Cercano di sabotare i referendum

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di Giuseppe Candido

25 anni esatti dal disastro di Chernobyl in Ucraina. Il più grave incidente nucleare, l’unico di livello 7, insieme a quello dello scorso 11 marzo a Fukushima dove però, più che l’errore umano, è stato il violento terremoto e, ancor peggio, il conseguente tsunami ad aver causato il disastro.

A Chernobyl furono violate invece tutte le regole di sicurezza e di buon senso e, paradossalmente, tutto ciò avvenne proprio durante un test di sicurezza: un brusco e incontrollato aumento di potenza del reattore causò l’aumento di temperatura dell’acqua di raffreddamento e la sua conseguente scissione in idrogeno e ossigeno. L’aumento di pressione fece il resto, il contatto con l’idrogeno e la grafite incandescente causarono l’esplosione con conseguente emissione di una nube di materiali radioattivi su vaste aree intorno alla centrale. 336.000 persone furono evacuate per sempre e reinsediate altrove. Le nubi radioattive raggiunsero l’Europa orientale, la Finlandia e la Scandinavia arrivando, con livelli di contaminazione via via minori, anche in Francia e in Italia. Le vittime accertate, riconosciute dalle organizzazioni internazionali come direttamente collegate a tumori contratti per l’incidente, sarebbero 65 e 4.000 invece le presunte ma Greenpeace parla di 6 milioni di vittime in tutto il mondo. Il ricordo di quel disastro, cifre a parte, non può non richiamarsi con l’attualità. Tre anni più tardi, anche in considerazione di quel disastro, gli italiani avevano denuclearizzato il paese rinunciando al nucleare con un referendum nel 1989.

Adesso, dopo averlo reintrodotto “alla grande”, il governo pur di evitare che si voti il referendum cerca di metterci una toppa con l’annunciata moratoria per un anno. Un provvedimento che, in realtà, semplicemente posticipa la scelta ad un “successivo momento” condizionandola a quelle che si definiscono genericamente “le verifiche fatte dall’Unione europea”. Non sarà, per caso, che si vuole evitare il referendum? Anche perché, sull’acqua, d’improvviso c’è la proposta del sottosegretario allo Sviluppo Economico che, mediante l’istituzione di un autority, vorrebbe evitare pure quel referendum. Insomma, tutto sa di boicottaggio finalizzato a che non si votino quei referendum. L’articolo 75 della Costituzione sancisce il diritto dei cittadini ad esprimersi, informati, sui quesiti referendari. E pure l’articolo 39 della legge n° 352 del 1970 parla chiaro: solo “Se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge, o l’atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce, siano stati abrogati, l’Ufficio centrale per il referendum dichiara che le operazioni relative non hanno più corso”. La legge prevede che le operazioni di voto non si tengano più solo in caso di “abrogazione”. E ciò è ancora più evidente se si tiene conto della pronuncia della Consulta del 1978 che, addirittura, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo rispetto all’art. 75, comma 1, della Costituzione “limitatamente alla parte in cui non prevede che se l’abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia, senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative”. Del tutto evidente, nel caso del nucleare, che un semplice rinvio non può impedire che il referendum si voti. E lo stesso vale per i due quesiti sull’acqua volti ad abrogare alcuni aspetti del decreto Ronchi e su cui si vorrebbe intervenire con un decreto a 50 giorni dal voto a campagna in corso. Un decreto che dovrebbe poi essere sottoposto al voto parlamentare. È evidente che, neanche in questo caso, ai sensi della legge e della sua interpretazione fornita dalla Consulta, il voto referendario può essere annullato. Probabilmente, anzi sicuramente, il fatto che non ci siano ragioni valide per evitare i referendum su acqua e nucleare è noto anche a Palazzo Chigi. Per cui, se non si possono evitare i referendum, il vero obbiettivo sarà quello di farne fallire il quorum. E ciò lo si fa attraverso due diverse strategie: da un lato si evita che la gente venga informata mediante l’assenza totale di dibattito nelle televisioni del servizio pubblico televisivo. Dall’altro canto si fanno continui proclami ed annunci in merito alla moratoria del nucleare e l’istituzione di un’autorità di garanzia per l’acqua, in modo da far passare tra la gente il messaggio che, tutto sommato, le questioni referendarie non sono così importanti visto che il governo, appunto, ci ha già pensato lui, ragion per cui si può tranquillamente andare a mare. D’altronde la partitocrazia, sia di destra sia di sinistra, ha sempre digerito malissimo i referendum vivendoli sempre come il più grande pericolo per se stessa ed ha sempre operato, a volte anche contro costituzione, per ridurne l’efficacia ed eliminare le scelte compiute dagli italiani. Bisogna ricordare che la scheda referendaria, prevista dalla costituzione, fu negata ai cittadini per oltre vent’anni salvo concederla ai clericali che volevano abrogare la legge sul divorzio. Poi, dinnanzi alla possibilità aperta nel paese dai referendum radicali (aborto, nucleare, depenalizzazione droghe leggere, finanziamento pubblico dei partiti, responsabilità civile dei magistrati ecc.) furono più volte sciolte le camere pur di evitare il voto referendario o fecero leggine per sovvertire le scelte degli italiani. Valga ad esempio quanto fatto dai partiti sul finanziamento pubblico abolito per referendum e reintrodotto, neanche dopo un anno, mediante il sistema dissennato e truffaldino dei rimborsi elettorali non legati alle spese effettivamente documentate ma concessi in base ai consensi riportati. Bisogna quindi andarci a votare e cercare, nel silenzio colpevole e doloso del servizio pubblico televisivo, di far raggiungere il quorum. Andare a mare non conviene anche perché, se ci pensano loro, di sicuro fanno danno.

Scorie nucleari: una bomba per le future generazioni

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di Giuseppe Candido

Pubblicato su “il Domani della Calabria” del 01 aprile 2011

Mentre a Fukushima il disastro nucleare annunciato si è ormai conclama salendo nella classifica al grado 7, il più alto della scala, attribuito in passato al disastro nella centrale ucraina di Chernobyl, e mentre Angela Merkel inverte la rotta a 180 gradi annunciando l’uscita della Germania dal nucleare che punterà tutto su rinnovabili (eolico e fotovoltaico), qui in Italia, nel paese dei Dante e dei Leonardo, nel Paese dove il sole spacca in due i sassi, il Governo italiano, dopo l’accordo italo francese sull’acquisto di centrali atomiche e il mega pacchetto anti crisi che avevano confermato il “ritorno alla grande” dell’Italia al nucleare, oggi sentiamo di una generica “moratoria” per un anno per fare una “pausa di riflessione”.

A calcio diremmo che così si fa melina per perdere tempo, sbollentando gli animi e magari invitando gli elettori a disertare il referendum che il prossimo 12 di giugno ci chiederà se vogliamo o meno confermare la dissennata scelta del governo di un “ritorno al nucleare”. Ricordiamolo ancora una volta, il nostro è un territorio, a differenza di quello della Francia e della Germania, assai pericoloso dal punto di vista sismico e che, già nel recente passato, abbiamo visto verificarsi eventi catastrofici, tsunami di Reggio Calabria compreso nel 1908. E non dimentichiamo che, rischio sismico a parte, il vero problema del nucleare (e anche il suo vero costo noscosto) di cui spesso però ci si dimentica è quello delle scorie, la monnezza nucleare che non si sa dove mettere. La spediamo sulla luna? Nell’Italia dei veleni industriali finiti sotto le questure e le scuole, delle navi a perdere e delle infinite e prorogate emergenze rifiuti, proprio le scorie di quel carburante nucleare diventerebbero, per centinaia o forse anche migliaia di anni, la vera e tragica bomba ecologica per le future generazioni. E anche la guerra con la Libia e tutta la situazione d’instabilità nel mondo arabo, ci dovrebbe indurre a riflettere su quale tipo d’energia dovremo puntare per il futuro del nostro Paese convincendoci del fatto che, se lo fa la Merkel in Germania dove il sole scarseggia pure, un’Italia cento per cento rinnovabile è pure possibile. Fotovoltaico ed eolico ma non solo: geotermico a bassa entalpia per il riscaldamento domestico sino alle biomasse di compost prodotto con un ciclo integrato dei rifiuti. Per questo, senza contare su moratorie inedite ed anche per evitare di ammazzare del tutto lo strumento referendario che i padri costituenti ci avevano regalato, è giusto che, il 12 e il 13 giugno prossimi, ognuno di noi si rechi a votare per impedire di far scegliere ad altri il nostro domani e, soprattuto, quello dei nostri figli.

 

Il dibattito sul nucleare non è sciacallaggio

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di Giuseppe Candido

Pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 18 marzo 2011

A Tokyo la radioattività fa paura, 20 milioni di abitanti sono al centro dell’incubo nucleare. Mentre continuano le scosse di assestamento di quello ch’è stato un evento sismico tra i più disastrosi e quando è ancora aperta la profonda cicatrice lasciata dalla grande onda, le esplosioni nei reattori nucleari si susseguono. Il Giappone e il rischio di una catastrofe nucleare hanno riaperto il dibattito sullo sfruttamento di tale fonte d’energia non soltanto in Italia dove, tra l’altro, si voterà a breve (e di nuovo) un referendum. La discussione s’è riaperta negli Stati Uniti e, soprattutto, in Europa. In un editoriale del New York Times pubblicato col titolo “Le calamità multiple del Giappone” si spiega come, dopo i morti e gli sfollati per il terremoto e lo tsunami, le centinaia di migliaia di senza tetto, ora la paura è di un’altra catastrofe, quella nucleare, con l’ipotesi di conseguente contaminazione radioattiva. “La tragedia in corso in Giappone”, si precisa nell’editoriale, “deve spingere gli americani a rivedere i loro piani per gestire i disastri naturali e i potenziali incidenti nucleari. Abbiamo già visto quanto povere – prosegue l’editoriale – sono le nostre difese con l’uragano Katrina che ha distrutto New Orleans e quanto la follia industriale abbia arrecato in termini di danni con la perdita di petrolio nel golfo del Messico dello scorso anno. È triste, scrive ancora il N.Y.T., che queste calamità possano danneggiare in questo modo il Giappone, un paese tecnologicamente avanzato e che mette grande enfasi alla riduzione dei danni provocati dai disastri”. Anche i muri protettivi in mare si sono rilevati inadatti per proteggere dallo tsunami che ha trascinato via i sistemi di sicurezza che dovevano proteggere dal surriscaldamento e dalla fusione i reattori nucleari. “È troppo presto per comprendere la magnitudo di ciò che è accaduto ma per ora questi giorni di crisi in Giappone corrispondono al peggior incidente nucleare da Chernobyl nel 1986”. Le notizie allarmanti che raccontano un Giappone che rischia la fusione dei reattori colpiti con conseguenze sconosciute, catastrofiche probabilmente, si incrociano con le celebrazioni del 150° dell’Italia unita. Negli Stati Uniti è fondamentale riaprire il dibattito sugli standard di sicurezza mentre il paese, dopo decenni di stagnazione, sta per ampliare il proprio programma nucleare; 30 centrali in America sono come quelle oggi in crisi in Giappone e molte si trovano su faglie geologicamente attive e, poiché vicine alla costa, anche a rischio tsunami. Ma il dibattito sul nucleare si riapre anche al di qua dell’oceano. In Germania, ad esempio, il premier Angela Merkel ha decretato una moratoria sulla durata delle attività delle centrali atomiche e anche la Svizzera annuncia la sospensione delle procedure relative alle domande di autorizzazione per le nuove centrali nucleari. Persino in Francia la questione energetica è di nuovo al centro del dibattito nella “sinistra”, tra gli ecologisti e i socialisti, anche se il Presidente Nicolas Sarkozy, per la verità, ha escluso l’ipotesi d’uscita dal nucleare del suo Paese. Quindi non è sciacallaggio mediatico chiedersi se, al nostro Paese, che aveva abolito la scelta del nucleare con un referendum, convenga davvero il così detto “ritorno” al nucleare. Mentre tutto il mondo s’interroga sulla sicurezza delle centrali nucleari che hanno già in casa, mentre persino il ministro dell’Ambiente francese Nathalie Kosciusko-Morizet afferma con chiarezza che la situazione in Giappone “è molto grave” e che “il rischio di uno scenario da catastrofe non può essere scartato”, nel nostro Paese il governo tira dritto e in settimana, dopo la pausa celebrativa dei 150 anni, la Commissione Industria del Senato dovrebbe cominciare l’esame dell’atto relativo alla disciplina della localizzazione degli impianti nucleari in Italia. Senza farci condizionare dal “momento emozionale” e senza fare “sciacallaggio” vorremmo però far notare due aspetti di questa vicenda che, speriamo, facciano riflettere. Il primo è che il sisma registrato in Giappone la scorsa settimana è stato un evento di magnitudo di gran lunga superiore a quella massima risentita in passato in quell’area e che, avendo avuto l’epicentro nell’oceano a poca distanza dalla costa, ha provocato un’onda anomala enorme che si è subito abbattuta sulle località costiere dove, travolgendo villaggi e mettendo in crisi i reattori nucleari. Dunque non soltanto sappiamo oggi che i terremoti possono avere un’intensità superiore a quella del passato, quella che cioè viene definita come massima intensità risentita ed è utilizzata per il dimensionamento delle strutture, ma dovremmo chiederci pure se, anche nel nostro territorio, siano possibili degli tsunami che mettano in crisi eventuali centrali o depositi di scorie radioattive. Ad esempio, nel 1908 a Reggio e Messina, dopo che il grande terremoto aveva provocato lutti e distruzione fu l’onda dello tsunami a causare l’apocalisse vera. E se non si vuol riflettere per prudenza lo si faccia almeno per interesse. Siamo sicuri che l’uranio convenga davvero? Siamo sicuri, cioè, che l’atomo sia la strada giusta per risolvere la nostra dipendenza dal petrolio e dalle crisi magrebine piuttosto che moscovite? Un fondamentale principio d’economia energetica afferma che “la migliore energia è quella a più basso costo, purché si aggiungano ad essa anche tutti i costi indiretti”. Costi indiretti, che spesso definiti externalities. Dopo aver ascoltato le parole di Umberto Veronesi che ci rassicura dicendoci che lui vivrebbe vicino una centrale o un deposito di scorie nucleari, prima di rimetterci a costruire nuovi impianti che entreranno in funzione, se andrà tutto bene, tra una ventina d’anni e che, tra l’altro, troppo nuovi e sicuri non lo sono, sarebbe opportuno rileggere le parole del Prof. Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica, che d’ideologico non hanno nulla: “Tra il 2000 ad oggi i prezzi dell’ossido di uranio sono cresciuti dai 7 dollari/libra a 130 e cioè circa di un fattore 20”. La preoccupazione cresce ulteriormente – sostiene Rubia – “se si tiene conto che circa un terzo dell’uranio utilizzato proviene oggi da stock militari esistenti e in via di esaurimento. La situazione dell’uranio, ricorda quindi terribilmente quella del petrolio”. Insomma, si rischia che dalla padella del petrolio si passi alla brace dell’uranio. In quell’intervento Rubbia aggiunge che: “Non si può evitare il confronto con le nuove energie rinnovabili da diffondere su larga scala, come il solare a concentrazione ad alata temperatura”, il così detto CSP, di cui quasi mai si parla. Impianti che, al contrario delle grandi centrali nucleari, sarebbero “realizzabili in tempi brevi, tra 16 e 24 mesi per impianti di grandi dimensioni, con costi che, pur essendo oggi ancora più elevati, sono nel processo di rapida riduzione che li porterà a valori del tutto compatibili con i costi dei fossili in meno di un decennio. Il costo dell’elettricità per un impianto CSP è perfettamente prevedibile. Il prezzo dell’uranio tra trent’anni, a metà strada dei tempi di vita di un reattore, è assolutamente imprevedibile”. Ma la cosa che davvero non può permettersi l’Italia è un ritorno al nucleare alla cieca, senza che un vero dibattito venga aperto nel paese e senza una vera informazione dei cittadini. Ma su questo e su altri temi, il servizio pubblico radiotelevisivo dov’è?

 

Nucleare? Sole e vento, la grande opportunità della Calabria

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di Giuseppe Candido

pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 15 Aprile 2009

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L’annuncio del Governo di un ritorno “alla grande” al nucleare. Sapendo che questa soluzione è già stata scartata dall’Italia mediante un referendum, ci siamo chiesti, sempre nell’ottica di un federalismo fiscale prossimo e imminente, se questo ritorno convenga all’Italia, se convenga alla Calabria, una regione che dovrebbe puntare sulla qualità dell’ambiente. Soprattutto, abbiamo cercato di capire, andando un po’ a documentarci, se effettivamente il nucleare fosse in grado di risolvere i nostri problemi di approvvigionamento energetico.

Dopo un ventennio di stasi completa a livello nazionale e un’evoluzione mondiale delle tecnologie spesso a dir poco deludente, con incidenti non sempre chiari e con il problema delle scorie radioattive insoluto, ci chiediamo se una regione come la Calabria, un paese come il nostro abbiano davvero convenienza in una tecnologia, quella nucleare, non ancora così sicura. Specialmente dopo il sisma in Abruzzo che ci ha ricordato quanto sismica sia l’intera Penisola italiana e la nostra regione, c’è da chiedersi, anche, se le centrali nucleari di terza generazione che Berlusconi intende acquistare dalla Francia siano in grado di garantire l’assenza d’incidenti.

E’ notizia delle scorse settimane che un giudice francese ha emesso avvisi di garanzia nei confronti dei capi della sicurezza dell’Edf, la società elettrica francese, per essersi introdotti illegalmente – secondo l’accusa – nei computer dell’attivista ecologista di Greenpeace, Yannick Jadot, che in Francia è leader capolista per le prossime elezioni europee per il movimento “Europe Ecologie”. Nel computer – secondo l’attivista ambientalista – i vertici della sicurezza Edf stavano cercando “i dossier che documentano le loro menzogne”. Le menzogne sarebbero quelle della “nuova propaganda sull’atomo” che – sempre secondo le dichiarazioni rese alla stampa da Jadot – cerca di far passare l’idea che sia pulito, sicuro ed economico. Gli studi fatti dal leader di Greenpeace francese provano l’esatto contrario: i reattori EPR, così detti di terza generazione, che dovrebbero essere altamente sicuri perché raffreddati ad acqua pressurizzata e che sarebbero proprio quelli oggetto di un recente6 accordo italo francese, in caso di un attentato terroristico aereo porterebbero a disastri più gravi di una centrale di vecchia generazione. Senza contare che il problema delle scorie radioattive che hanno tempi millenari di decadimento, non è ancora stato risolto e luoghi come il sito di La Hague in Normandia, è diventata la spazzatura nucleare europea. E se la cosa diventasse possibile in Italia? Se diventasse possibile anche in Italia costruire centrali e stoccare le scorie radioattive cosa succederebbe in Campania, in Calabria?

Nel luglio scorso, presso la sala Colonna della Camera, l’associazione “Amici della Terra” in collaborazione dei deputati Radicali eletti nel partito democratico, si è tenuto un interessante convegno sul “ritorno al nucleare”. Il Professor Carlo Rubia, premio Nobel per la fisica e sicuramente una delle autorità riconosciute nel campo della ricerca nucleare, inviò un importante contributo scritto al convegno con il quale ha espresso la sua autorevole opinione. “Un principio fondamentale indica che l’energia migliore è quella a più basso costo, purché si aggiungano ad essa anche tutti i costi indiretti, (….). “Si sono visti numerosi aumenti dell’uranio” … “ ricorda terribilmente quella del petrolio”. E ancora: “Il “rinascimento nucleare” non può essere per il domani”. Secondo Rubia è necessario confrontare i costi del nucleare con le nuove energie rinnovabili “da diffondere su larga scala, come il solare ad alta temperatura i cui impianti sono realizzabili in 16 – 24 mesi. Ma quello che più lascia interdetti è la considerazione finale del contributo di Rubia a quel convegno in cui afferma esplicitamente la sua “più profonda preoccupazione che parlare oggi di massiccio ritorno al nucleare, sottacendo il problema dello stoccaggio delle scorie in siti geologicamente sicuri, peri i quali non esiste oggi una soluzione percorribile, non costituisca il miglior punto di partenza”.

Nel rapporto 2009 sul riscaldamento globale che Nicholas Stern, fisico ed economista già capo del settore economia della Banca Mondiale, ha redatto per il governo inglese si afferma chiaramente che “il motore della ripresa saranno le nuove tecnologie e le opportunità dello sviluppo a basso carbonio”. Stern sostiene nel suo rapporto che l’Italia su questo ha una grande occasione perché “al Sud c’è un enorme potenziale per l’energia solare, l’eolico e il geotermico”. Dovremmo essere un paese leader, la Calabria dovrebbe essere piena di pannelli solari o di centrali solari ad alta temperatura di cui parla Rubia e capaci di produrre dal sole energia più di quanto la Calabria ne consumi. Il sole e il vento per l’energia, il mare (pulito) per il turismo. E questo il piano europeo che dovremmo cercare di realizzare. In ottica federalistica ciò sarebbe sicuramente un vantaggio per la nostra economia e, il nuovo settore potrebbe portare alla occupazione di nuove figure professionali sia nel campo della progettazione, sia in quello della realizzazione di impianti solari e/o microeolici. E’ questo il vero oro nero per la Calabria. Non facciamolo rovinare da qualche centrale di “nuova” generazione o da qualche deposito di scorie.