Hic et nunc! Marcia per l’amnistia e digiuno per la riforma dell’Ordinamento penitenziario subito

marcia
amnistiaperlarepubblica.it

“Qui e subito” …hic et nunc, appunto.  Avrebbe detto Marco Pannella. Serve un’amnistia, per la Repubblica.

Ora, subito. Non fra un anno, oppure dieci. E’ urgente per garantire – a questo Paese sempre più Stato canaglia in termini di violazioni dei diritti umani fondamentali – il rientro nella propria legalità costituzionale.
Per questo, in vista della marcia per l’amnistia, l’indulto e la riforma della giustizia intitolata a Marco Pannella e a Papa Francesco che si terrà a Roma domenica 6 novembre nella giornata del Giubileo dei carcerati voluta dal Pontefice, con un SATYAGRAHA nella forma del digiuno di dialogo,

DOMANDIAMO

al Ministro della Giustizia Andrea Orlando che fine ha fatto l’ottimo lavoro scaturito dagli Stati Generali dell’esecuzione penale?,

E CHIEDIAMO

a Governo e Parlamento l’immediata RIFORMA dell’ordinamento penitenziario “per l’effettività rieducativa della pena” che deve riguardare tutti i detenuti, nessuno escluso!

Per questi obbiettivi, Leggi tutto “Hic et nunc! Marcia per l’amnistia e digiuno per la riforma dell’Ordinamento penitenziario subito”

#CEI (Conf. Episcopale Italiana) aderisce alla marcia @RadicalParty per #amnistia

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Giustizia, Partito radicale: la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) aderisce alla marcia per l’amnistia 

Roma 19 ottobre 2016

Comunicato stampa del Partito Radicale Transnazionale Nonviolento e Transpartito

 

La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) aderisce alla IV “Marcia per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà” intitolata a Marco Pannella e Papa Francesco, organizzata per il 6 novembre a Roma dal Partito Radicale Transnazionale Nonviolento e Transpartito, in occasione del Giubileo dei Carcerati, e che si snoderà tra le vie della capitale dal carcere di Regina Coeli fino a Piazza San Pietro.   Leggi tutto “#CEI (Conf. Episcopale Italiana) aderisce alla marcia @RadicalParty per #amnistia”

#Satyagraha di #Natale dei @Radicali con la forza delle parole di Papa Francesco

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tortura Dal tre dicembre, è nuovamente in corso il satyagraha dei Radicali; un satyagraha che vede Marco Pannella e Rita Bernardini impegnati in prima linea con uno sciopero della fame (e, Pannella, anche della sete) per chiedere allo Stato di garantire la salute nelle carceri, di fermare la mattanza dei suicidi che troppo spesso avvengono proprio per mancanza di cure psichiatriche adeguate, e di interrompere il regime del 41bis per Bernardo Provenzano, caso simbolico, che vede l’accanimento dello Stato contro “il mafiooso”; una “tortura democratica” inflitta anche nei confronti di parenti che possono vederlo, ridotto a vegetale, solo attraverso un vetro. Insieme a lui centiania di cittadini, un comitato di detenuti eccetera. Che palle!, si dirà. Ancora uno sciopero della fame di Pannella e di quei matti dei Radicali? E, già. Sono ancora qua. Sono 362 i cittadini “matti” che hanno aderito al satyagraha, oltre a un comitato “amnistia giustizia libertà” dal carcere di Firenze.

Anch’io ho aderito, come ho già detto, a questo satyagraha con un giorno di digiuno alla settimana e, assieme ad altri compagni calabresi che si sono uniti a Marco Pannella, digiuniamo “a staffetta” anche per tentare di aprire, in Calabria, un dialogo per quanto riguarda l’istituzione del garante regionale delle persone private della libertà personali. Quella dei radicali non è mai una protesta, ma una proposta; una proposta di dialogo con le istituzioni affinché rispettino le proprie stesse leggi.
E nel proporre questo dialogo ci facciamo forza della verità e, – dopo il messaggio inviato nell’ottobre del 2013 alle Camere dal Presidente Napolitano – facciamo nostre le parole utilizzate da Papa Francesco nel rivolgersi all’associazione internazionale del diritto penale lo scorso 23 ottobre; parole che solo da Radio Radicale e da Radio Vaticano si sono potute sentire e che, – ad eccezione dei lettori del Garantista che l’ha pubblicato integralmente – a tutti gli altri italiani (o come dice Pannella, “italianofoni” includendo i cittadini non italiani ma che ivi risiedono e ne comprendono la lingua) è letteralmente proibito conoscere. Ne riporto di seguito alcune parti, meritoriamente selezionate dallo storico archivio pontificio di Radio Vaticana, da Riccardo Arena di Radio Radicale e ri-mandate in onda proprio durante le trasmissione Radio Carcere del 16 dicembre, con un Marco Pannella che – dopo averle (ri)ascoltate – gioiosamente gridava: Bravo Papa Francesco! Bravo! Bravo!

“Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione” – ha spiegato il Santo padre in quella che potremmo definire una lectio magistralis – “che attraverso la «pena pubblica» ai possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina”. (…) “Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà o con la loro vita per tutti quei mali sociali, com’era tipico nelle società primitive? Ma oltre a ciò, talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente delle minacce. Figure stereotipate che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste”. (…) “Stando così le cose, il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili. Cè il rischio – ha spiegato ancora Papa Francesco – di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala dei valori tutelari dello Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come estrema ratio, come ultimo ricorso alla sanzione limitata ai fatti più gravi (…). Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre pene alternative”.

Un dibattito affievolito e dimenticato, in favore del più bieco giustizialismo. E, in un passaggio successivo, proprio sulla tortura, dopo aver ricordato che il Vaticano l’ha introdotta come specifico reato (cosa che non è riuscita ancora all’Italia), Papa Francesco ha poi spiegato come:

tortura2“Una forma di tortura è, a volte, quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza, come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi in difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso, e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio. Questo fenomeno delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche in altre generi di penitenziari insieme ad altre forme di tortura fisica e psichica, la cui pratica si è diffusa”. Aggiungendo che: “Le torture, ormai, non sono utilizzate come mezzo per ottenere un dato fine, come la confessione o la delazione, pratiche caratteristiche della dottrina della sicurezza nazionale. Ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali spichiatrici, commissariati o altri centri e istituzioni di detenzione e pena”.

Ecco. Quali sono gli obiettivi del satyagraha di Natale di Marco Pannella, Rita Bernardini e di noi Radicali? Guarda un po’: sanità in carcere: garantire le cure ai detenuti; immediata revoca del 41bis a Bernardo Provenzano; introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura; abolizione dell’ergastolo; no alle deportazioni in corso dei detenuti dell’alta sicurezza; diritto alla conoscenza: 1) conoscibilità e costante aggiornamento dei dati riguardanti le carceri 2) conoscibilità dei dati riguardanti i procedimenti penali pendenti; Rendere effettivi i risarcimenti ai detenuti che hanno subito trattamenti inumani e degradanti; abolire la detenzione arbitraria e illegale del 41-bis; nomina immediata del Garante Nazionale dei Detenuti; per gli Stati Generali delle Carceri, preannunciati dal ministro della Giustizia, prevedere la presenza anche dei detenuti.
Non mi pare che siano obiettivi folli, né distanti da ciò che ha ribadito il Papa difronte ai massimi esponenti del diritto penale internazionale. Buon satyagraha di Natale.

Se la povertà dilaga serve abolire la miseria

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“False partenze” è il titolo del nuovo rapporto (2014) della Caritas italiana su povertà ed esclusione sociale; è stato scelto perché, è spiegato in premessa, il precedente rapporto era intitolato “I ripartenti”, ma poiché la ripresa dalla crisi non c’è stata, anzi, il titolo “false partenze” è quello che meglio esplicita la situazione, drammatica, del Paese.
Raddoppiati in un lustro i poveri. Quattro milioni e 800 mila (8% circa della popolazione) nel 2012 contro i due milioni e 400mila (4,1%) nel 2007. E anche la “povertà assoluta” è aumentata. Per l’organismo della Cei, l’incremento degli indigenti totali presenta segnali ancor più allarmanti se analizzato a livello territoriale: se al Nord i poveri assoluti passano dal 3,3% al 6,4% del totale e al Centro fra il 2,8% e il 5,7%, al Sud il dramma raggiungeva il 6% nel 2007 arrivando all’11,3% nel 2012.
Ha stramaledettamente ragione, quindi, il direttore del Garantista Piero Sansonetti a scrivere, nel suo editoriale di sabato 12 luglio, che i dati della Caritas rappresentano una “frustata in faccia” alla politica e alla classe dirigente di questo Paese e che la sua abolizione sarebbe la vera riforma.

Vivere sotto la soglia di povertà assoluta significa non avere livelli nutrizionali adeguati, non riuscire a vivere in un’abitazione dotata di acqua calda ed energia, non potersi vestire decentemente, ma anche non potersi ageguatamente curare.
La Caritas ha spiegato che, chi si trova in tale condizione, non può sostenere le spese minime necessarie per beni e servizi essenziali e quindi non ha uno standard di vita accettabile.
C’è quindi il rischio concreto che questa povertà dilaghi in miseria. Quando la crisi è a uno stadio così avanzato e quando abbiamo 4 milioni e 800mila poveri e quando l’11% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, è evidente che la riforma delle riforme, la priorità assoluta, dovrebbe essere proprio quella di abolire la miseria di così larghe fasce di popolazione.

Papa Francesco, durante il messaggio per la Quaresima aveva ricordato che «la miseria non coincide con la povertà» perché, ha detto, «la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza».
Il Pontefice evidenziava tre tipi di miseria: materiale, morale e spirituale.
La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana. E’ la miseria che oggi maggiormente dilaga. Poi c’è quella morale che «consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato». Molte persone, ha aggiunto, sono costrette a queste miserie da condizioni sociali ingiuste, dalla «mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa».
Anzi « in questi casi — scrive il Pontefice — la miseria morale può ben chiamarsi suicidio incipiente».
Ma ha ricordato che proprio questa miseria morale diventa «causa di rovina economica».

Detta differenza tra povertà e miseria veniva resa evidente nel volume Abolire la miseria (scritto nel 1942, pubblicato nel 1946), nelle cui pagine Ernesto Rossi scriveva che la cosa più intollerabile dei “regimi individiulistici” è

“La miseria di larghi strati di popolazione, in stridente contrasto con l’opulenza di pochi privilegiati, lo sperpero di tante energie umane e di tante risorse materiali per soddisfare la vanità ed i futili capricci di chi si presenta sul mercato con una maggiore capacità di acquisto, il parassitismo di chi vive senza lavorare”.
Per Ernesto Rossi, infatti, “La pecca maggiore dei regimi individualistici, quali si sono storicamente realizzati finora è, …, la miseria degli ultimi strati della popolazione. La condizione delle classi povere, anche nei paesi più progrediti economicamente, è talmente ripugnante alla nostra coscienza morale, ed è così contraria al nostro ideale di civiltà che, se ci trovassimo davanti all’alternativa di accettare tali regimi, così come sono, o di passare a regimi comunistici, in cui la regolamentazione dal centro di tutta la vita economica e il lavoro obbligatorio permettessero una distribuzione egualitaria del reddito sociale, saremmo molto incerti quale preferire, nonostante la nostra ferma convinzione che i regimi comunistici sarebbero necessariamente meno produttivi e potrebbero essere realizzati solo attraverso una tirannide burocratica”.

La povertà sconfina in miseria culturale, in rassegnazione al potente e al potere. Ne discende una società clientelare, un modello individualistico di società in cui ci dimentica l’assenza di sussidi universali. Povertà genera miseria.
E la miseria, ricordava Ernesto Rossi, è una malattia infetttiva.
La povertà, oltre a provocare conseguenze rovinose sul fisico delle persone che ne sono colpite, ha effetti ancora più disastrosi sul loro morale e sull’ambiente in cui vivono.

Fondate sul pragmatismo anglosassone del piano Baveridge, primo sistema di Stato sociale realizzato in Inghilterra e costituito sulla cultura della solidarietà, le proposte contenute nel lavoro di Ernesto Rossi scritte dal confino a Ventotene sono oggi di scottante attualità: in esse si rintracciano e si coniugano concetti di Stato sociale che non riusciamo a realizzare, di mercato del lavoro, di struttura del salario, di dinamica occupazionale e di riorganizzazione della scuola pubblica statale.
Per abolire la miseria, “l’assistenza non dovrebbe diminuire il senso di dignità e di responsabilità delle persone soccorse”.

“La carità privata”, scriveva Rossi, “può servire alle persone religiose per guadagnarsi il paradiso, ma certamente non constitusce un rimedio alla miseria”. E, val la pena ricordarlo, nel progetto per abolire la miseria, “non si deve permettere che i soccorsi vengano sperperati in consumi voluttuari o socialmente riprorevoli, lasciando insoddisfatti i più elementari diritti della vita civile”.

Il concetto centrale, quindi, era garantire a tutti coloro che ne facevano richiesta, beni e servizi alla persona necessari alla vita: lo Stato avrebbe dovuto garantire il cibo, la casa, gli abiti, il mobilio di base. E anche un minimo di salario percepito, però, non come carità, ma ricevuto come diritto, perché ciascuno lo avrebbe acquisito prestando due o tre anni di “servizio del lavoro” obligatorio per tutti, uomini e donne in età giovanile.
Un “esercito del lavoro” per fornire servizi in natura, un sistema di prestazioni gratuite a cui sarebbero stati obbligati tutti i cittadini per una frazione della loro vita.
Quando di materie prime, invece, ce ne sono e quando di persone da impiegare ce ne sono tante, rilanciare la crescita per abolire la miseria non soltanto non è impossibile, ma dovrebbe divenire la priorità per tutti la priorità.
Altro ché la riforma del Senato per trasformarlo in un carrozone di nominati.
Quel volume, abolire la miseria, rappresenta un’analisi attuale e una proposta ancora valida; parla di istruzione pubblica, parla di servizio civile e parla di reddito di sussitenza dato non a sussidio caritatevole o mantenendo aziende improduttive, ma chiedendo ai giovani, in cambio, il lavoro per progetti socialmente utili.
In pratica, i giovani terminata la loro preparazione scolastica sarebbero stati obbligati, anziché alla leva militariasta, a prestare il loro servizio in questo esercito del lavoro che, quindi, diventava anche un modo di formare i giovani alla realtà lavorativa.
E il tutto doveva essere affiancato da una scuola a tutti accessibile (all’epoca ancora non lo era ancora) ma riformata e riorganizzata nel duplice aspetto di formazione della forza lavoro e di solidarietà sociale. Gli esami, sosteneva Rossi, non si sarebbero dovuti fare all’uscita, ma all’ingresso di ogni ciclo scolastico per accertare che il candidato avesse competenze e conoscenze per trarre profitto da quel ciclo di insegnamento scelto. E, abolendo il titolo di studio, per Rossi, si sarebbe elminato l’annoso e ancora attuale equivoco per cui i giovani, molto spesso, vanno a scuola non per imparare ma per prendere il diploma, un pezzo di carta.
Altro che riforma del Sentato, altro che riforma elettorale. Bisogna ridare la speranza. Credo che se per il Paese e, in particolare, per il Mezzogiorno non si avrà il coraggio di intervenire subito il rischio è che la povertà fotografata dalla Caritas dilaghi, come già accade in Calabria da qualche lustro, in miseria culturale, trasformandosi per l’intero Paese in mancanza di una prospettiva di riscatto sociale, in quella miseria morale che, come dice Papa Francesco, non lascia spazio alla speranza.

Papa Francesco e la riflessione appannata sulla Calabria

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di Giuseppe Candido

Con l’editoriale pubblicato in forma di lettera a pagina tre dell’edizione calabra del Garantista di oggi, sabato 21 giugno, in occasione della visita di Papa in Calabria il direttore Piero Sansonetti chiede a Francesco di non credere a ciò che “Le diranno”.

Le diranno – scrive Sansonetti – che qui c’è un solo problema: la ‘ndrangheta, la malavita. Le faranno capire che il popolo calabrese, in fondo in fondo, è incline al delitto. Le spiegheranno – dice ancora Sansonetti rivolgendosi al Papa degli ultimi, – che la questione calabrese è una questione criminale” e che “Per risolverla servono poliziotti, giudici, carcere, manette, forse anche l’esercito”.

L’immaginazione di Sansonetti su ciò che avrebbero potuto raccontare al Papa e, conseguentemente, consigliargli di dire non sembrano discostarsi da ciò che deve essere poi stata la realtà.

La ‘ndrangheta – dice il Papa – è adorazione del male, i mafiosi non sono in comunione con Dio sono scomunicati”. Senza appello, senza possibilità di perdono né di redenzione.

A Cassano allo Jonio, una terra martoriata dalla guerra tra ‘ndrine”, è l’incipit di TMNews e rimarca che qui si è “aperto l’anno con la barbara uccisione di un bambino di 3 anni, Cocò Campolongo, ucciso insieme al nonno e alla sua compagna”.

Il Papa in Calabria scomunica i mafiosi” diventa, addirittura, il ritornello delle principali testate giornalistiche. E su questo ricamano di tutto e di più.

La Chiesa deve dire di no alla ‘ndrangheta. I mafiosi sono scomunicati”, sottolinea il Fatto Quotidiano.

Papa Francesco
Papa Francesco, foto Avvenire.it

Papa Francesco, infatti, dopo poche parole sul “perdono” che Gesù chiedeva e sul fatto di “accompagnare” il reinserimento sociale rivolte ai detenuti del carcere di Castrovillari, ha parlato poi di “’ndrangheta” e della piaga che attanaglia questa terra, come “adorazione del male e disprezzo del bene comune”.

E non ha parlato invece delle cose con le quali Sua Santità ha di fatto cambiato lo Stato Vaticano: cioè l’abolizione dell’ergastolo e l’introduzione, nel codice canonico, del reato di tortura; quelle torture che in Italia ci sono proprio nelle carceri e per le quali l’Europa ha condannato l’Italia nel gennaio 2013 proprio a causa dei trattamenti inumani e degradanti. Il Papa vicino agli ultimi che nella sua Argentina da Vescovo chiedeva perdono e invocava amnistia per i carcerati, per la Calabria criminale solo timide parole su Gesù e il perdono al carcere di Castrovillari, ma affondo e scomunica irrevocabile alla ‘ndrangheta.

Il pregiudizio creato dai media è forte e della visita di Francesco in Calabria resta in evidenza la “scomunica” di chi segue la ‘ndrangheta, senza alcun perdono possibile, e la politica così è salva, le responsabilità sono solo della ‘ndrangheta.

Ma la Calabria non è solo ‘ndrangheta, anzi. Tutto questo sia per Sansonetti sia per il sottoscritto è un grave pregiudizio: “i grandi mezzi di comunicazione e l’intellettualità del Nord hanno deciso così”.

La ‘ndrangheta qui è forte perché la povertà sociale è dilagata, è diventata miseria, miseria culturale e sottomissione del popolo ai “padroni”, ai detentori di potere dello Stato e delle Istituzioni rappresentative. Ma, in realtà, sono più d’una le ragioni condivisibili che si ritrovano nell’editoriale-lettera a Papa Francesco di Piero Sansonetti: mi riferisco a quando dice che la Calabria è povera perché le sue ricchezze le sono state portate via dal Nord, e mi riferisco pure a quando Sansonetti sostiene che in Calabria manca una classe dirigente e che, al suo posto, ci sono “padroni”, capi popolo, “che hanno accettato il predomino del Nord post unitario”.

Come ci ha ricordato il Prof. Antonio Carvello, docente di diritto di “organizzazione pubblica economica e società” presso l’Università degli Studi La Magna Grecia di Catanzaro, di una “Questione meridionale” propriamente detta se ne parla “dall’integrazione delle province meridionali nello stato unitario nel 1860-61”.

Già “all’inizio delle annessioni, nel momento in cui da Torino ci si sforzava di liquidare mediante l’intervento regio l’ipoteca politica della dittatura di Garibaldi”, – ricorda Carvello – “Cavour ebbe a rettificare i propri orientamenti ottimistici ed a prendere drammatica coscienza dell’esistenza di una profonda frattura fra le “due Italie”, di un distacco misurabile non solo quantitativamente, ma anche in termini sociali e morali”.

Aggiungendo che,

Negli anni seguenti al 1861, in assenza di una politica governativa diversa da quella storicamente intrapresa – mentre si saldava l’alleanza tra borghesia industriale del nord e grande proprietà terriera del sud, che escludeva la risoluzione in termini socialmente nuovi della questione contadina – l’iniziativa dell’opera di propaganda e di denuncia non spettò alla democrazia radicale, alla quale in pratica rimase estranea la sostanza politica del problema, ma a pochi intellettuali conservatori, ma illuministicamente riluttanti a chiudere gli occhi sui problemi che la bruciante realtà meridionale (brigantaggio, fame di terra da coltivare, arretratezza economica complessiva, agricoltura arcaica clientelismo diffuso, ecc .) proponeva.

Nel secondo dopoguerra si pone un nuovo meridionalismo, meno polemico e più propositivo rispetto ai “mali” antichi e nuovi del Mezzogiorno, che ha i suoi maggiori esponenti in Emilio Serni, Rosario Villari, Giuseppe Galasso, Francesco Compagna, Manlio Rossi Doria, Pasquale Saraceno, Mario Alicata, Augusto Graziani, ecc; intellettuali e politici di diverso orientamento, che hanno posto all’attenzione generale del paese il problema del Mezzogiorno come “questione nazionale”, nel senso cioè che sarebbe utopia parlare di uno sviluppo endogeno del Mezzogiorno, impensabile senza una politica d’orientamento e indirizzo da parte dello Stato di fronte a quelli che ancora oggi sono i problemi irrisolti del Sud: la mancanza d’industrie, un’agricoltura non competitiva, la cementificazione delle coste, la debolezza organica delle istituzioni, esplodere della criminalità organizzata, la crescente disoccupazione giovanile, l’assistenzialismo sempre più diffuso, ecc.

In questi ultimi tempi si va sempre più “appannando” la riflessione sui problemi del Mezzogiorno: una riflessione, quindi, per nulla comparabile, quanto ad intensità ed eco, ai dibattiti svoltisi negli anni ’50-60, quando ci si spinse ad affermare l’esistenza di un “pensiero” e di una “cultura” non solo meridionali, ma “meridionalisti”. Sembra ora, per diversi aspetti che i problemi della parte meridionale ed insulare del Paese non siano più sentiti come una “questione nazionale”, salvo che in poche dichiarazioni ufficiali, tanto inevitabili quanto spesso formali ed inutili”.1

garibaldi webL’alleanza tra borghesia industriale del Nord e proprietà terriera del Sud si è oggi trasformata in convivenza tra partitocrazia leghista del Nord e partitocrazia pseudo democratica o pseudo liberale al Sud.

Cristo si è fermato a Eboli anche perché, noi del Sud non abbiamo ancora capito che “la Questione meridionale” – come scrisse il filosofo Norberto Bobbio – “è una questione dei meridionali”.

Per capire come sta, oggi, la Calabria non basta quindi sentire qualche Prefetto e scomunicare la ‘ndrangheta, non basta neanche estirparla con l’esercito. Farlo, ridurre a ciò tutti i problemi di questa magnifica terra, significa mantenere una riflessione “appannata”, debole, che non porta alla soluzione dei problemi che, in Calabria, vanno invece ben oltre la ‘ndrangheta.

Dovremmo ricordarci che, come giustamente nota pure Carvello, “Il Mezzogiorno in questi ultimi 40 anni ha subìto processi di profonda trasformazione”, ma nel senso che

Sono cresciuti i consumi e sono diminuite l’occupazione e la produttività; si vive o si tende a vivere con uno stile di consumo – e anche con una relativa possibilità – simile a quello delle altre parti del Paese, ma non attraverso un’autonoma produzione di ricchezza: i trasferimenti di risorse hanno accresciuto i consumi ed i redditi, ma non la produzione l’occupazione ed il risultato che si constata oggi é questo: un Sud no povero, ma più “dipendente” o, come l’ha definita qualche studioso, “modernizzazione passiva” del Mezzogiorno”.

il brigante Vizzarro uccide il suo bambinoE in questo scenario l’illegalità è diventata regola, le Istituzioni si sono colluse a vicenda e si è smarrito lo Stato perché è venuto a mancare, appunto, lo Stato di diritto.

La Questione meridionale è è stata lasciata irrisolta dalla partitocrazia che dal bisogno, dalla miseria, dalla mancanza di libertà economica ha creato consenso, potere, e ha potuto alimentare clientele. I miliardi di vecchie lire della vecchia Cassa del Mezzogiorno e le centinaia di milioni di euro della Comunità europea sono andati sprecati.

Se non si tiene conto di questo, se si dimentica che le istituzioni rappresentative sono state occupate e piegate dai Partiti ai loro interessi, non se ne uscirà.

1 Carvello A., La “Questione meridionale”: dalle origini al dibattito contemporaneo, Abolire la miseria della Calabria, Anno V, Aprile-Dicembre 2011

 

Spes contra spem … Pannella: bisogna aiutare Papa Francesco a riflettere un tanto su questo, tutto qua

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Tradotto, Spes contra spem, significa “Speranza contro la speranza”. Marco Pannella, che in digiuno prosegue a dare lui corpo alla speranza, manda un messaggio al Papa e gli chiede come poterlo aiutare ad essere speranza:

«Si, in effetti non voglio parlare d’altro, ma nel contesto anche interno nostro, sicuramente sono alieno o comunque oggi pongo un problema di altro. A me pare, continua Pannella, che altri da me potrebbero subito dirci: dove viene fuori quella cosa … spes contra spem? Dov’è?»

Paolodi TarsoI compagni della direzione del Partito Radicale sempre meno capiscono dove Marco voglia andare a parare. In effetti, la citazione che, con un messaggio di 25 minuti, Marco Pannella direttamente rivolge non solo a Papa Francesco ma anche al Presidente Napolitano è di un passaggio della Lettera inviata ai Romani da Paolo di Tarso, l’apostolo che, in riferimento all’atteggiamento di fede di Abramo, scrisse che:

Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. (San Paolo, Lettera ai Romani, 4,18)”.

Spes contra spem, sono pure le parole che usò Giorgio La Pira manifestando nei confronti di Giovanni XXIII la speranza che si potesse aprire un futuro di pace.

Oggi, secondo Wikipedia, la locuzione è utilizzata per descrivere l’atteggiamento di chi coltiva una fede incrollabile in un futuro migliore, e non abbandona l’aspettativa, anche quando le circostanze concrete sono così avverse da indurre a credere, al contrario, alla perdita di ogni speranza.

Quella speranza che, sempre di più, Marco ripone nel Pietro d’Oltre Tevere piuttosto che nel Cesare delle catacombe.

Me lo sono sognato? A quale testo ci riferiamo? Nessuno?” – domanda. “Nada? Volevo questo aiuto”, dice.

Marco ridacchia un po’ e rincara la dose:

« Dunque, Spes contra spem, e oggi abbiamo la spem contra spes. Bisogna aiutare Papa Francesco – esclama – a riflettere un tanto su questo. Tutto qua. ».

Poi continua:

« Allora, non è uno scandalo che forse questa è l’unica sede nella quale” – prosegue con un po’ d’ironia – “viene sollevato “chisto” piccolo problema, quasi lessicale, all’interno di chi può avere un ripiegamento quasi chierica, clericale, nel leggere le cose del mondo. Non è il caso che questo da’ la misura. Io ridico oggi che sto lottando ma dovrei dire, credo da anni, con altri, con un richiamo quasi quotidiano, quasi sommesso, quasi – altri direbbero – da biascicamento da preghiera, “spes contra spem”. E qua c’avemo tante spem, una follia di spem che viene fuori, ognuna, contra spes. Fermati spes, c’è quest’altra cosa. Guadagniamo un poco di tempo. … Poi non mettiamo nel conto che il divieto del dibattito, del dibattito civile, del dibattito della specie umana abitante sul territorio italianofono. Sta roba – dice Pannella – manco viene fuori un momentino. La spes qual’era? Qual’è quella di riferimento possibile? Magari è quella che in modo diverso nelle varie epoche, nei vari momenti, se ha voce specifica ha voce. Ha voce se può essere ascoltata. E a voce a che punto siamo? Devo dire che la spes, lo sto sottolineando perché sembrerebbe utile, oggi rispetto a vent’anni fa, mo c’abbiamo che quasi tutti gli “importanti”, quasi tutti, sembrano adesso loro avere il tempo di scrivere bene, di pubblicare, quello che, come nostra singolarità animale quasi, come nostra singolarità storica siamo andati scrivendo con le nostre vite, con le nostre parole. Con i nostri morti, con i nostri viventi, con i nostri compresenti.

Ma vorrei proprio dire: di che cazzo di Spes altrimenti ci si dovrebbe occupare in questo momento anche secondo le Parole, con la P maiuscola, anche le Parole di chi parla in nome della religiosità laica, statuale, cesarista. Sembra quasi che sono cose che mi vengono di notte. Poi l’Osservatore Romano, ma poi io insisto, l’altro giorno anche con il carissimo Fausto (Bertinotti, ndr), in fondo mentre gli dicevo: senti, ma sto problema della classe … della “classe”. La classe, quella vera, quella tua, quella vostra, la classe, dove se n’è iuta?

Però, tu sei qui (dicevo a Bertinotti, ndr), perché sai che noi siamo riusciti a essere e a esprimere classe, proprio noi, la classe quella dei comunisti, quella dei marxiani, quella dei marxisti, quella dei marxologi, e sempre più siamo questo. Tant’è vero che sembrerebbe quasi che parlando e rivolgendoci a Fausto, visto che sono appunto … in quel momento sto pensando, invece di parlare, che so’ io, con Padre Lombardi, per non dire con Papa Francesco e, nella mia furbizia, gli faccio quel discorso della classe, tale e quale, traducibile e che è la gente.

Che è quello che io ricordo continuamente abbiamo vissuto, non sappiamo per quale merito, il carattere di essere i più comuni!Le più bestie comuni, rispetto a tutte le altre che cerano. E, nell’esser comune la gente, con quella specie, su quel territorio, con quel linguaggio, ci riconoscono, ci riconoscevano. Insisto: che si parli con Fausto, o si parli qui dentro, il problema della forza comune della parola che è quanto sempre viene sottovalutato perché c’è il terrore: mamma mia, quanti di noi ci cadono? Il regime ?La scusa, il nome di cui abbiamo bisogno per evocare le nostre inefficienze, le nostre debolezze. Il regime, il male. Il diavolo. E via dicendo. Beh, sappiamo che la storia sta dicendo non proprio questo. Se è evero come è vero che il problema si pone, lo pongo all’ottimo Presidente (della Repubblica, ndr): è vero che il comunicato, contrariamente a quello che si pensa, il comunicato che fanno è sempre “burocratico”, anzi, proprio perché è falso, appunto, quando è burocratico si possono poi fare degli esempi di quando, sei mesi prima di morire, uno dei personaggi più influenti nel Quirinale, sei mesi prima di … (morire, ndr), lui riuscì anche come tornò a riuscire durante le settimane delle riunioni al Senato grazie a Schifani, riuscirono a venir fuori già segnali importanti sul fatto che, anche a livello formale, ci si apprestava a definire “obblighi” … come s’è trovato poveretto?

Li ha definiti obblighi, lui stesso come linguaggio, parla del sovraffollamento. Ma che stronzata! Che improprietà. Qual’è il problema sul quale tu stai intervenendo? Sul sovraffollamento. Sei a livello del grande Zaia, che me pare che proprio in queste ore va dicendo non so quali altre belle stronzate leghiste a proposito di problemi della gente veneta e di tutta l’Italia. Risponde a livello del termine affollamento. Ma che affollamento. Il problema se c’è l’affollamento non è che bisogna vuotare, bisogna accrescere il numero delle carceri.

L’ha detto ieri il grande Zaia. Noi però, appunto, ci troviamo adesso in questa situazione. Io sono convinto che se avessi parlato in un contesto che poteva comportare qualche centinaia di migliaia di famiglie, quindi qualche milione di ascoltatori, poteva succedere un bel casino domani. Com’è la cosa? La speranza… spes contra spem. Quale? Spes oggi la scrivono i presidenti della Repubblica, gran parte de li cardinali quando scrivono, vogliono scrivere, perfino gli intellettuali di sinistra indipendente o non so come capperi si chiami. La si sente dire anche da Cozza, o come si chiama… Crozza, scusate. Ma il problema è questo, il vero problema è più semplice, che non può dirsi. Perché se dico, com’è quella cosa? Spes contra spem, subito … tutti contro. Eppure, lo dico con amore. Lo dico con amore a Papa Francesco: credo che tu sai che questo è il dovere che sto esercitando, quindi l’umiltà di qualcuno che vuole sperare di potere aiutare con te la Spes contra la spem che sta trionfando. Per il momento finisco qua. Scusateci. Sicuramente è molto poco, ma questo è il senso della nostra lotta e, infatti, ormai la cosa è quasi divertente. E orami, se non ci sta attento lo stesso Presidente, se continua a parlare dell’affollamento che non centra un cazzo. Con quello che lui dice (nel messaggio alle Camere, ndr), non centra una fava. È l’epifenomeno, ipofenomeno. L’abbiamo previsto, per scongiurarlo, e di conseguenza urge a livello lessicale: affollamento. Come fai? (Punta il dito verso la camera, Pannella per riferirsi al Presidente) Tu hai parlato di quegli obblighi, e non trovi lessicalmente il modo di evocare quelle urgenze e quegli obblighi ai quali tu stai dando Parola? Tu Presidente e tu Papa. Per il momento dico: questo è il punto in cui siamo per cui il vero problema è che nelle ultime quarantotto ore, sono sicuro, aumenta la forza di quello che noi avevamo già individuato. Volete vedere che sono riusciti, sarebbero riusciti, negli ultimi giorni, a ridurre direi a sotto zero il tempo in cui qualcuno ha potuto ascoltarmi. Proprio diminuito. Come se fa a diminuì ancora? Non parliamo di Emma. Non parliamo di tutti quanti. Ma in una situazione nella quale non viene il dubbio, perché proprio siamo quasi a una caricatura degli anni ’30, 1920, ’30, ’40.

Nel senso che si ripete in modo quasi grottesco, quasi una satira: le posizioni che storicamente sono state vincenti, quelle, oggi sono quelle ufficiali della storia istituzionale. Con un però. Per tutti i media italiani, ma parlo soprattutto quindi l’audiovisivo, tutti quelli italianofoni, cazzo: è come se fossero gli editori unanimi, d’accordo alla lettera: ci deve andare il 35% di Grillo, ci deve andare il 35% di quello là, come se chiama, de Renzi, ci deve andare il 35% di quello che resta. Che è appunto, a ri-ciccia. Ed è fatto, e su questo non si accettano, come dire, eccezioni.

E c’è qualcuno di quelli un po’ più strutturalisti di noi, socio-economici eccetera. Uno che dice: ma come cazzo è possibile che, tutti quelli che sono gli editori di sta roba, sono tutti assolutamente d’accordo a tal punto che rischiano di essere contro producenti.

Perché se vai a una (trasmissione, ndr), vai all’altra delle case editrici, hai esattamente il rischio che lo stesso eccesso. A tutte le ore li vedi: quello là in quel modo, quell’altro nell’altro modo, e quell’altro ancora a fare il … e poi anche questa uniformità di linguaggio, di lessico, nello scegliere – giorno dopo giorno – le cose che possono essere più attuali. Questa è una considerazione.

E come mai, quindi, il fatto benedetto che il nostro contributo al “conoscere”, davvero, continua a essere un riflesso loro, quasi ormai giustificato. Non bisogna toccare la comunicazione come è andata negli ultimi cinquant’anni. Guai, perché se poi si permette, si consente di ascoltare un po’ di più per qualche giorno quelli lì, succede un casino che non ci si può permettere. Come, appunto, rispetto al popolo cattolico, al popolo comunista, al popolo, diciamo, qualunquista: guai tornare a questi. L’unico problema che non se pote (parlare, ndr), e quindi far vivere in realtà quello che sto evocando: invece di un migliaio di persone, di una cosa, avere una propria manifestazione, diciamo del potere, che è di stampo sconosciuto. Cioè, ci sono delle cose che non possono essere permesse e, semmai, quindi, da trattare con gli esorcisti. Che è quello che sempre di più vediamo attorno: c’è quasi l’esorcismo nei confronti del conoscere, un po’ più, quello che accade e viene proposto. Cioè una realtà nella quale da vent’anni, non è un caso, non credo che ci sia stato un solo dibattito, lo ripeto, uno solo, conoscitivo sulla nonviolenza. Perché se tu dici a dieci milioni di persone quello che noi diciamo a cinquecentomila, sono convinto che lì, quei dieci milioni, impazzano di ragionevolezza, di conoscenza, di rinnovamento. E questo deve essere impedito. Questo lo si sta impedendo. Però, puttana Eva, adesso voglio vedé se quella cara Eva alla quale devo che me da’ delle mele in questi giorni. … Ma si può andare oltre … le mele, Mele. Con le quali questi giorni ho trovato un sistema che bevo e faccio lo sciopero della sete. Invece dei cappuccini ho messo a regime le mele di Eva. Va bene? E sorridendo su questo, però torno a dire: non è possibile. Papa, se te posso aiutà? Nun è possibileeeee! Non è possibile che, semplicemente questa storia che evoco, che è vostra, che è tua e noi dobbiamo vivercela senza consapevolezze, sulla fede, sulla speranza, speranza: Spes contra spem. Oggi c’è spem, spem, spem … spemerda. Costantemente, al posto della singolarità scandalosa, gioiosa, e commovente della Spes contro spem, nella politica.

Oggi qui, noi vogliamo dare corpo, aiutarti a dare corpo e parola a te e a Fausto Bertinotti, per la Classe, per l’Umanità, dare forza a questa generazione di essere una generazione saggia. Come dicevamo della terza generazione di liberali. L’Unità che a noi interessa non è quella di generazione che viene non si sa come, ma l’Unità che viene da padre e madre in figli e che, a questo punto, è quella che riesce ad avere i tempi dei valori, i tempi della speranza, i tempi della scienza. Sarà poco, ma a me me pare che è quello che sta succedendo. »

http://www.radioradicale.it/scheda/411537

#Carceri: #Parlamento sovversivo, @MarcoPannella incontra il Presidente della Repubblica ma l’Italia non se ne accorge

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Marco Pannella, 25/12/2013, III marcia per l’amnistia

Una delegazione del Partito Radicale guidata da Marco Pannella, con Rita Bernardini e Maurizio Turco, è stata ricevuta da Giorgio Napolitano, ma per colpa di un’informazione disattenta l’Italia del regime non se ne può accorgere.

“Il Parlamento è sovversivo, ha un atteggiamento di sovversione dinnanzi ad affermazioni indiscutibili da parte dei massimi organi magistrali italiani e internazionali”.

A dare la notizia è lo stesso Marco Pannella durante una conferenza stampa tenuta nella sede del partito radicale subito dopo l’incontro.

“Il Presidente ci ha incontrato”, dice Pannella, “riproporre gli interisti della presa di posizione che grazie a Giuseppe Rossodivita, e io con lui, abbiamo proposto come diffida formale dell’ordinamento italiano e, adesso, successivamente, anche come denuncia formale che potremmo già definire quello che noi riteniamo, in termini strettamente tecnici, il regime italiano in questo momento stia opponendo formalmente, in modo naturale visto che il crimine è naturale in uno stato e da sessant’anni e antidemocratico, contesta e cerca di sabotare l’esercizio ex cattedra dei massimi poteri e delle massime responsabilità magistrali del nostro Paese, fra i quali quelli, appunto, del Presidente della Repubblica. E, invece, fra gli uni, gli altri e gli altri, ormai è chiaro che c’è questo comportamento tecnicamente, lo ripeto, sovversivo e di sovversione dinnanzi ad affermazioni indiscutibili di legalità da parte dei massimi organi magistrali italiani e internazionali per, appunto, riuscire a tornare in un paese nel quale si affermino diritto e nonviolenza, democrazie e non antidemocrazia violenta di stampo come potevano essere gli stampi nazisti, fascisti e perché no stalinisti anche”.

Quando puoi Alessio Falconio gli chiede esplicitamente “che tipo di interlocuzione” ci sia stata con il presidente della Repubblica, Marco Pannella risponde:

pann1“Devo dire che ci conosciamo abbastanza a partire da antiche riflessioni, di antiche scelte, di antiche diversità, oggi credo che davvero, per esempio, su questa nostra proposta di dare corpo, a livello tecnico, ha un comportamento patologico del regime italiano che tende a distruggere rapidissimamente tutto quello che, a livello massimo delle massime magistrature non solo italiane ma anche europei e forse anche internazionali, noi siamo oggi, qui, incaricati di difendere, mentre invece altrimenti lo stanno travolgendo col ritmo del calcio balilla che caro al nostro presidente del consiglio”

Trascrizione a cura di Giuseppe Candido
A questo link la conferenza stampa di Marco Pannella al termine dell’incontro col Presidente

Pannella si rivolge a #PapaFrancesco per i diritti dei detenuti, Bonino bacchetta lui e i #Radicali

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La cosa più difficile che può fare Marco, e dovremo tutti incoraggiarlo a fare è, almeno per qualche giorno, di ascoltare i medici.

a cura di Giuseppe Candido

#Radicali e la riunione del 24 aprile: Pannella si rivolge a #PapaFrancesco per i diritti dei detenuti. Emma Bonino bacchetta lui e i Radicali: “la cosa più difficile che può fare Marco, e dovremo tutti incoraggiarlo a fare è, almeno per qualche giorno, di ascoltare i medici”

Dopo aver letto sui giornali, aver sentito Rita Bernardini per telefono e aver sentito lo stesso leader radicale fare ieri la sua conferenza stampa, ho creduto e scritto che “Marco Pannella sta bene”, che ha cominciato un’iniziativa nonviolenta di sciopero della sete sulle carceri e che fuma i sigari perché in sciopero della sete gli produce, a suo dire, il ritorno della salivazione.

Molti di noi hanno incitato #forzamarco a non mollare e a non mollare le lotte, appena saputo che stava un poco meglio. Ma per Emma Bonino “ci sono fragilità che non sono reversibili”.

Marco è intervenuto pure lui alla riunione affermando: “Credo che il nostro Paese dovrà essere giudicato come nel processo di Norimberga”, che però Marco non vuole “come quello (di Norimberga) che fu un processo dei vincitori sui vinti”, ma pretende un processo civile.

Pannella chiede “che venga sottoposta alle giurisdizioni superiori l’incriminazione dell’Italia”, e con la sua iniziativa nonviolenta spera di convincere Papa Francesco, come già fece Giovanni Paolo II, affinché pure lui si rivolga al Parlamento del nostro Paese, ufficialmente, per la condizione delle carceri e della giustizia di questo Paese.

La flagranza va sempre prima interrotta”, dice ancora.

Pannella, in questo momento, rivolge specificatamente la sua l’iniziativa di sciopero della fame e della sete iniziata qualche giorno prima e nonostante l’intervento alla aorta addominale, principalmente ad “aiutare il Pontefice a capire che il suo predecessore Giovanni Paolo II, esperto di regimi, aveva capito” già nel 2002 quando si rivolse al Parlamento per chiedere provvedimenti di clemenza. E su questo, nella riunione, interviene persino il vaticanista di Radio Radicale, Giuseppe Di Leo proponendo di preparare un appello al Santo Padre da far sottoscrivere a cittadini, rappresentanti nelle Istituzioni e parlamentari.

Forse, però, le cose più sensate durante la riunione le dice Emma Bonino che interviene “sull’iniziativa di Marco che” – per Emma – “si interseca col problema della giustizia giusta e delle legalità del nostro Paese, ma che ha delle specificità proprie che non vanno sottovalutate”.

Quando parla Emma ha un tono grave, quasi le lacrime agli occhi.

Io penso che la cosa più difficile, su cui dovremmo accompagnare Marco e a riconoscere per una volta che pur essendo una persona straordinaria e fuori dall’ordinario, ha e gli capitano delle fragilità come a tutti, come a molti, pure a lui. E che forse dovremmo accompagnarla” – aggiunge Bonino – “nella cosa più difficile che Marco ha mai fatto in vita sua e cioè quello, magari, di ascoltare i medici! Perché non vorrei” – continua l’ex ministro degli Esteri che il buon Matteo ha preferito non avere al suo fianco nel nuovo governo, forse per non essergli secondo a popolarità – “che anche noi ci fossimo assuefatti al fatto che essendo sopravvissuto a tutto, (Marco, ndr) sopravvive anche a questo per il bene nostro e per le nostre speranze”.

Poi Emma, con un intervento tutto politico, parla con molta franchezza:

“Io sono andata a trovarlo ieri, è stato molto difficoltoso e tornerò perché gli voglio dire proprio questo: la cosa più difficile che può fare, che però credo che valga la pena incoraggiarlo a fare, è perlomeno per qualche giorno di ascoltare i medici”.

Le parole sono difficili da trovare anche per un politico di razza come la Bonino:

“Ci sono fragilità che poi, come dire, non sono reversibilissime e da questo punto di vista” – aggiunge rivolgendosi a Sergio (D’Elia, ndr) – “a me (vederlo, ndr) non m’ha dato un senso di serenità. (…) Credo anzi, magari non in questa sede, che abbiamo qualche responsabilità altra di cui occuparci anche per quanto lo riguarda. (…) sarà bene che lo facciamo o, comunque, che chi ne ha più responsabilità (il riferimento è a Rita Bernardini), veda di non rimuovere perché, come dire, così sta più sereno”.

E anche sul piano politico e sull’appello al Santo Padre, Emma Bonino spiega la sua:

Immagino che, da Rita in poi chi in questi giorni abbia avuto interlocuzioni con chi che sia, anche con chi chiama per solidarietà umana e benevolenza, di cercare di stringerlo su un piano politico, anche in questi giorni, … niente. Forse Nitto Palma”, aggiunge Bonino. Ma gli altri niente. E quindi per Emma “questo vuol dire anche capire il bacino su cui raccogliamo le firme, rivolte peraltro al Santo padre. E questo provoca una serie di problemi. È chiaro che un responsabile politico invece di fare lui le cose, firma l’appello al Santo Padre”. E vero, aggiunge rivolgendosi ai compagni: “Be abbiamo visto di tutti i colori, però magari viene un po’ difficile, no?” Una domanda cui risponde subito Rita ricordandole che “non necessariamente un manifesto appello debba essere rivolto al Santo Padre affinché faccia qualcosa”. Ma a dirimere le due interviene Angiolo Bandinelli, saggista e radicale storico: “è difficile conciliare”, dice. “L’appello di Di Leo è al Papa, tu (Emma, ndr) hai le tue ragioni per non condividerlo”.

Emma si rivolge direttamente alla segretaria di Radicali italiani per essere più esplicita:

“Rita, io dico e faccio quello che posso come te, preferirei solo non sentire altri commenti della serie «perditempo, astenetevi». E anche se sono l’unica a pensare, in tutta questa stanza e in tutti quelli che ci ascoltano per Radio Radicale, che forse è bene se ci consoliamo meno e ci assumiamo qualche … Qui ho sentito altro finora: Marco è nelle migliori condizioni, non lo sottovalutate però”.

Emma non conclude la frase e chiude il suo ragionamento con parole lapidarie: “Questo mi sento di dire, e questo gli dirò”

Marco Pannella e Giuseppe Candido
Marco Pannella e Giuseppe Candido a Bruxelles il 2 maggio 2008 

Rassicuriamo Emma: non è l’unica, almeno tra i presenti in radio, a pensare che è bene non consolarci e chiedere a Marco, almeno adesso, ad ascoltare i medici.

In riferimento alla prossima iniziativa da organizzare in occasione della domenica di beatificazione dei due Pontefici da parte di Papa Bergoglio, per Emma anche qui il pensiero principe che guida l’intervento è la salute di Marco e, sostiene Bonino, “bisogna capire come si riesce a elaborare una cosa che non sia il miracolo di Marco che magari avviene ma che sicuramente ha dei costi che preferirei non pagasse”. Poi il miracolo avviene davvero. … avevamo pubblicato il resoconto della riunione stamane alle 10.57; nel pomeriggio … Papa Francesco chiama Marco Pannella

E’ notizia delle ore 18.00 del 25 aprile che Papa Francesco ha telefonato a Marco Pannella e lui ha interrotto lo sciopero della sete. Ho chiamato Rita Bernardini al cellulare, ma era troppo impegnata con i comunicati stampa per darmi retta.

Ho inviato un sms a Pannella: sono contento per questa bellissima straordinaria notizia, per te, per noi e per il Paese proprio di venerdì, quello di liberazione, durante i quali anche io aderisco col digiuno al Satyagraha di conoscenza e documentazione“.

A questo link la registrazione completa della riunione straordinaria del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito

 

Ascolta ciò che disse, sui diritti umani, Giovanni Paolo II al Parlamento italiano nel 2002
II PARTE

I PARTE

Di seguito alcune note che potrebbero interessare il lettore:

Il video di Givanni Paolo II in Parlamento il 14 novembre 2002

Parte I http://youtu.be/8AX0VvBQ24U

Parte II http://youtu.be/YdD2L_lxbf0