La voce del diritto e della libertà: le gazzette nemiche dei tiranni

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La nascita e l’evoluzione di una nuova, importante, esperienza culturale

di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi

Da quando furono impiantate le prime officine tipografiche anche la Calabria ebbe allora i suoi giornali e il primo di essi fu stampato a Monteleone Calabro

 

Nell’era digitale in cui i giornali e le riviste diventano documenti elettronici in formato portatile (pdf) e quando la televisione tradizionale, che già predominava, sbarca oggi su internet e sul satellite, parlare di “vecchi” giornali, della loro nascita e della loro prima diffusione, farsi domande sul loro ruolo nella politica nazionale e locale potrebbe essere visto come anacronismo puro.

D’altronde ne è passato di tempo da quando, alla fine del ‘700 dopo che era stata concessa la pubblicità dei dibattiti parlamentari in Inghilterra Edmund Burke, filosofo e politico conosciuto come il “Cicerone britannico”, rivolgendosi ai giornalisti presenti alla camera dei Comuni, disse loro: «Voi siete il quarto potere». Quando lo fece era appena nato il quotidiano più famoso del mondo: il Times. Proprio perché politica e libera, l’attività giornalistica era allora circondata, in Inghilterra, da un rispetto che invece sul Continente, “impastoiata dalla censura, e limitata alla rissa letteraria”, non riuscì mai meritare. Allora, agli albori della stampa quotidiana, i pubblicisti erano temuti, ricercati, spesso adulati, ma mai amati. Svolgevano un’insostituibile funzione: divulgavano le conoscenze artistiche e scientifiche, aiutando il successo dell’Illuminismo e preparando indirettamente le rivoluzioni; ma proprio gli Illuministi – come gli storici ricordano a più voci – ne furono i critici più severi. Oggi che in Italia il tema della censura alla libertà di stampa è diventato drammaticamente attuale e che, allo stesso tempo, l’informazione di massa viola sistematicamente ai cittadini il diritto di “conoscere per deliberare”, ritrovarsi tra le mani un vecchio e polveroso numero della storica rivista Storia Illustrata che, nel settembre del 1962, pubblicava un articolo di Carlo Casalegno dall’attualissimo titolo “Le gazzette nemiche dei tiranni”, è davvero da considerarsi fortunosa e, per certi versi, incredibile. Un giornalista che, dopo aver svolto specifici studi, rievocava magistralmente le origini della stampa periodica documentandone meriti e limiti.

Le statistiche di 50 anni fa evidenziavano, già allora, la presenza di oltre 7000 quotidiani stampati in tutto il mondo, con una tiratura complessiva che si aggirava attorno alle 220 milioni di copie anche se, già allora, mancando i dati precisi della Cina era difficile fare un calcolo preciso. Nel 2007, secondo le statistiche attuali, si era a quota 6580 quotidiani stampati in tutto il mondo per una tiratura complessiva di 395 milioni di copie al giorno. E anche se internet, il giornale in formato elettronico e gli altri media che la rete mette a disposizione, tendono a diffondersi in modo esponenziale, la carta stampata rimane ancora il business principale dell’informazione secondo solo a quello della tv. Nato nel 1702 come organo d’informazione, il giornale quotidiano divenne in breve tempo, come sostenne a chiare lettere il Casalegno, “la voce del diritto e della libertà”. Ma la storia delle “gazzette nemiche dei tiranni” comincia assai prima. “Nel giudizio corrente, – scriveva il Casalaegno – i pionieri del giornalismo furono i Romani con i loro troppo famosi Acta diurna; ma anche in questo campo, come per la polvere da sparo o la stampa tipografica o tante altre diavolerie, sembra che la priorità cronologica spetti ai cinesi”. E questo perché, par fondato che già ai tempi di Muzio Scevola – fra il 600 e il 500 a.C. – “nel Celeste Impero usciva un bollettino con le notizie ufficiali: il Ti-Pao (Notizie di Corte)”. Ma se ciò è vero, altrettanto vero è che la stampa moderna Cinese è oggi d’imitazione occidentale. Nella tabella dedicata ai primi venti quotidiani pubblicati nel mondo spiccavano i nomi del Daily Courant e del London Daily Post (Londra – 1702). Al quarto posto La Gazzetta di Parma (1735) nata come settimanale, poi divenuta quotidiano nel 1800. Più in basso, al 16° posto, La Gazzetta di Venezia e al penultimo La Gazzetta di Mantova. Soltanto più tardi, in Italia, nascevano altri quotidiani che avrebbero avuto più o meno fortuna: nel 1824 viene pubblicato il primo numero de Il Corriere Mercantile, nel 1848 vede la luce La Gazzetta del Popolo, nel 1859 La Nazione e nel 1860 il Giornale di Sicilia. Nel 1861, mentre l’Italia era appena nata, a luglio viene stampato il primo numero de L’Osservatore Romano; seguivano Il Sole (1865), La Stampa e il meno noto L’Arena (1866). Soltanto 10 anni dopo, nel 1876, vedeva a luce anche il Corriere della Sera.

E anche in Calabria la stampa fermentava di riviste, giornali e giornalisti: La Voce Pubblica (1862), La Verità (1870), L’Avvenire Vibonese (1882) diretto da Eugenio Scalfari e La Calabria (1888) diretta da Luigi Bruzzano sono soltanto alcune delle più famose testate tra le tante vibonesi che si possono citare. Già durante il decennio della dominazione francese, subito dopo l’istituzione delle Intendenze (1806), – come ci ricorda Mario Grandinetti nell’articolo “Periodici del Risorgimento in Calabria1” – furono impiantate nelle regioni che ne erano prive, “le prime officine tipografiche, e con esse, in ogni capoluogo di provincia, nacquero i primi «Giornali», destinati alla pubblicazione di atti ufficiali di governo”. Anche la Calabria, sottolinea il Grandinetti, “ebbe allora i suoi giornali, ed il primo di essi fu quello stampato a Monteleone Calabro dal tipografo Giuseppe Veriente, sotto la data del 18 gennaio 1808, col titolo di Giornale dell’Intendenza di Calabria Ultra.

E proprio a Monteleone di Calabria, oggi Vibo Valentia dove a breve si ricostituirà il circolo della Stampa Vibonese, cominciò una nuova, importante, esperienza culturale, che, “dopo aver conosciuto momenti di fortuna alterna nel periodo del Regno borbonico, si affermò in modo notevole solo dopo il conseguimento dell’Unità d’Italia”. In tutta Europa, Penisola tricolore compresa, durante il periodo che abbraccia l’ultimo decennio dell’Ottocento ed i primi venticinque anni del Novecento, suscitarono grande interesse le cronache elettorali, le quali, com’è risaputo, rappresentarono allora uno dei mezzi più efficaci di propaganda a disposizione dei candidati e ispirarono un grandissimo numero di periodici locali di cui costituirono il tema principale. Anche a Monteleone Calabro “conobbero gli onori della stampa giornali di varia ispirazione. E se pure tra il proliferare di testate vi furono quelle che si occuparono di cronaca da caffè a Monteleone di Calabria molti giornali videro impegnati, come redattori o collaboratori o anche semplici ispiratori, “il fior fiore di intellettuali della Città e del circondario. Molti dei temi trattati ebbero, anzi, un grande spessore culturale, che riuscì alla fine ad affermarsi sul piano politico, in nome dei grandi principi ideali. Il grande amore per la letteratura, anche quella popolare, per le scienze, la storia, la filosofia, per l’arte, archeologia e le tradizioni popolari furono i motivi ispiratori di molte pagine, comprese quelle, e ve ne erano molte, satiriche e umoristiche come La Zanazara fondato da Gabriele Ionadi nel 1913 come giornale “Satirico, umoristico, illustrato”.

Guerriera Guerreri ci dà notizia delle testate nel volume “Periodici calabresi dal 1811 al 1974”. Nel 1871 nella tipografia di Giovanni Troyse nasce La Ghirlanda, giornale scientifico, letterario e artistico; dalle stesse presse vedono la luce poi, nel 1875, L’Imparziale, giornale politico, giuridico, letterario e, nel 1876, Cronaca Vibonese di Nicola Misasi. L’Avvenire Vibonese, diretto da Eugenio Scalfari dal 1882, oltre alla pubblicazione settimanale, con periodicità annuale pubblicava le “Strenne de L’Avvenire Vibonese” per le quali ebbe fama proprio per l’elevato livello culturale.

L’elenco dei giornali e delle riviste calabresi che, a partire dall’Unità d’Italia e sino all’inizio del ventennio, venivano pubblicate a Monteleone Calabro è davvero lungo. Il Primo Passo, che iniziò le pubblicazioni pure nel 1882 fu definito “Giornale degli studenti. Organo di propaganda democratica, anticlericale, lontano dal servilismo ufficiale e privato, contro ogni istituzione ostile al benessere sociale”. Era la tipografia di Francesco Raho una delle più attive della Monteleone post unitaria. Qui, nel 1888, cominciò le sue pubblicazioni anche La Calabria, rivista di letteratura popolare diretta dal Professor Luigi Bruzzano che, se pur poco apprezzata dai suoi contemporanei, fu molto rivalutata in seguito proprio per gli illustri collaboratori. Vi scrivevano infatti personaggi del calibro di Carlo Massinissa Preesterà, Ettore Capialbi, Antonio Julia, G.B. Marzano, Ottavio Ortona, Carlo Giuranna, Eugenio Scalfari e Raffaele Lomabrdi Satriani. Nel primo numero del settembre del 1888, Luigi Bruzzano presentò la sua rivista con queste parole: “Tre anni fa, quando io col mio amico Ettore Capialbi pubblicavo nella quarta pagina de “L’Avvenire vibonese” i racconti greci di Roccaforte, pochi fannulloni, miei concittadini, assordarono di grida la redazione del giornale, per indurla a smettere la pubblicazione di tutte quelle nostre chiacchiere … Le belle e dotte recensioni, che uomini illustri e miei maestri scrissero di quei racconti nell’Archivio per le tradizioni popolari e nella Rivista di filosofia e letteratura d’Italia e provenienti da taluni professori della stessa Grecia, dettero … torto a quei dottoroni da caffè, che tuttavia ci guardavano con un sorriso di scherno e di compassione. Ora pubblico a mie spese una rivista di letteratura popolare, nella quale saranno inserite in gran numero novelline greche ed albanesi inedite, e scritti che riguardano gli usi e i costumi di queste contrade. Tale impresa … sarà proseguita con coraggio, se i miei colleghi calabresi vorranno darmi una mano e se avrò il compatimento di quegli uomini illustri, che altra volta si occuparono a scrivere dei racconti greci, raccolti da me e dal mio amico Capialbi”. Nel 1889 fino alla fine dell’Ottocento nacquero a Monteleone Calabro, nelle tipografie Raho e Passafaro, molte altre testate: La luce, La Sentinella, Il Mefistofele (con un numero unico), La vendetta, La Falce, Il Risorgimento, L’Indipendente, La voce del popolo, il Presente, La Risposta, La Leva, Il Corriere di Monteleone, Sveglia, Il Risveglio, La piccola Brezia, Il Piccone, La Caldaia, Il vespro e Pro Calabria pubblicato come supplemento de Il Piccone.

Poi, nel 1900, nascono nelle tipografie di Raho e Passafaro, Il Piccolo, corriere settimanale di Calabria e Il Savoia, Gazzetta di Monteleone. Nel 1901 viene stampato Monteleone a Garibaldi, un numero unico dedicato all’eroe dei due mondi. Nello stesso anno vede la luce pure Il Vibonese, rivista di letteratura, scienze ed arte. Nel 1902, nella tipografia di Francesco Raho, nasce Libertas, periodico settimanale che sulla testata reca due citazioni: “La verità ci rende liberi” di Gesù e “La libertà ci renderà veraci” di Giordano Bruno. Nel 1903, nella stessa tipografia, viene fondato pure Lucifero. Entrambi hanno come Gerente responsabile Salvatore Licastro. Nel 1904, presso la tipografia Giuseppe La Badessa, vengono stampati i primi numeri de La Lotta, Il fuoco, nell’arte, nella vita, nell’umorismo, gazzetta politica amministrativa che aveva ben due direttori responsabili: G. Mele e A. Scabelloni. Nella tipografia Passafaro, sotto la direzione di Giuseppe Montoro, viene fondato Vita Nuova, gazzetta politica amministrativa del Circondario che si pubblicava ogni domenica. Allora la tipografia di Giuseppe La Badessa pubblica un numero unico di un giornale dal singolare titolo che evidenzia la rivalità tra le diverse testate: Risposta al giornale Vita Nuova. Esilarante, un fermento culturale eccezionale terminato soltanto con l’avvento del fascismo e della relativa censura. Nel 1905, diretto dal Francesco Ranieri nasce, nella tipografia del La Badessa, il settimanale studentesco Iride; lo stesso anno e nella stessa tipografia vengono stampati per la prima volta Il gazzettino vibonese (numero unico), Il Moto, Il Riscatto (numero unico) e Il mentore vibonese, mensile religioso letterario diretto ed amministrato dalla Parrocchia di S. Michele con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica. Sempre nel 1905, presso la tipografia di Passafaro, prende vita La rivista vibonese, giornale radicale del Circondario che si pubblicava ogni domenica.

Il fervore culturale e la rivalità tra le officine tipografiche proseguono a Monteleone pure nel 1906 quando nascono Il Tamburo, La Gazzetta Valentina, La parola degli onesti e Il Marchio. L’anno successivo vengono fondati L’Agitazione, settimanale d’interessi regionali, Il Pane, giornale socialista per i senza pane diretto da Michele Pittò, e Il Randello.

Poi, nell’ottobre 1908, viene stampato il numero unico de A Garibaldi la Massoneria di Monteleone. Dal 1909 al 1920, in poco più di un decennio, vedono la luce, soltanto a Monteleone Calabro, altre ventitré testate: Il Crogiuolo, Il Faro (1909), Il Foro valentino (1910), La Difesa, La Difesa degli interessi del Circondario, Juvenilia (1911), Il Paese e L’Ambiente (1912); La Zanzara (1913), Il Pensiero del Circondario e Libera parola (1914); Il Pennello, L’Avvenire, La Fiaccola (dall’ambizioso titolo sotto testata: “Organo per la difesa dei supremi interessi della Scuola e della Calabria”) e La Fronda (1915); Nel 1918, in occasione della fine del conflitto mondiale, presso la tipografia di G. Raho venne stampato un “numero unico” de I Nostri Eroi con l’evidente intento di celebrare e commemorare i caduti della nostra Terra durante la guerra. Nel 1919 nascono poi Il Giornale di Monteleone, La Favilla, La libera Calabria, ed il quindicinale della gioventù Satana. Nel 1920, per cura della Sezione socialista di Monteleone, viene fondato il “Quindicinale per la propaganda socialista” Calabria Rossa e, presso la tipografia di Giuseppe La Badessa il Gloria! Giornale del fiumanesimo in Calabria.

L’attività giornalistica continuò a fervere a Monteleone e in tutta la Calabria, dal Pollino allo Stretto, nascevano giornali e riviste di cui ha senso custodire oggi la memoria. Immaginiamo un archivio unico dei giornali calabresi magari consultabile anche on line attraverso le nuove tecnologie di internet. Anche perché, alcune di quelle domande che Casalegno si poneva nel 1962 sono ancora oggi assai attuali per il ruolo e il futuro del giornalismo. I giornali furono “strumento d’interessi governativi, nazionali, economici? Oppure rappresentano una vera manifestazione di libertà di parola? Semplice mezzo di propaganda o vero interprete dell’opinione pubblica? Furono insomma, arma passiva in mano al potere politico, o riuscirono ad essere autentico «quarto potere»?

Considerate le condizioni in cui versa oggi sia la stampa locale sia quella nazionale, per chi affronta la professione giornalistica e per chi ancora crede che l’informazione sia davvero il “quarto potere”, sarebbe necessario porsi oggi queste domande, magari proprio mentre si scrive un articolo o mentre si conduce un’inchiesta.

1In «Rassegna storica del Risorgimento», a. LXXIX (1992), Fasc. I, p. 3

 

“Avanti figliuoli, per la vittoria o la morte”.

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In memoria di Antonino Scalfari, giornalista politico e uomo di grande cultura calabrese

di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi


*A Nino Scalfari

Troppo alta la meta, troppo alta la stella

che a te folgorava dai celi profondi,

veemente il tumulto di giovani mondi,

creati da te, nell’anima bella.

*di Vincenzo Lo Preiato/ L‘Azione, Anno I n°5, Aprile 1921

Nelle prime ore del mattino del 28 marzo del 1921, si sparse in Città fulminea la notizia ferale che Nino Scalfari, il valoroso Soldato, il mutilato eroico, il professionista esimio, “avea cessato di vivere nella vicina Bivona”. Sono passati quasi novant’anni ma il suo esempio, l’esempio di un politico giornalista e di un uomo di cultura che combatte per la libertà e per la sua terra, può essere utile a noi calabresi che, da sempre, ricerchiamo il “riscatto” dalla nostra condizione subalterna. “La triste nuova corse di bocca in bocca e Monteleone tutta rimase scossa, incredula della sciagura e con la speranza viva che la notizia non fosse vera. Avvenne un vero pellegrinaggio”. Poi il trasporto della salma e l’annunzio ufficiale alla cittadinanza da parte dell’amministrazione Comunale di cui pure faceva parte per il bene del Paese.

NinoScalfari L'Azione
NinoScalfari L'Azione (A. I n°5 ed. straordinaria nel Trigesimo della morte di Antonino Scalafari"

Nel trigesimo dalla morte di Nino, il 27 di Aprile del 1921, lAzione, periodico “politico amministrativo del circondario” di Monteleone (oggi Vibo Valentia), una delle tante testate edite nei primi decenni del secolo trascorso in Calabria, pubblicava un intero numero monografico (A. I n°5), un’edizione straordinaria, interamente dedicata al ricordo dell’“eroico Scomparso” di cui tutti, oggi, conoscono il famoso nipote giornalista e a cui pure Gabriele d’Annunzio aveva porto l’omaggio estremo inviando, in gentil dono, un’ “aulente rosa”. Nell’editoriale della redazione si legge che quel dono illustre “Era il mistico omaggio de’ legionari audaci al glorioso fratello d’armi, quanto mai straziato dal voto – che non potea appagarsi – di essere ancora una volta dove il fiore dell’Italica giovinezza combatteva l’estrema battaglia dell’ideale patriottico”. “Oggi – si legge nell’editoriale – , trigesimo della scomparsa di Nino Scalfari, noi vorremmo vedere – come un giorno fu visto davanti alla fossa di Trento, sacrario di Cesare Battisti – il Poeta – soldato, le mani ornate di lauro e di quercia, chino e fremente dinnanzi alla tomba di Nino Scalfari, per interrogare lo spirito, per celebrare degnamente le gesta”. L’intero numero del periodico è dedicato al “Tenente volontario” che a 23 anni soltanto era stato ucciso raccogliendo, a Bosco Lancia, “le rose rosse di sangue” che fina da giovinetto precocemente maturo, “aveva sognato, leggendo i poeti del nostro “Riscatto”, come il più bell’ornamento della sua vita fervente”. Ma perché dedicare un intero numero, addirittura un’edizione straordinaria, per ricordare questo calabrese? A spiegarcelo è l’attenta lettura dello “speciale” del giornale su cui vennero pubblicati gli interventi a firma di numerosi personaggi dell’epoca che ne partecipavano il dolore per la scomparsa: l’avvocato N. Froggio, Sindaco di Monteleone, il Cav De Feo, sottoprefetto, l’avvocato Morabito per l’associazione Combattenti, il Dottor Romei per la massoneria e il Professor Cremona in rappresentanza del Regio Liceo di Filanderi presso il quale, Scalfari, aveva eseguito gli studi liceali prima di recarsi a Roma per conseguire la laurea in Giurisprudenza. Persino la solenne commemorazione al Consiglio Comunale che fu tenuta il 22 di aprile del 1921, a poco meno di un mese dalla morte, venne trascritta e pubblicata per ricordare degnamente la figura di “uno dei suoi migliori componenti scomparsi”. Un Consiglio Comunale, quello di Vibo Valentia, cui Nino Scalfari, con la sua cultura e la sua “operosa giovinezza”, avrebbe potuto certo apportare lustro. “Con la repentina e tragica scomparsa di Lui la Patria ha perduto un altro dei suoi figli diletti e devoti, che per essa sacrificarono entusiasti la loro giovane esistenza!”. Nato a Monteleone il 23 luglio del 1891, Antonino Scalfari, detto Nino, laureatosi in giurisprudenza non aveva mai trascurato le “belle lettere”, che aveva amato sin dai tempi del liceo dove, ben presto, aveva dato “prova di vivo ingegno e di una fierezza d’animo che costituì più tardi una delle doti precipue del suo temperamento”. A Roma aveva conosciuto uomini, studiosi e letterati come Lauro Adolfo De Bosis, eroico liberale, e “le grandezze delle glorie e delle memorie di Roma Eterna valsero negli anni di poi a purificare e innalzare sopra ogni altra passione del suo nobile cuore” che gli consentirono una molteplice e varia attività artistica. Importanti Riviste di cultura di Roma come “Sapientia”, “Il Soldato”, oltreché la “Rivista Calabrese”, quotidiani e periodici l’ebbero come collaboratore. Figlio d’arte poiché, per un periodo il padre Eugenio aveva diretto l’Avvenire Vibonese, nei cenni biografici pubblicati da l’Azione, si legge che Antonino fu non soltanto un bravo giornalista ma anche un “conferenziere colto e oratore simpatico sia che commemorasse Michele Morelli; o segnasse lucidamente i limiti dell’azione della Chiesa Cattolica; o infine in Consiglio Comunale difendesse gli interessi e i bisogni del Paese”.

Nino Scalfari
Nino Scalfari (Monteleone di Calabria 23 luglio 1891 - Bivona 28 marzo 1921)

A soli 19 anni, nel 1911, dopo aver letto “La canzone d’oltremare”, il carme di Gabriele d’Annuzio, lo commentava sul settimanale di Monteleone Iuvenilia con queste parole: “A leggerla, l’ode parrebbe mancante di forza, e si attende fino all’ultimo il punto saliente. In certo qual modo potrebbe essere vero; ma essa non è canto di guerra, è augurio dopo il compito fatto e l’opera compiuta. Il poeta vede la vittoria e la fine. Non abbiamo noi vinto? E chi? … Noi stessi!”. A soli 19 anni il discepolo ricercava il pensiero del Maestro scoprendolo in tutto il suo concetto profondo: “Diciamo pure, ora che i nostri, davanti a leoni pugnaron da uguali, ora che il sangue latino fu versato sulla terra alla quale l’Italia pur sorride benigna da lungi, noi abbiamo vinto noi stessi, la nostra diffidenza in noi e nei difensori nostri, e ci siamo svelati”.

Era nel fiore degli anni e nel “pieno vigore dell’ingegno quando una notte tragica e fatale il suo il suo Destino si volse alla morte!”. (…) “Cadde da combattente: grondante di sangue ma sereno e sorridente”. Per volontà unanime dei suoi concittadini il suo nome venne inciso sulla stele che ricorda ai posteri i caduti gloriosi così come si “incise indelebile, nell’animo di chi lo conobbe”.

Un giovane, “L’Esteta Scomparso”, secondo il ricordo di Pietro Buccarelli, cui addirittura Giulio Rodino, allora Ministro della Guerra, nell’aprile del ’21 rivolse il suo estremo e “referente saluto” con una lettera indirizzata all’“Illustrissimo Professroe Eugenio Scalfari”, padre di Antonino: “Ho appreso con vivo rincrescimento la notizia della morte del suo figliuolo Capitano invalido di guerra, e mi associo con sincero animo al suo dolore. Penso, nondimeno, che le verrà di conforto la certezza che questa giovane esistenza, già duramente provata nell’ultima guerra d’Italia, ed ora così immaturamente troncata nel suo fiorire, vivrà perenne nella storia dei figli d’Italia che col dono delle più pure energie seppero elevare il monumento grandioso delle nuove sorti della Patria. Alla memoria di questo valoroso suo figliuolo mando il mio reverente saluto”.

Nell’Orazione del Avv. Conte Alfredo Sacchetti pronunciata, durante commemorazione che si tenne il 10 aprile del ”21 nel Tempio della Loggia Vibonese con l’intervento della Loggia “Michele Morelli”, in memoria di Nino Scalfari e, pure questa, pubblicata da “l’Azione”, si leggono i principali tratti, tutti “radiosi”, che da soli potevano “rendere illustre anche una vita che avesse compiuto tutto il ciclo normale dell’umana esistenza”: il sentimento del dovere, del bene inteso patriottismo, dell’umanesimo più puro e più santo, erano “instillati nell’animo” di Antonino che, “Sotto la rigida, quanto amorevole, direzione del padre Eugenio, studiò e si distinse sempre, nel nostro ginnasio e liceo Filangeri”. Questo esempio può dunque risvegliare le coscienze, può servire alle giovani generazioni che spesso sono senza ideali, non credono in qualcosa. Serve per creare, per immaginare mondi migliori. Serve all’Italia e serve alla Calabria di oggi il ricordo di Nino Scalfari, un calabrese giornalista, un liberale, un patriota che con la cultura tenne alta la meta, la stella che, noi pure, dovremmo innalzare ai nostri orizzonti.

A Nino Scalfari*

Troppo alta la meta, troppo alta la stella

che a te folgorava dai celi profondi,

veemente il tumulto di giovani mondi,

creati da te, nell’anima bella.

L’Italia ti chiese il giovane sangue;

il giovane sangue le ha dato, e un’idea

soltanto, cadendo, nel cuor ti arridea:

la terra d’Italia più schiava non langue.

Il corpo stremato ai ferri che sanno

richiese un ristoro, ma i ferri han tradita

la sempre gemente, squassar la ferita:

pure l’aure del mare leniron l’affanno!

Ma l’anima intatta, intatta la mente

fisavan la meta, fisavan la stella,

e ancora il tumulto, ne l’anima bella,

dei mondi creati si fea più veemente.

E un giorno tremasti! Non erano impàri

le forze, pensavi, al fine agognato? …

Qual’è l’avvenire del corpo stremato

se cadono i sogni a l’anima cari? …

Or tutto rivive, or Cristo risurge;

dell’anima è Cristo l’immagine vera;

risurga quest’anima con Lui nella sfera

beata, ove pure lo spirito assurge.

Ahi Nino! E tua madre? Tua madre, la buona

dolente figura che vigile attende,

da Da saga, smarrita le braccia protende:

Ahi! Tetro lo scoppio dell’arma risuona.

* Vincenzo Lo Preiato, L’Azione, Anno I n°5, Aprile 1921

“Avanti figliuoli, per la vittoria o la morte”.

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In memoria di Antonino Scalfari, giornalista politico e uomo di grande cultura calabrese

di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi


*A Nino Scalfari

Troppo alta la meta, troppo alta la stella

che a te folgorava dai celi profondi,

veemente il tumulto di giovani mondi,

creati da te, nell’anima bella.

*di Vincenzo Lo Preiato/ L‘Azione, Anno I n°5, Aprile 1921

Nelle prime ore del mattino del 28 marzo del 1921, si sparse in Città fulminea la notizia ferale che Nino Scalfari, il valoroso Soldato, il mutilato eroico, il professionista esimio, “avea cessato di vivere nella vicina Bivona”. Sono passati quasi novant’anni ma il suo esempio, l’esempio di un politico giornalista e di un uomo di cultura che combatte per la libertà e per la sua terra, può essere utile a noi calabresi che, da sempre, ricerchiamo il “riscatto” dalla nostra condizione subalterna. “La triste nuova corse di bocca in bocca e Monteleone tutta rimase scossa, incredula della sciagura e con la speranza viva che la notizia non fosse vera. Avvenne un vero pellegrinaggio”. Poi il trasporto della salma e l’annunzio ufficiale alla cittadinanza da parte dell’amministrazione Comunale di cui pure faceva parte per il bene del Paese.

NinoScalfari L'Azione
NinoScalfari L'Azione (A. I n°5 ed. straordinaria nel Trigesimo della morte di Antonino Scalafari"

Nel trigesimo dalla morte di Nino, il 27 di Aprile del 1921, lAzione, periodico “politico amministrativo del circondario” di Monteleone (oggi Vibo Valentia), una delle tante testate edite nei primi decenni del secolo trascorso in Calabria, pubblicava un intero numero monografico (A. I n°5), un’edizione straordinaria, interamente dedicata al ricordo dell’“eroico Scomparso” di cui tutti, oggi, conoscono il famoso nipote giornalista e a cui pure Gabriele d’Annunzio aveva porto l’omaggio estremo inviando, in gentil dono, un’ “aulente rosa”. Nell’editoriale della redazione si legge che quel dono illustre “Era il mistico omaggio de’ legionari audaci al glorioso fratello d’armi, quanto mai straziato dal voto – che non potea appagarsi – di essere ancora una volta dove il fiore dell’Italica giovinezza combatteva l’estrema battaglia dell’ideale patriottico”. “Oggi – si legge nell’editoriale – , trigesimo della scomparsa di Nino Scalfari, noi vorremmo vedere – come un giorno fu visto davanti alla fossa di Trento, sacrario di Cesare Battisti – il Poeta – soldato, le mani ornate di lauro e di quercia, chino e fremente dinnanzi alla tomba di Nino Scalfari, per interrogare lo spirito, per celebrare degnamente le gesta”. L’intero numero del periodico è dedicato al “Tenente volontario” che a 23 anni soltanto era stato ucciso raccogliendo, a Bosco Lancia, “le rose rosse di sangue” che fina da giovinetto precocemente maturo, “aveva sognato, leggendo i poeti del nostro “Riscatto”, come il più bell’ornamento della sua vita fervente”. Ma perché dedicare un intero numero, addirittura un’edizione straordinaria, per ricordare questo calabrese? A spiegarcelo è l’attenta lettura dello “speciale” del giornale su cui vennero pubblicati gli interventi a firma di numerosi personaggi dell’epoca che ne partecipavano il dolore per la scomparsa: l’avvocato N. Froggio, Sindaco di Monteleone, il Cav De Feo, sottoprefetto, l’avvocato Morabito per l’associazione Combattenti, il Dottor Romei per la massoneria e il Professor Cremona in rappresentanza del Regio Liceo di Filanderi presso il quale, Scalfari, aveva eseguito gli studi liceali prima di recarsi a Roma per conseguire la laurea in Giurisprudenza. Persino la solenne commemorazione al Consiglio Comunale che fu tenuta il 22 di aprile del 1921, a poco meno di un mese dalla morte, venne trascritta e pubblicata per ricordare degnamente la figura di “uno dei suoi migliori componenti scomparsi”. Un Consiglio Comunale, quello di Vibo Valentia, cui Nino Scalfari, con la sua cultura e la sua “operosa giovinezza”, avrebbe potuto certo apportare lustro. “Con la repentina e tragica scomparsa di Lui la Patria ha perduto un altro dei suoi figli diletti e devoti, che per essa sacrificarono entusiasti la loro giovane esistenza!”. Nato a Monteleone il 23 luglio del 1891, Antonino Scalfari, detto Nino, laureatosi in giurisprudenza non aveva mai trascurato le “belle lettere”, che aveva amato sin dai tempi del liceo dove, ben presto, aveva dato “prova di vivo ingegno e di una fierezza d’animo che costituì più tardi una delle doti precipue del suo temperamento”. A Roma aveva conosciuto uomini, studiosi e letterati come Lauro Adolfo De Bosis, eroico liberale, e “le grandezze delle glorie e delle memorie di Roma Eterna valsero negli anni di poi a purificare e innalzare sopra ogni altra passione del suo nobile cuore” che gli consentirono una molteplice e varia attività artistica. Importanti Riviste di cultura di Roma come “Sapientia”, “Il Soldato”, oltreché la “Rivista Calabrese”, quotidiani e periodici l’ebbero come collaboratore. Figlio d’arte poiché, per un periodo il padre Eugenio aveva diretto l’Avvenire Vibonese, nei cenni biografici pubblicati da l’Azione, si legge che Antonino fu non soltanto un bravo giornalista ma anche un “conferenziere colto e oratore simpatico sia che commemorasse Michele Morelli; o segnasse lucidamente i limiti dell’azione della Chiesa Cattolica; o infine in Consiglio Comunale difendesse gli interessi e i bisogni del Paese”.

Nino Scalfari
Nino Scalfari (Monteleone di Calabria 23 luglio 1891 - Bivona 28 marzo 1921)

A soli 19 anni, nel 1911, dopo aver letto “La canzone d’oltremare”, il carme di Gabriele d’Annuzio, lo commentava sul settimanale di Monteleone Iuvenilia con queste parole: “A leggerla, l’ode parrebbe mancante di forza, e si attende fino all’ultimo il punto saliente. In certo qual modo potrebbe essere vero; ma essa non è canto di guerra, è augurio dopo il compito fatto e l’opera compiuta. Il poeta vede la vittoria e la fine. Non abbiamo noi vinto? E chi? … Noi stessi!”. A soli 19 anni il discepolo ricercava il pensiero del Maestro scoprendolo in tutto il suo concetto profondo: “Diciamo pure, ora che i nostri, davanti a leoni pugnaron da uguali, ora che il sangue latino fu versato sulla terra alla quale l’Italia pur sorride benigna da lungi, noi abbiamo vinto noi stessi, la nostra diffidenza in noi e nei difensori nostri, e ci siamo svelati”.

Era nel fiore degli anni e nel “pieno vigore dell’ingegno quando una notte tragica e fatale il suo il suo Destino si volse alla morte!”. (…) “Cadde da combattente: grondante di sangue ma sereno e sorridente”. Per volontà unanime dei suoi concittadini il suo nome venne inciso sulla stele che ricorda ai posteri i caduti gloriosi così come si “incise indelebile, nell’animo di chi lo conobbe”.

Un giovane, “L’Esteta Scomparso”, secondo il ricordo di Pietro Buccarelli, cui addirittura Giulio Rodino, allora Ministro della Guerra, nell’aprile del ’21 rivolse il suo estremo e “referente saluto” con una lettera indirizzata all’“Illustrissimo Professroe Eugenio Scalfari”, padre di Antonino: “Ho appreso con vivo rincrescimento la notizia della morte del suo figliuolo Capitano invalido di guerra, e mi associo con sincero animo al suo dolore. Penso, nondimeno, che le verrà di conforto la certezza che questa giovane esistenza, già duramente provata nell’ultima guerra d’Italia, ed ora così immaturamente troncata nel suo fiorire, vivrà perenne nella storia dei figli d’Italia che col dono delle più pure energie seppero elevare il monumento grandioso delle nuove sorti della Patria. Alla memoria di questo valoroso suo figliuolo mando il mio reverente saluto”.

Nell’Orazione del Avv. Conte Alfredo Sacchetti pronunciata, durante commemorazione che si tenne il 10 aprile del ”21 nel Tempio della Loggia Vibonese con l’intervento della Loggia “Michele Morelli”, in memoria di Nino Scalfari e, pure questa, pubblicata da “l’Azione”, si leggono i principali tratti, tutti “radiosi”, che da soli potevano “rendere illustre anche una vita che avesse compiuto tutto il ciclo normale dell’umana esistenza”: il sentimento del dovere, del bene inteso patriottismo, dell’umanesimo più puro e più santo, erano “instillati nell’animo” di Antonino che, “Sotto la rigida, quanto amorevole, direzione del padre Eugenio, studiò e si distinse sempre, nel nostro ginnasio e liceo Filangeri”. Questo esempio può dunque risvegliare le coscienze, può servire alle giovani generazioni che spesso sono senza ideali, non credono in qualcosa. Serve per creare, per immaginare mondi migliori. Serve all’Italia e serve alla Calabria di oggi il ricordo di Nino Scalfari, un calabrese giornalista, un liberale, un patriota che con la cultura tenne alta la meta, la stella che, noi pure, dovremmo innalzare ai nostri orizzonti.

A Nino Scalfari*

Troppo alta la meta, troppo alta la stella

che a te folgorava dai celi profondi,

veemente il tumulto di giovani mondi,

creati da te, nell’anima bella.

L’Italia ti chiese il giovane sangue;

il giovane sangue le ha dato, e un’idea

soltanto, cadendo, nel cuor ti arridea:

la terra d’Italia più schiava non langue.

Il corpo stremato ai ferri che sanno

richiese un ristoro, ma i ferri han tradita

la sempre gemente, squassar la ferita:

pure l’aure del mare leniron l’affanno!

Ma l’anima intatta, intatta la mente

fisavan la meta, fisavan la stella,

e ancora il tumulto, ne l’anima bella,

dei mondi creati si fea più veemente.

E un giorno tremasti! Non erano impàri

le forze, pensavi, al fine agognato? …

Qual’è l’avvenire del corpo stremato

se cadono i sogni a l’anima cari? …

Or tutto rivive, or Cristo risurge;

dell’anima è Cristo l’immagine vera;

risurga quest’anima con Lui nella sfera

beata, ove pure lo spirito assurge.

Ahi Nino! E tua madre? Tua madre, la buona

dolente figura che vigile attende,

da Da saga, smarrita le braccia protende:

Ahi! Tetro lo scoppio dell’arma risuona.

* Vincenzo Lo Preiato, L’Azione, Anno I n°5, Aprile 1921