di Piergiorgio di spegnere il ventilatore polmonare che lo manteneva in vita. Il feretro con Piergiorgio accompagnato da Marco Cappato, Marco Pannella e Mina Welby è stato accolto da un lungo applauso dalla piazza. Ad accoglierlo vi erano Maria Antonietta Coscioni, Rita Bernardini, Emma Bonino e gli altri compagni radicali. Pur avendo sostenuto gli ultimi 88 giorni la lotta pubblica di Piergiorgio Welby mediante raccolta delle firme sulla petizione popolare al P.I. per l’eutanasia, non siamo potuti essere presenti – fisicamente – ma eravamo lì in spirito con Piergiorgio Piergiorgio e per restare vicini alla moglie Mina, alla sorella Carla e a tutti gli amici radicali che con Welby hanno instaurato, negli anni, un rapporto di profonda amicizia. Non eravamo lì ma abbiamo seguito tutta la cerimonia laica trasmessa in diretta da Radio Radicale (riascoltabile sul sito www.radioradicale.it) . Per questo però non riuscivamo a capire quale fosse stata l’effettiva partecipazione della gente. Ci siamo resi conto che erano tantissime – il tg1 ha parlato di più di un migliaio – le persone in piazza, solo quando, alle 12.30, abbiamo potuto vedere alcune immagini (poche veramente) in televisione. Le immagini mostravano la piazza gremita di persone comuni – non militanti – che si stringevano ai familiari di Piergiorgio e agli amici radicali e dell’associazione Luca Coscioni. Una grande, spontanea e sincera manifestazione di forte religiosità laica delle scelte di un uomo che, sono sicuro anche senza averlo conosciuto personalmente, Piergiorgio avrà sicuramente apprezzato. Dal palco, posto a pochi metri dalla parrocchia Don Bosco che ha rifiutato i funerali e sul quale primeggiava un banner con la foto di Piergiorgio e la scritta per e con Welby si sono succeduti a ricordare il leader radicale la moglie Mina, la sorella Carla, il cugino e tanti altri amici che hanno parlato del Welby – uomo di cultura – del Welby professore che, assieme a Mina, hanno per lungo tempo insegnato. Ma è stato ricordato anche Piergiorgio che amava andare a pesca in un posto – ha ricordato il cugino – dove ha più volte chiesto, quando cominciava a comunicare ai parenti la sua volontà di morire dignitosamente, che fossero disperse le sue ceneri. Dopo i parenti, per il ricordo di Piergiorgio la parola è passata alla politica. Sul palco si sono succeduti gli interventi di numerosi politici tra cui il Senatore Ignazio Marino (Presidente Commissione Sanità), il ministro delle Politiche Comunitarie Emma Bonino, la segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, Maria Antonietta Coscioni co presidente dell’Associazione Coscioni, Marco Cappato, parlamentare europeo radicale e Marco Pannella anche lui parlamentare europeo radicale. La gente applaude subito l’intervento del Prof. Ignazio Marino quando questo rileva che “il diritto di rinunciare alle terapie non significa uccidere. Significa accettare che non c’è più nulla da fare.” Emma Bonino nel suo intervento legge un sms arrivatole prima di salire sul palco e che cita una famosa frase di Ghandi: “Siate voi il cambiamento che volete dal mondo” e ricorda come la piazza stia esprimendo “una religiosità profonda, un rispetto profondo per chi vuole vivere nella malattia e di cui spesso ci si dimentica”. Emma parla anche delle lotte di Luca prima, di Piero ora e in generale dell’associazione Coscioni siano lotte di diritto e civiltà che non possono terminare con la morte di Piero come non sono terminate con la morte di Luca; queste lotte devono essere portate avanti e proseguire con la determinazione che anche Piergiorgio Welby ha saputo insegnarci. Il ministro Bonino afferma pure che il nostro corpo non appartiene né allo stato né al governo. Intanto la gente che gremiva la piazza, intervistata chiedeva di firmare la Petizione Popolare sull’eutanasia di Piergiorgio Welby rifiuta da tutti i gruppi politici in commissione nei giorni scorsi ad eccezione del gruppo della Rosa nel Pugno e del gruppo dei Verdi. Affollati i tavoli dove la gente ha potuto firmare la petizione che chiede un’indagine sul fenomeno dell’eutanasia clandestina. Dal palco è intervenuta poi il segretario dei Radicali Italiani, Rita Bernardini che ha ringraziato Piergiorgio per la sua storia, per la sua vita e per le lotte politiche che ha portato avanti: quella sul diritto di voto ai malati intrasportabili, quella sul diritto di cura per i malati terminali e per il diritto all’assistenza domiciliare ai malati terminali. Nell’esprimere l’indignazione per il diniego dei funerali religiosi da parte della chiesa, R. Bernardini ha ricordato la vignetta apparsa sul quotidiano “Le monde” che raffigurava un Cristo, staccatosi dalla Croce che accoglie e raccoglie Piergiorgio. Questa figura del Cristo descritta dalla Bernardini, esprime la compassione cristiana mancata nei confronti di Welby e della sua famiglia ed è richiamata pure dell’intervento dell’On. Marco Pannella nel suo intervento. Nel suo intervento Pannella ricorda “i tanti Welby oggi torturati a vita o condannati all’eutanasia clandestina. Pannella ha poi parlato del dott. Riccio che ha soddisfatto il desideri legittimo di Welby augurandosi, in futuro, tanti medici che trovino il coraggio di fare, alla luce del sole nella legalità, quello che si fa clandestinamente ogni giorno.