Paolo di Tarso, l’Apostolo delle genti, “Radicale, fertile avanguardia”

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 Chiave del dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani

di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido(*)

Paolo di Tarso
Paolo di Tarso, fonte: www.homolaicus.com

Tra i protagonisti della tradizione sulla sacra Lettera, si erge innanzi a noi, per molteplicità di ragioni, l’imponente figura di
Paolo di Tarso, l’Apostolo delle genti. L’argomento ci appare da subito notevole e fortemente attuale. La predicazione di San Paolo, è risaputo, rappresenta una pietra miliare nella sostanza e nella storia della fede cattolica, stando alla base della diffusione del Cristianesimo nella Chiesa Universale.

Per comprendere che cosa sia la sacra Lettera è necessario riandare ai primordi della storia della chiesa, è fondamentale rifare i percorsi del Gesù storico, andare alle radici alle nostre origini cristiane e, quindi, partire da un luogo, da un nome e da una data: Gerusalemme, Paolo e l’anno 42 d.C..

Il primo come il centSanPaoloViaggioro della fede cristiana. Gerusalemme, Città santa, Città simbolo, Città promessa, Città della pace. Il secondo, Paolo, come chiave del dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani.

L’anno 42 come momento storico successivamente al quale la storia prese un nuovo corso.

Da quel momento, infatti, ebbero inizio i grandi viaggi dell’Apostolo Paolo per l’evangelizzazione in tutta l’umanità.

“L’amore non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà, la scienza è imperfetta, la profezia limitata, ma verrà ciò che è perfetto ed essi scompariranno”1.

Coraggioso ai limiti dell’ardimento, innamorato delle proprie passioni, colto, carismatico, sognante.

Così lo descrive su Il Foglio la giornalista Rita Sala parlando con Giulio Maspero, docente di Teologia Dogmatica alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma e che, in occasione del bimillenario della nascita di Paolo di Tarso, ha organizzato nella capitale lombarda un ciclo di conversazioni su San Paolo.

Domanda la giornalista: Paolo di Tarso come ponte fra ellenismo, ebraismo e cristianesimo? Possiamo dire sia questo uno dei tratti essenziali della sua “poetica”?

Si narra, risponde Giulio Maspero, che i discepoli di Cristo furono chiamati per la prima volta cristiani ad Antiochia, quando iniziarono ad annunciare il Vangelo ai greci. Ed è estremamente interessante che si sia iniziato a parlare di cristianesimo proprio in quell’occasione ed in quella Città della Siria, poco distante da Tarso, di dove era originario Paolo. L’incontro, simbolico e non, tra Atene e Gerusalemme è certo un elemento essenziale della sua vita.

Paolo aveva ricevuto a Tarso l’educazione tipica di una Città grecizzata di allora. Aveva letto Euripide ed Omero e si era formato secondo i principi della retorica del tempo, come è evidente dalle sue opere. Da esse traspare anche la conoscenza della filosofia stoica. E proprio un trattato filosofico di origine aristotelica, oggi perduto, è alla base del discorso all’Areòpago, quando, ad Atene, si rivolge ai filosofi. Gli ateniesi lo seguono, ma rifiutano l’annuncio del Vangelo quando sentono parlare di Resurrezione, cioè quando dalla natura si passa alla storia. Si tratta proprio, continua Maspero, del tratto essenziale che è richiesto dal cristianesimo, quello dalla Necessità alla Libertà, quello che distingue Natura e Storia, riempiendo di valore quest’ultima e superando la concezione dell’eterno ritorno”.

Il Mediterraneo e le civiltà che vi erano affacciate favorirono l’ecumenismo ante litteram di Paolo. E la centralità del Mare Nostrum è un tema molto attuale: “L’annuncio di Paolo fu possibile perché il Mediterraneo era unito dall’uso di una unica lingua, la koinè greca, diffusa dalle conquiste di Alessandro Magno. Il quale, creando un impero, aveva fiaccato il primato delle polis greche e favorito gli stati nazionali, come la Macedonia e l’Egitto. Le forze vive della Grecia vennero attratte verso grandi Città come Alessandria, Pergamo e Antiochia, che divennero i nuovi centri culturali e commerciali dell’epoca. Per avvicinarsi a Paolo è essenziale comprendere bene questa possibilità linguistica e l’assetto compatto del Mediterraneo di allora”.

Paolo riuscì a “comunicare” ai popoli di cultura greca, filosoficamente evoluti, il “concetto di Dio che era degli Ebrei.” Gli Ebrei erano un popolo errante (il termine “ebreo” significa colui che attraversa, colui che passa). Non avevano nemmeno un loro Dio, dovevano fare i conti con gli dèi dei popoli che incontravano. Eppure svilupparono ben prima dei Greci una concezione di Dio estremamente fine. La teologia ed il pensiero di Paolo nacquero da essa, dal concetto di un Dio capace di “irrompere” di persona nella vita dell’uomo. Un Dio “Amico”. Cristo chiama i discepoli amici e predica l’amore ai nemici. Un salto radicale: la filosofia greca riconosce l’impossibilità di essere amici di Dio, ed evidenzia le difficoltà dell’amicizia. La rivelazione cristiana, invece, afferma che Dio si fa nostro amico e che, quindi, è possibile amare tutti.

L’incontro fra Atene e Gerusalemme, per Paolo, avviene prima, dopo o “sulla via di Damasco”? Chiede ancora la giornalista.

Chi è cristiano deve tenere presente ciò che afferma la filosofia greca sull’impossibilità del rapporto con Dio, e fare la differenza: il Dio cristiano viene incontro all’uomo. Tutte le seti dell’uomo possono riconoscere il loro senso, allora, nell’incontro che ha segnato la vita di Paolo, il quale camminando verso Damasco si è imbattuto in Cristo stesso che gli ha chiesto “perché mi perseguiti?”. Il Dio cristiano, in quell’occasione chiese perché.

È il mistero di una presenza che Atene ha tanto desiderato, ma che solo a Gerusalemme, nella singolarità e libertà della Croce, ha trovato il suo senso”.

Un perché di portata cosmica. Un “quo vadis per tutti” proprio questo domandare perché, è la ragione ultima dell’apertura estrema di Paolo, nonché lo stimolo alla sua ricerca costante dell’uomo, di ogni uomo: l’anno paolino potrà (oggi dovremmo dire avrebbe potuto) trasformarsi nell’occasione per riflettere su questo esempio, che può essere modello e proposta, sia nell’ambito laico che in quello cristiano, per affrontare le sfide sempre più globalizzate del mondo di oggi”.

Davide Rondoni, in un editoriale scritto per la rivista Luoghi dell’Infinito, lo definisce “Radicale, fertile avanguardia”.

In Paolo, spiega Rondoni

Martirio e parola si accordano. La destinazione del sangue e l’orizzonte della parola coincidono. Così, proprio mentre ci sottrae ogni possibile e vana consolazione della parola poetica come sufficiente rivelazione del mistero, Paolo ci offre ancora la potenza di una parola, ma al prezzo della nostra umiliazione. Per una gioia dura, frutto di donazione”.

Ma qual’è il vero ruolo dell’Apostolo Paolo, l’ebreo di Tarso che da persecutore divenne cristiano e maestro di proselitismo, e che Nietzsche accusò di aver tradito il messaggio di Cristo, unendo la fede biblica e la filosofia greca?

Jacob Neusner, rabbino preferito di Benedetto XVI, l’ebreo con cui da anni il Papa cattolico tesse un fecondo scambio nel dialogo religioso, dà questa risposta:

“Paolo avviò un racconto sistematico del cristianesimo, fondando una tradizione di pensiero rigoroso. Ma ha anche definito le questioni chiave della teologia del giudaismo, visto che le sue categorie di formazione corrispondevano a quelle della Torah di Mosè, fondamento del popolo eletto”.

Ma cosa resta davvero del suo insegnamento?

“Nelle lettere ai Romani, risponde il rabbino Neusner, Paolo fornisce la chiave del dialogo tra ebrei e cristiani. Paolo ha risolto il problema di come entrare a far parte di Israele, senza aderire alle prescrizioni della Torah. Si può essere ebrei senza essere giudei. Paolo è ancora attuale perché ha colto il significato di Israele e dei suoi bisogni”.

Paolo di Tarso, come ponte tra popoli, culture e religioni

Paolo di Tarso, un convertito innamorato delle proprie passioni, della cultura. È proprio lui il Santo Popolare, il Filosofo delle ragioni del cuore, ma non stupisce più di tanto. Di fronte ad un mondo sempre più caotico e abbandonato al caso, forse nichilista, comunque seguace del pensiero del nulla. Paolo: “Sono un ebreo di Tarso in Cilicia”.

Paolo, Apostolo della Parola. Quasi hard. Paolo di Tarso, fondatore della Chiesa di Reggio Calabria. Nella primavera dell’anno 60, il procuratore di Cesarea Marittima, Festo, per ragioni di sicurezza, lo inviò sotto scorta a Roma dove, arrivò dopo una burrascosa traversata che rese necessaria una sosta a Malta. Fu un viaggio difficile che qualcuno ha definito il “viaggio della cattività”.

Malta, punto di partenza ideale per fare un tuffo nel passato, nel cuore del Mediterraneo, crocevia di popoli e mercanti. In questo posto lasciarono tracce nel tempo Fenici, Cartaginesi e Romani prima, Arabi e Normanni poi.

Al largo di Creta, la sua nave, un ponto, si trovò sotto una tempesta e andò alla deriva per 15 giorni. Approdò a Malta e “circumnavigando devenimus Rhegium”, cioè “costeggiando giungemmo a Reggio” si legge negli Atti degli Apostoli. A Gozo, uno scoglio nel cuore blu del Mediterraneo, a mezz’ora di traghetto da Malta si trova l’isola di Ogigia, Regno di Calypso, la Ninfa che riuscì a trattenere Ulisse per sette anni.

Sull’isola si trova il famoso “Scoglio di San Paolo”, naufrago come abbiamo detto in viaggio da Cesarea Marittima, inviato dal Governatore del luogo.

Paolo, in origine Saulo, ebbe una educazione ellenistica ed ebraica, parlava la lingua dei padri ed il greco, studiò a Gerusalemme con il rabbino Gameliele il Vecchio. Fece per tutta la vita il mestiere di padre e non ha mai chiesto soldi pubblici per mantenersi anche durante l’apostolato: fece per molto tempo il mestiere di costruttore di tende che aveva imparato da suo padre. Un uomo, così viene descritto, “di bassa statura, la testa calva e le gambe storte, le sopra ciglia congiunte, il naso alquanto sporgente, pieno di amabilità che a volte aveva le sembianze di un uomo, a volte l’aspetto di un angelo2.

Paolo on the road: il viaggiatore capace di parlare a tutti ed in qualsiasi luogo: tribunali, stadio, teatro, porto, accampamenti militari. Paolo di Tarso come ponte tra popoli, tra culture, tra religioni.

Paolo a Reggio

La Tradizione vuole che proprio a Reggio Calabria, la Città dove si celebrava la festa della dea Diana, dea Vergine, armata di faretra e arco, casta cacciatrice, Paolo sbarcò all’altezza del cippo che lo ricorda. Per non rendere clamoroso il suo arrivo a Messina “Ei discese nella spiaggia meridionale non più di dieci miglia distante dalla Città di Messina, dove quindi i cristiani, in memoria di tal di sbarco una chiesetta vi eressero”.

L’Apostolo della Parola quel giorno parlò tanto, quanto per il tempo che si spegnesse una mezza candela che aveva accesso e posato su una antica colonna che gli stava accanto. Paolo come stimolo costante di ricerca dell’uomo.

In modo del tutto naturale, ci siamo trovati davanti ad un’altra questione strettamente legata all’oggetto della presente ricerca, di cui cercheremo a tal fine ed entro tali limiti, di dare brevemente conto.

Un passo indietro, prima di entrare nel vivo della nostra trattazione, ma un passo che ci sembra doveroso.

Non solo sulla tradizione della venuta di S. Paolo a Reggio, antichissima ed ormai indiscussa, fonda le origini della Chiesa reggina e di quella calabrese, ma ci dice che Reggio, la Calabria, hanno rappresentato la primissima tappa per la diffusione e l’affermazione del Cristianesimo nell’intera penisola. Un tale privilegio non può che inorgoglirci.

Fede e religiosità che da quel primo innesto si è mantenuta viva nei secoli, passando nella nostra terra attraverso vicende storiche che l’arricchirono, attribuendole connotati propri, “calabresi”, che ritroviamo ancora nelle nostre tradizioni religiose locali, lasciandola, tuttavia, una e viva fin dall’accensione di quella prima fiammella.3

La tradizione della venuta di S. Paolo a Reggio si lega alla nostra ricerca al punto che, come vedremo, le due tesi sembrano stare a fondamento l’una dell’altra.

La conferma viene, in maniera particolare, dall’ottimo lavoro di Mons. Francesco Gangemi,4 “La venuta di S. Paolo a Reggio”, una lettura interessante, di cui daremo conto qui ai fini della nostra trattazione5.

Nel libro del Gangemi la figura di Paolo risplende, umile ed eccelsa, figura di Apostolo follemente innamorato di Cristo, tanto da far assumere alla prosa i toni della poesia.

Fin dalla premessa si osserva che dopo duemila anni, in una Città più volte disastrata, non si può pretendere di trovare per ogni particolare del fatto il relativo documento storico, esplicito, assoluto, ineccepibile, ma non si può neppure rifiutare in blocco o peggio ancora, calpestare, se non ci sono irrefutabili argomenti contrari, una tradizione ininterrotta che, quando è seria, diviene essa stessa fonte di storia.

La storicità della venuta a Reggio dell’Apostolo viene documentata dal Gangemi attraverso un’importante apparato critico, la ricca bibliografia conta circa ventuno fonti (6 codici, 140 citazioni di autori, ben 451 note) che fondano e legittimano il primato delle affermazioni ivi contenute.

Di queste la più note ed incontrovertibile, perché antica e contemporanea all’avvenimento si trova nella Scrittura stessa, in Luca (At. 28,13).

La Vulgata traduce: “Inde, circumvegentes devenimus Rhegium et postum unum diem, flante austro secunda die venimus Puteolos…”.

Costeggiando si raggiunse Reggio, grazie a vento favorevole, sollevatosi l’indomani, in due soli giorni si raggiunse Pozzuoli…” . La nave dunque attraccò a Reggio, dove S. Paolo sostò un giorno6.

La circostanza che Reggio fosse allora una rotta obbligata per raggiungere Roma viene confermata da Svetonio nel “De vita duodecim Caesarum”7, ove si afferma: “Cum Regium, dein Puteolos honerari nave appulisset, Romam inde contendit”. Ossia “(Tito) giunto con una nave da carico a Reggio e poi a Pozzuoli, di là corse di filato a Roma”.

Il testo greco di Luca riporta il verbo κατανταώ, sbarcare; il modo di navigare è περιελθόντες, costeggiando: “κατηντήσαμεν είς Ρήγιον” cioè “si raggiunse Reggio”; κατηντήσαμεν indica il punto di arrivo e di attracco, pertanto, secondo Morisani8, il verbo greco dovrebbe tradursi in latino con discendimus, ossia sbarcammo, piuttosto che con devenimus, come, invece, si legge nella Vulgata. Questo dovrebbe indicare, dunque, la discesa dalla nave e quindi la permanenza in Città.

Nel prosieguo del testo greco S. Luca adopera almeno sei volte il verbo κατανταώ, nel senso di approdare e sbarcare. A suffragare la tesi vengono quindi citati altri passi del testo greco di Luca degli Atti degli Apostoli.9

Altro problema di cui si occupa la trattazione di Mons. Gangemi è la datazione storica del viaggio di S. Paolo.

Nel “Manuel Biblique di Wrgourouse, Bacuz e Brassac” si legge di un secondo viaggio di San Paolo a Roma e del suo passaggio a Reggio nella primavera inoltrata del 61 d. C. Mons. Martini Sales, Zoccali e P. F. Russo concordano sulla circostanza della partenza da Cesarea verso Roma nel ‘61 dell’era volgare.

Alcuni autori trovano difficile, tra l’altro, che in un solo giorno, l’Apostolo abbia potuto predicare, convertire, fondare una comunità cristiana e consacrare, 1° Vescovo di Reggio, S. Stefano di Nicea10.

Essi sono inclini ad ammettere la possibilità di un secondo viaggio di S. Paolo a Reggio, che la tradizione messinese della sacra Lettera della Madonna confermerebbe implicitamente.

I Messinesi udito della predicazione di S. Paolo a Reggio, lo invitarono nella Città e con lo stesso Apostolo fecero partire una delegazione che sarebbe tornata poi con la sacra Lettera, ma questo non sarebbe potuto avvenire nel viaggio di cui si parla negli Atti degli Apostoli, quello del ‘61 d.C. A detta delle fonti citate dal Gangemi e, malgrado le incongruenze dovute alle traduzioni dall’ebraico al greco e dal greco al latino, la Lettera ha un’innegabile genuinità.

Stando allo scritto, la prima fonte risale all’86 d. C. “Apud Messanenses celebris est memoria B. Virginis Mariae, missa ipsis ab eadem dulci epistola”: così si legge nel “Chronicon Omnimodae Hisitoriae” di Flavio Lucio Destro, figlio del Vescovo di Barcellona Paciano e prefetto del pretorio nell’Impero orientale, scritto nel 430 d.C. e dedicato a S. Gerolamo.

È chiaro secondo il Clave nel 388 d. C.: “…tempore in tabulario messanenses reperta est quaedam epistula, hebraice scripta, exarata a Beata Vergine ad eosdem cives messanenses et maxime dicitur”.

P. Giovanni Fiore da Cropani in “Della Calabria Illustrata”11, afferma che S. Paolo sarebbe giunto a Reggio la prima volta nel 39-40 d. C. e la seconda sarebbe quella narrata negli Atti degli Apostoli.

Carlo Morabito12, cui soccorre Carlo Giangalino13, (e consta anche a Plinio, Soto, Cornelio e Lisiano), sostiene che il capitolo XV della Lettera ai Romani, parla della predicazione nella Grecia che era ingannata dagli errori dei Filosofi.

E, dunque, non era forse la Calabria di quel tempo tutta greca e tutta imbevuta di dogmi pitagorici?

Così la vuole Costantino Lascaris14 e fino al tempo dell’Imperatore Costantino: “Venne qui Paolo in quel suo primigenio viaggio per recarvi il lume della vera dottrina di Cristo e il suo Vangelo”.

Marino Freccia sostiene che S. Paolo fu in Calabria, a Reggio, a Cosenza, “Città libere non sottoposte ad imperio alcuno”.

Nel secondo viaggio Paolo sapeva che andando verso Roma, sarebbe finito in prigione. Ed è durante questo secondo viaggio che ante questo secondo e, nel quale, S.Paolo consacrò Vescovo della Città di Reggio, S. Stefano di Nicea, mentre il miracolo della colonna fu compiuto nel primo viaggio, di cui S. Luca non scrive, non essendo stato presente.

Anche il barone Taccone Gallucci15, scrive che S. Paolo tra il ‘39 ed il ‘42 d.C., partito da Gerusalemme, andò a predicare il Vangelo fino all’Illirico ed all’Italia peninsulare ed insulare.

Concordano G.B. Moscato e P.F. Russo16, sul fatto che, così, “fu gettato il seme evangelico che germogliò e si ingrandì nella penisola, passando in primo luogo dalla nostra Calabria”.

Tra numerosi messaggi, brevi e bolle17 papali, una voce su tutte ci è gradito ricordare: «… Ecco l’antica Reggio, le cui origini si perdono nella notte dei tempi! Ecco la Reggio della Magna Grecia,di cuiancora conservate le vestigia monumentali ed i preziosi cimeli nel vostro importante Museo Nazionale, che ora accoglie anche i due grandi bronzi di Riace.

La storia di Reggio corre lungo i filoni delle grandi civiltà classiche europee: la greca, la romana e la cristiana.

Nel toccare il suolo di questa Città, provo una viva emozione al considerare che qui approdò, quasi duemila anni fa, Paolo di Tarso, e che qui l’Apostolo delle genti accese la prima fiaccola della fede cristiana; da qui il Cristianesimo ha iniziato il suo cammino in terra Calabra, espandendosi in ogni direzione, sia verso la costa ionica sia verso la fascia tirrenica. È questo un primato che mi piace sottolineare e che è motivo di giusto orgoglio per la Chiesa e per la Città di Reggio Calabria.

Il vostro cristianesimo, ormai bi-millenario, ha permeato le radici più profonde della vostra civiltà e della vostra cultura e vi ha dato la forza di far fronte con coraggio, e talvolta con eroismo, ai difficili momenti della vostra storia, durante le molteplici invasioni e dominazioni che la Calabria ha dovuto subire.

Ma soprattutto, il vostro animo temprato dalla fede ha trovato la forza di resistere alle calamità naturali; per due volte il terremoto, nel 1783 e più recentemente nel 1908, ha distrutto la vostra Città, e per due volte l’avete ricostruita più grande e più bella. Reggio! Città che hai nelle tue radici la fede di Paolo, Reggio! che hai un cuore antico ma, sempre giovane e caldo, nel nome di Dio ti saluto e ti benedico!»18

Sulle orme di Paolo

A 1950 anni dal naufragio dell’Apostolo delle genti sull’isola, Benedetto XVI intraprende il pellegrinaggio sui passi di Paolo.

Anche il Pontefice, come Paolo di Tarso, si reca nell’ex roccaforte dei Cavalieri di Malta gravato da “una profonda sofferenza”. Il dolore per il male commesso da alcuni sacerdoti, i pesanti e ingiustificati attacchi alla persona del Vescovo di Roma che oramai fanno parte della cronaca.

Così come il coraggio dimostrato dal Papa nel fronteggiare questo delicato momento con atteggiamento autenticamente paolino di saper trasformare un possibile “naufragio” in una occasione di annuncio del Vangelo e di crescita della Chiesa.

Il Papa compie un viaggio sui passi di Paolo di Tarso che ha saputo dialogare tra popoli e culture.

Recandosi da Roma a Malta, spiega monsignor Romano Penna, docente emerito dell’Università Lateranense, uno dei più noti specialisti su Paolo di Tarso, compie un viaggio a ritroso rispetto a quello compiuto da Paolo che, partito da Cesarea Marittima, soggiornò a Malta sulla strada per Roma a causa di un disastroso naufragio.

Il viaggio ci mostra la figura di quel Paolo sia come emblema di un Apostolo instancabile, sia come interprete originalissimo del Vangelo.

Paolo, insomma, come intelligente interculturazione del Vangelo stesso.

(*) Curtosi F., Candido G, ne:
S. Maria a Sacra Littera, Sulle origini e sul culto della Madonna della Lettera, Tra storia, arte e letteratura popolare – Non Mollare edizioni 
 

 pp.21-30

1 Prima Lettera ai Corinzi di Paolo di Tarso

2 Così ce l’hanno tramandato gli Apocrifi di Paolo e Tecla

3 Il frammento, reliquia della fiaccola miracolosa si può osservare nella navata destra del Duomo di Reggio Calabria.

4 Mons. Francesco Gangemi, è stato, tra l’altro, fondatore del Museo di S. Paolo. Negli anni questa preziosa istituzione culturale, della quale fanno parte anche una ricca pinacoteca e una rilevante biblioteca, si è accresciuta di materiale pergamenaceo e cartaceo particolarmente significativo per la ricostruzione delle vicende storiche della città di Reggio.E’ un fondo miscellaneo costituito da 11 pergamene e da numeroso materiale documentario i cui estremi cronologici vanno dal 1507 al 1933 nel quale si possono ritrovare privilegi, corali, manoscritti, spartiti inediti di Lorenzo Perosi e di Francesco Cilea, sonetti e studi di ecclesiastici reggini.

5 Il volume “La venuta di S. Paolo a Reggio” è stato pubblicato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose e sponsorizzato dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, nella collana teologia e storia.

6 Acuni autori ritengono che la nave su cui viaggiava S. Paolo fosse sbarcata alla Rada dei Giunchi, presso il Tempio di Diana Fascelide, che doveva sorgere nell’area prima occupata, fino al terremoto del 1783, dal Convento dei Conventuali Francescani, in seguito Monastero delle Benedettine. Altre ipotesi ritengono sia sbarcata tra Capo Spartivento e Scilla. Il Morisani indica Lucopetra, altri ancora la spiaggia di Pellaro o la Fossa di S. Giovanni, che offriva un’accampamento tranquillo ai soldati. Acuni ritengono che Reggio stessa sia da identificarsi come promontorio citato negli Atti. Poteva trattarsi altresì di Punta Calamizzi a Porta Dogana, dell’Acroterio nelle colline di Pentimele, la cui rada era un ancoraggio tra i più sicuri dello stretto. Si rimanda al testo del Gangemi “La venuta di S. Paolo a Reggio”, pag. 117.

7 Titi Vita (1.VIII c.5)

8 “Acta S. Stephani Nicei”

9 Si rimanda per le conferme successive delle fonti sul punto in questione dal XVI sec. in poi, alla pag. 95 del libro del Gangemi.

10 Il culto di S. Stefano di Nicea, e la venuta a Reggio di S. Paolo che lo consacrò primo vescovo della città, sembrerebbero confermarsi dunque a vicenda, dimostrando l’antichità del primo si conferma quella della seconda.

11 Tomo II, Napoli 1734 pp. 18-20.

12 Annali della Chiesa di Messina, Isapoge par. 77 tit. I.

13 Houdegraphia disc. 3 cap 100.

14 De Philos Calab.

15 Ann. Eccles. Anno 61 n.1.

16 Storia della Chiesa di Calabria.

17 Benedetto XVI, con la bolla “Suprema dispositionem” del 25 settembre 1741, diretta all’arcivescovo di Reggio, con cui si concedeva al Capitolato Metropolitano l’uso delle insegne. Pio XI nel breve del 10 agosto 1928 al Cardinale Ascalesi, Arcivescovo di Napoli, Legato pontificio al primo Congresso Eucaristico regionale calabro. Giovanni XXXIII in messaggio all’Arcivescovo Mons. G. Ferro per il XIX anniversario della venuta di S.Paolo a Reggio. Paolo VI nella bolla del 21 giugno 1978 in cui la Cattedrale di Reggio Veniva eretta Basilica minore. Giovanni Paolo II nella bolla 6 marzo 1980, con cui S. Paolo viene ufficialmente proclamato Patrono principale dell’Arcidiocesi Reggina. Da ultimo Giovanni Paolo II nel discorso tenuto in occasione della visita a Reggio il 7 ottobre 1984, ivi riportato.

18 Dal Saluto di Giovanni Paolo II al suo arrivo a Reggio Calabria il 7.10.84

IL QUADRO DELLA MADONNA DELLA LETTERA NELLA CHIESA MICHELIZIA di TROPEA

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di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

LA CHIESA MICHELIZIA TRA STORIA E LEGGENDA

Madonna della lettera nella chiesa michelizia di Tropea
Madonna della lettera nella chiesa michelizia di Tropea

Nel tratto finale che nei secoli scorsi, dal rione Carmine portava al santuario di San Francesco di Paola, emerge da un verde agrumeto, un tempo più ampio e più fitto, una chiesa che, di assoluta purezza architettonica, presenta anche motivi di imponenza e solennità.

Attualmente dissacrata, era dedicata a Santa Maria della Neve; la voce popolare però l’aveva fatta conoscere con il nome di “Chiesa di S. Maria Michelizia” o più semplicemente “Chiesa di Michelizia”: un nome ricavato dalla fusione di Michele Milizia.

Isolata tra la profonda quiete ed i solenni silenzi della campagna, con le sue pagine murarie svela due momenti della sua storia, che ci sono stati rispettivamente tramandati con un racconto popolare e con la testimonianza dello storico tropeano Francesco Sergio, vissuto dal 1642 al 1720.

Tutto comincia, secondo la voce del popolo, durante una tempestosa sera del 5 agosto dell’ultimo scorcio del cinquecento.

Un violento temporale stava scaricando la sua violenta collera, rendendo alquanto mosso il mare e quindi molto critica la vita di quel veliero che non riusciva a scorgere, a causa della fitta nebbia, quella sinuosa rupe nella cui rada avrebbe trovato salvezza.

In preda alla disperazione, Michele Milizia, commerciante siciliano e padrone di quella barca, si mise ad invocare l’aiuto divino, come generalmente fa l’uomo quando incappa nel vortice di un grande pericolo.

Improvvisamente, su quella che doveva essere la sommità della rupe, penetrò le tenebre, la luce di una lanterna che un contadino portava, forse per andare a controllare la situazione del bestiame nella stalla.

Diventa punto di riferimento, tanto che valse al bastimento di mettersi al riparo nella rada, quella fiammella fu interpretata come intervento divino da Michele Milizia che, come segno di fede e di gratitudine, decise di fare sorgere, dov’era apparsa quella luce un tempio dedicato alla Madonna.

Quantunque di dimensioni ridotte, la chiesetta disponeva di tre altari, come ci tramanda lo storico Francesco Sergio. In quello centrale c’era l’immagine di Santa Maria Maggiore, poi chiamata S.Maria della Lettera.

Intanto, poiché la chiesetta, senza porte e con una diradata copertura, era caduta in uno stato di totale abbandono da diventare rifugio degli asini dei vicini ortolani, un vecchietto chiamato mastro Pietro, sarto e panettiere decise di porre fine a quello sconcio con un segno che conferisse al tempio la sacralità che meritava.

Ed infatti, con l’olio raccolto periodicamente tra i devoti, si premurava, ogni giorno, di accendere una lampada votiva davanti al quadro della madonna raccogliendosi in preghiera.

Un giorno, forse perché logorato dalla sopportazione delle sue sventure, postosi in un angolo della chiesetta, si mise a contemplare con occhi lacrimosi quella Madonna cui era tanto devoto, lamentandosi, come mai gli era accaduto,della propria esistenza di solitudine, di miseria e di altre sofferenze, causate anche da una grave forma di balbuzie che gli rendeva molto difficile la parola.

Erano struggente sfogo da cui traspariva la stanchezza del vivere.

Ad un tratto gli apparve una giovinetta di grazioso aspetto che amorevolmente gli disse: “Perché piangi, piuttosto vai in città e di alla gente di frequentare questa chiesa dove si vedranno delle cose così mirabili che si racconteranno”. Detto questo sparì.

Quando, ripresosi dallo sbigottimento, si rese conto dell’importanza di quel profetico messaggio che doveva portare alla gente, senza alcun indugio si incamminò verso il centro di Tropea dove, senza balbettare, e questo per il vecchio dovette essere già cosa mirabile, espose a quanti riuscì di incontrare ciò che aveva visto ed udito.

La notizia, che si diffuse rapidamente anche fuori Tropea,fu creduta e spiegata come vero segnale celeste, tanto che sempre più numerosi erano i pellegrini che, spinti dalla fede,forse anche dalla curiosità,volevano vedere e venerare quella immagine. Chi entrava in quella chiesa come leone,ne usciva come mansueto agnello, commentava il Sergio.

Ma come sempre accade per i fatti del genere, anche quella volta si levò la voce derisoria degli increduli, tra cui c’era anche un sacerdote di nome Arcangelo Andricciola, il quale andava affermando che quello che si diceva, per niente degno di fede, poteva essere pasto solo dei creduloni.

Ma non passò molto tempo ed anche il sacerdote crollò dall’alto del suo scetticismo.

Infatti un giorno, roso dalla curiosità, decise di recarsi in quel tempietto per vedere il quadro di quella Madonna che, come se sprigionasse un flusso misterioso, avvinceva e trasformava gli uomini.

Mai disse cosa sia accaduto dentro di se dopo aver guardato quella sacra effigie; certo che, in seguito, radicalmente diverso fu il suo comportamento, da denigratore ne divenne ardente sostenitore ed anche curato dello stesso tempietto. Ovviamente si parlò di evento straordinario. Intanto sempre più grande era l’affluenza della gente. Si trattava di credenti e di non credenti. Innumerevoli erano gli ossessi che ivi si recavano affinché, con un certo rituale, venissero sottratti, talvolta con urla raccapriccianti al potere del demonio.

Tutti questi fatti, diffusi dalla voce popolare anche in contrade lontane, colpivano profondamente la gente che esprimeva la propria devozione anche con elemosine e donazioni da destinarsi alla costruzione,in quello stesso sito,di un tempio più grande. La necessità si rivelò quando il 5 agosto del 1649, giorno dedicato dal messale romano a S. Maria ad Nives, si dovevano rendere festose onoranze alla Madonna di quella chiesetta. Immensa fu la folla di fedeli giunti da ogni dove. La cattedra vescovile era affidata a Giovanni Lozano, uno dei sei vescovi spagnoli che in periodi diversi: dal 1564 al 1726 ressero la diocesi di Tropea. Il vescovo fu colpito da quella oceanica partecipazione di fedeli e quindi decise di costruirne una più grande,esortando i fedeli: “Vamos, hijos mios a traèr piedras por nuestra Senora”.

Fu così che sorse un nuovo tempio con le pietre dei torrenti “Burmeria” e “La Grazia”.

Più in là, inquadrato in una cornice barocca, un dipinto su tela raffigura la Madonna della Lettera, tanto venerata dai Messinesi cui, secondo una antichissima tradizione, gli ambasciatori nel 42 d.C. si recarono a Gerusalemme per renderle omaggio e chiederle la sua benedizione per la città di Messina. La Madonna consegnò la Lettera con la quale benediceva la loro città ed i suoi abitanti. Imperfetto e lacunoso è il testo, in latino, trascritto nella “lettera” dall’autore del quadro e poco leggibili sono quei vocaboli in greco, tratti dall’antica immagine della Madonna del Grafèo.

Il quadro è importante dal punto di vista storico, oltre che da quello artistico, perché indica una continuità del culto verso la Sacra Lettera sin dall’epoca dell’originario tempietto dove, come ci tramanda lo storico Francesco Sergio, nella sua opera Cronologica Collectanea De Civitate Tropea, Liber Tertius, “Apparitio Sancte Marie Michealis militia”.

L’Abate Francesco Sergio in questa importante opera conferma una tradizione popolare che risale alla metà del ‘500 e cioè che l’immagine della Madonna era stata portata da un messinese di nome Michele Milizia dopo che lo stesso aveva provveduto a far erigere un tempietto dedicato appunto alla Madonna. La tradizione vuole che il nome della chiesa Michelizia è ricavato dalla fusione di Michele Milizia;ciò è anche testimoniato dallo storico tropeano Francesco Sergio vissuto tra il 1642 e 1720.

Altri quadri si possono ammirare nella Michelizia: la Crocifissione di Gesù, firmato Grimaldi Tropien, 1710. Si tratta di Giuseppe Grimaldi, pittore tropeano vissuto tra il ‘600 e il ‘700, ai più sconosciuto ma che lasciò importanti lavori nelle chiese tropeane.

Importante è un quadro del Cuore di Gesù.

Ma l’opera più notevole è l’altare settecentesco in legno così le statue di sant’Anna e Gioacchino poste ai lati con in mezzo la Madonna. Gli esperti del restauro di Cosenza ad un attento esame hanno rinvenuto sotto quella effigie la figura di una Madonna senza volto del Duecento.

Queste notizie, appaiono in uno scritto a firma illeggibile che il parroco della chiesa del Carmine, don Muscia ci ha gentilmente fornito con la preghiera di fare qualcosa per far ritornare la chiesa della Michelizia al culto ed agli antichi splendori di un tempo.

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La Chiesa Michelizia di Tropea

Attualmente la Michelizia è sconsacrata e viene utilizzata per concerti e manifestazioni musicali. Versa in uno stato di totale abbandono. Forse le Istituzioni potrebbero fare qualcosa, più che di soldi ha bisogno di cura perché è un importante sito non tanto culturale, parola abusata, ma artistico. In fondo non c’è epoca in cui il genio ( e l’arte) non abbia trovato il modo di manifestarsi. Oggi la chiesa e le sue opere sono cadute in uno stato di prostrazione e di abulia prodotto dall’incuria e dalla indifferenza degli uomini. Il sindaco, spirito tenace tropeano non può e non deve desistere e ci deve regalare in qualche maniera un intervento capace di aprire uno scorcio sulla vita culturale e artistica di una buona parte dei secoli scorsi.

Presentazione del volume "S. MARIA A SACRA LITTERA"

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Care amiche e cari amici,

S. MARIA A SACRA LITTERA
Filippo Curtosi Giuseppe Candido S. MARIA A SACRA LITTERA - Non Mollare Edizioni 2010 ISBN 9788890504006 - Pag. 228, € 9,00

l’Associazione di volontariato culturale “Non Mollare” già editore di “Abolire la miseria della Calabria” esordisce come casa editrice calabrese anche nel settore del libro. Oggi, lunedì 02 agosto 2010 alle ore 18.30 a Pannaconi, Città di Cessaniti (VV), ci sarà la presentazione del libro “S. MARIA A SACRA LITTERA” di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido. Si tratta, come si legge nella prefazione affidata a S.E. Mons. Vincenzo Rimedio, di un “saggio socio religioso” sulle origini e sul culto della Madonna della Lettera, tra storia, arte e letteratura popolare edito per i tipi di Non Mollare Edizioni 2010. “La storicità della Lettera della Madonna alla Città di Messina e la soluzione di varie obiezioni che si muovono alla veridicità della Lettera. (…) Uno spaccato di religiosità popolare è proposto nella trattazione in chiave antropologica delle feste che si svolgono in Calabria, ma l’intendimento di fondo degli Autori è di focalizzare la tradizione della lettera della Madonna alla Città di Messina e della conseguente devozione alla Madonna della Lettera”.

Alla presentazione interverranno: Nicola ALTIERI, Sindaco di Cessaniti (Vv), Francesco Antonio STILLITANI, Assessore regionale al lavoro e alle politiche sociali, Francesco DE NISI Presidente della Provincia di Vibo Valentia, Mons. Vincenzo RIMEDIO Vescovo emerito della Diocesi di Lamezia Terme, il Prof. Francesco SANTOPOLO autore dell’introduzione, Padre Luigi SCORDAMAGLIA Parroco di Pannaconi, il giornalista Franco VALLONE e Gilberto FLORIANI direttore sistema bibliotecario vibonese. Saranno presenti gli autori.

Mons. Luigi RENZO Vescovo della Diocesi di Mileto non potrà essere presente per impegni precedentemente assunti ma parteciperà con un proprio messaggio.