Spes contra Spem – liberi dentro. La Rai non ignorerà tematica carceri? Saremmo lieti se ciò accadesse davvero

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Monica Maggioni, presidente della RAI, nella lettera inviata al Comitato di Redazione della testata VITA espressamente sostiene di ritenere che, «specie nel contesto del servizio pubblico, non sia possibile ignorare o trascurare questo tipo di tematiche. Per questo ringrazio per la segnalazione (fatta dai numerosi social e dalla testata VITA, ndr) e le posso assicurare che sarà mia cura entrare in contatto con la produzione per garantire che le nostre strutture editoriali possano essere a conoscenza dell’esistenza della possibilità di valorizzare questo prodotto, ovviamente nel pieno rispetto delle prerogative editoriali di ciascuno».

Anche noi – come fa il comitato di Redazione di VITA –  da semplici cittadini ringraziamo per la sensibilità e per la risposta che viene dalla RAI. Anche noi riteniamo che il servizio pubblico radio televisivo che pagano i cittadini con il canone non possa, come invece fatto sinora negli anni, totalmente ignorare il tema delle carceri e della giustizia. Saremmo contenti se ciò accadesse davvero.

Purtroppo, negli anni, abbiamo dovuto constatare il contrario: il servizio pubblico ha trattato il tema della giustizia e quello delle carceri, ignorandoli totalmente quando addirittura  censurandoli. Persino il Papa e il Presidente della Repubblica (Napolitano) quando si sono occupati di Carcere e, soprattuto quando si sono occupati di amnistia, sono stati censurati.

Ricordate il discorso inviato dal Presidente alle Camere? No?, ecco, appunto.

Di seguito, il Treiler del docufilm di Ambrogio Crespi, con Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti.

Una produzione Nessuno Tocchi Caino e Index Production in collaborazione con Radio Radicale , la Casa di Reclusione di Opera e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

 

#MATRIXITALIA il mistero della #finanza pubblica. Mario Baldassarri ai @Radicali

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SUL COSTO ECONOMICO-SOCIALE DELLA CORRUZIONE, DELL’EVASIONE FISCALE … e SUL DEF DI RENZI PADOAN 

Ragazzi, BASTA! …a chi sguazza nei 45-50 miliardi all’anno di sprechi e ruberie di spesa pubblica e dentro i 100 miliardi di evasione. Una congregazione trasversale di due milioni di persone ha pesato molto di più degli altri cinquantaquattro-cinquantasei milioni di cittadini.


Già vice ministro dell’Economia e delle Finanze Mario Baldassarri è intervenuto lo scorso 18 aprile al comitato nazionale di Radicali Italiani e, come Orpheus ha parlato di “mistero della finanza pubblica italiana” e di tante altre cosucce come 25 miliardi di euro l’anno spesi in ruberie di cui 17 distribuiti dalle regioni e in cui c’è dentro di tutto. Persino le sagre del maiale. Mentre la gente continua ad essere tartassata nel letterale senso della parola. Siccome tra i risparmi possibili si potrebbe sicuramente trovarne un paio all’anno per la scuola pubblica che langue pure la carta (e ne basterebbe uno solo e una tantum per assumere tutti i precari), pubblichiamo anche noi questo lodevole oltreché #Radicale intervento.

Leggi tutto “#MATRIXITALIA il mistero della #finanza pubblica. Mario Baldassarri ai @Radicali”

@MarcoPannella Senatore a vita? Apriamo il dibattito

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Lo scorso 5 dicembre, dalle pagine del Garantista, l’ex Presidnete della Camera, On.le Fausto Bertinotti, chiedeva al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di nominare Marco Pannella Senatore a vita.

di Giuseppe Candido

Tra le motivazioni addotte da Bertinotti c’era il fatto che, in un periodo di crisi della democrazia e della politica com’é quello che viviamo non solo in Italia, sarebbe assai utile indicare buoni “esempi”, “esempi di un passato glorioso” che permettano di mostrare che, almeno nel recente passato, la politica “non è stata sempre così misera”.

Marco Pannella ha attraversato, camminando per i suoi sentieri, – scriveva Bertinotti – l’intero dopoguerra italiano. Ha vissuto il tempo delle grandi culture politiche. (…) E’ stato un protagonista tra i protagonisti dell’Italia politica uscita dalla Costituzione repubblicana e segnata da grandi e dure lotte: lotte di classe, lotte politiche e di civiltà. Di quella storia, Marco Pannella è rimasto uno dei pochi a vivere l’attuale (e così diversa) stagione sempre da protagonista. Come recita il motto riferito a Radio Radicale – ”dentro ma fuori dal palazzo” –, Pannella vive una politica in cui la strada vale almeno quanto le aule del palazzo. Ha privilegiato e privilegia l’essere sull’avere. Non cerca il potere. E alla sua età fa riprendere nel Satyagraha uno sciopero della fame per una nobile quanto difficile battaglia per il diritto e la legalità”. 

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Cronache del Garantista: la lettera di Fausto Bertinotti e l’articolo di Valter Vecellio

Per ricordare “la storia di Marco” faceva da spalla alla lettera di Bertinotti l’articolo di Valter Vecellio col titolo: Per Sciascia, era l’unico ad avere il senso del diritto. Ma per raccontare la storia di un politico di razza come Giacinto Marco Pannella (classe 1930) non può essere sufficiente ricordare – come meritoriamente faceva Vecellio – ciò che sulla prima pagina del Corriere della Sera scriveva il poeta premio Nobel Eugenio Montale: «Dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrei Sacharov e Marco Pannella che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore: il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi». 

Prosecuzione lettera (sx) e articolo (dx) pubblicati sulle Cronache del Garantista del 5 dicembre 2014
Prosecuzione lettera (sx) e articolo (dx) pubblicati sulle Cronache del Garantista del 5 dicembre 2014

E può non esser sufficiente ricordare quello che Leonardo Sciascia, solo sul giornale spagnolo El Pais, potè pubblicare: «Pannella è il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia. Ce ne saranno altri, ma senza volto e senza voce, immersi e sommersi in partiti la cui sensibilità ai problemi del diritto soltanto si manifesta quando qualche mandato di cattura raggiunge uomini del loro apparato: per il resto se ne stanno in silenzio…».

Per aprire un dibattito su Pannella Senatore a vita, alla cui proposta mi associo, sarebbe necessario raccontare altro ancora e, specialmente se si vuole raggiungere i giovani disaffezionati dalla miseria odierna della politica, bisognerebbe farlo andare in televisione, non dico quanto Matteo Salvini, non sia mai, ma almeno farlo conoscere e riconoscere. I giovani possono oggi sapere di battaglie di tale portata e valore solo attraverso Radio Radicale, la radio che “è dentro ma fuori dal Palazzo” e che Marco ha letteralmente “inventato” nel 1976.  Dalla TV, anche da quella di Stato, Pannella è completamente escluso, fatto fuori politicamente; escluso da qualsiasi dibattito, anche quando questi riguardano temi “Radicali”, come la riforma della giustizia, l’articolo 18, eccetera. E si sa che se non vai in televisione, in politica non ottieni neanche il consenso per essere eletto e avere parlamentari.

Per far conoscere un politico “irregolare” ma nobile come Giacinto Marco Pannella ai giovani bisognerebbe spiegare loro che è proprio grazie a Pannella se, il 15 dicembre del 1972, il Parlamento di questo Paese approvò una legge sull’obiezione di coscienza; e bisognerebbe spiegare che ciò avvenne grazie solo a una lotta nonviolenta inziata da Pannella e dai Radicali nel lontano 1966, quando Andrea e Lorenzo Strik Livres, allora due giovani militanti del partito della nonviolenza e della disobbedienza civile, furono arrestati perché distribuvano un volantino antimilitarista. Ai ragazzi di oggi, per spiegare la nobiltà della politica di un irregolare come Pannella, andrebbe spiegato che quella legge arrivò solo dopo “un lungo sciopero della fame a oltranza di Pannella e dell’allora radicale e credente, Alberto Gardin, interrotto nel momento in cui l’allora presidente della Camera, Sandro Pertini, assicura che la questione sarà posta rapidamente all’ordine del giorno”. E bisognerebbe raccontare loro delle “marce antimilitariste” fatte tra gli anni ’60 e ’70 nelle regioni del nord Italia e quelle fatte in Francia e in Spagna, con un’impostazione sempre transnazionale e transpartita del problema. Di ogni problema. 

Bisognerebbe spiegare come si ottenne l’incredibile vittoria sul referendum del divorzio voluto dalle forze “clericali” per tentare di abrogare la legge Fortuna Baslini; e per far conoscere Pannella bisognerebbe ricordare le sue battaglie – alcune ancora in corso – per “il diritto alla libera sessualità”, quelle per la “legalizzazione dell’aborto” per sconfiggere quello clandestino e di massa fatto dalle mammane o in una clinica privata all’estero, per chi se lo poteva permettere. Bisognerebbe ricordare le battaglie contro il proibizionismo e quelle per la legalizzazione delle droghe, anche se qualcuno, quando ci si riferisce, ancora parla di “liberalizzazione”. Marco Pannella ci tiene a specificarlo ogni dove sillabando: le-ga-li-zza-re, non liberalizzare. Che vuol dire sottrarre alle criminalità organizzate profitti enormi che poi, abilmente, sono reinvestiti nella economia legale che, perciò, ne diventa “drogata”. Oggi è l’ONU stessa, con la sua commissione per la guerra alle droghe, a scrivere che il proibizionismo ha fallito e che la guerra alla droga deve essere radicalmente ripensata dai Paesi membri. 

Oggi Papa Francesco dice le stesse cose sulla tortura che Pannella dice ormai da anni. Può esistere la tortura anche nelle carceri di massima sicurezza o nei regimi speciali di detenzione. Ed è tortura lo stesso ergastolo che Pannella da anni vuole abolire coi referendum in Italia e che il Pontefice ha abolito in un giorno per il Vaticano, introducendo il reato di tortura che Pannella sostiene per l’Italia in questi giorni col Satyagraha. Ma non è la prima volta che l’anticlericale Pannella va d’accordo con le idee dei Pontefici, o viceversa. Ai ragazzi e alle ragazze di oggi (e anche a quegli editorialisti che parlano di conversione di Pannella) bisognerebbe spiegare la nobiltà della politica, ricordando che proprio a Marco Pannella si deve “l’intuizione e l’introduzione della lotta allo sterminio per fame nel mondo, «come grande questione nazionale e internazionale, e per il raggiungimento di concreti risultati»”. E come, dalla “Marcia di Pasqua” del ’79, dopo che il Parlamento italiano si era autoconvocato in seduta straordinaria, si arrivò, nel settembre dello stesso anno, ad avere Papa Giovanni Paolo II che, anche lui esplicitamente, si pronuncia contro quella che definì “l’intollerabilità dell’esistenza di un’area della fame e un’area della sazietà”; e che, nel giugno del ’81, ben 54 premi Nobel (che poi diventeranno oltre un centinaio) lanciano un “Manifesto-appello” che – di fatto – gettò “le basi morali, teoriche e politiche della lotta alla fame”. E ai giovani che oggi vorrebbero ridurre gli armamenti non solo dell’Italia, bisognerebbe raccontare che fu proprio grazie alla “incrollabile tenacia” della lotta nonviolenta di Marco Pannella e a una petizione indirizzata al Presidente delle Repubblica sottoscritta da 1.200 sindaci, che si ebbe la pronuncia ufficiale dell’allora Capo dello Stato, Sandro Pertini, che affermò il suo famoso: “Svuotare gli arsenali e riempire i granai”. A iniziare dalla primavera del ’79 gli scioperi della fame di Pannella, alternati a scioperi anche della sete, ripetutamente condotti nel corso del 1983, non si contano: e per la prima volta furono fatti i “digiuni collettivi” e fu introdotto – in Occidente – la “pratica del Satyagraha” di Gandhi. Pratica che vediamo ancora in corso per la battaglia sulla giustizia e sulle carceri. E che dire della lotta per introdurre il diritto alla conoscenza come diritto umano assieme al dibattito, sollevato a livello internazionale, sulla guerra in Iraq e sulle “ragion di Stato” che, sempre di più, annientano lo “Stato di diritto” e che allora portarono Bush e Blair a scegliere la guerra contro l’ormai possibile esilio di Saddam? Ai ragazzi di oggi bisognerebbe raccontare tutte le battaglie condotte negli anni da Pannella, con la sua “incrollabile tenacia” che pure il Presidente Napolitano gli riconosce, per una “giustizia senza privilegi, responsabile e uguale per tutti”, e tutta la vicenda di Enzo Tortora. E bisognerebbe dire ai giovani che se oggi c’è un Tribunale Penale Internazionale, quello dell’Ahia, che giudica i crimini di guerra e se l’ONU ha adottato, con maggioranze via via crescenti negli anni, sia la moratoria universale delle esecuzioni capitali sia quella contro le mutilazioni genitali femmini, lo si deve all’impegno Transnasionale del Partito Nonviolento e delle sue organizzazioni Nessuno Tocchi Caino e Non c’è Pace senza Giustizia; un partito, come qualcuno dice, “ fatto a sua immagine e somiglianza” ma che ha prodotto classe dirigente come Emma Bonino e che è stato ed è tuttora capace di smuovere le coscenze non solo nel nostro Paese. Fa battaglie che anche Papa Francesco gli raccomanda di avere coraggio e a non dismettere.

Prima del volume di Valter Vecellio Rubbettino editore

Oggi, però, è escluso sistematicamente agli tialiani di poterlo vedere, ascoltare e giudicare, e l’unico modo che ha un giovane (e un meno giovane) di conoscere questi esempi di un’altra politica, queste vicende di un politico come Giacinto Marco Pannella, resta quella di leggere il bel libro scritto da Valter Vecellio: Biofrafia di un irregolare (Rubettino edizioni, 2010, p.286). Un libro che consiglio a tutti di leggere; ma il problema è che i libri, ormai, li leggiamo in pochi. Ma la responsabilità della mancata conoscenza è tutta dei media televisivi – specie quando pubblici – che impediscono di “conoscere per deliberare” e delle loro trasmissioni d’approfondimento che approfondiscono tutto il peggio, anche della politica. Ecco, credo che se si volesse dare davvero un esempio di una politica buona, di una politica nobile, una politica “altra” da quella che la cronaca continuamente ci propone e che alimenta quel sentimento pericoloso dell’antipolitica, la nomina di un Senatore a vita come Marco Pannella da parte del Presidente Giorgio Napolitano significherebbe dare  un “glorioso esempio” di una politica povera perché priva di propri “averi”, ma tutt’altro che misera.

Insegnanti: pazzi per la #scuola, sviliti dalla #politica

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di Giuseppe Candido

A insegnare si diventa matti? Oppure, soli matti fanno gli insegnanti?

Per Vittorio Lodolo D’Oria, medico specialista che si occupa del “disagio mentale professionale” del corpo docente dal 1998, e al quale molti docenti hanno rivolto questa domanda, “sono vere entrambe le cose”.
Ma il problema, aggiunge, è che “entrambe le cose non sono note”.
Pazzi per la scuola, il burnout degli insegnanti a 360°: Prevenzione gestione in 125 casi, è il titolo completo di una delle sue “fatiche editoriali” (Alpes ed., 2010, pag.356, Isbn 9788865310021) nella quale spiega come, quella del docente sia, in realtà, una “professione usurante” tanto da poter “far impazzire anche i più sani”.
Come lo stesso autore ha spiegato ad una nutrita platea di docenti intervenuti al convegno a Lamezia Terme organizzato dalla Gilda di Catanzaro lo scorso anno scolastico, si tratta di “Una raccolta di storie, esperienze e testimonianze di professori stakanovisti, di docenti scoppiati, di insegnanti ammalati, che si aggirano nelle aule come zombie, senza che nessuno li aiuti, e al contempo protegga la giovane utenza”.
Il libro non disamina tutte e tre le diverse “popolazioni” di docenti che il titolo riesce, invece, come evidente intenzione dell’autore, ad evocare: quella degli “insegnanti eroici”, fortemente appassionati alla loro professione alla quale dedicano “anima e corpo” tanto da risultare folli agli occhi dei più; quella dei “docenti stressati, logorati, se non addirittura impazziti”, a causa di 1000 problemi non solo scolastici; e quella dei docenti che, invece, risultato “affetti da una vera e propria psicopatologia”: 2,4% psicosi e 12% con disturbi depressivi, secondo le fonti (europee, del 2008) utilizzate dall’autore.
In pratica significa che, su un milione di insegnanti italiani, mediamente, 24mila sono psicotici e 120mila depressi.
Per l’autore – che si concentra su quest’ultima – non c’è dubbio che, quella del docente sia un professione “particolarmente esposta ad usura psicofisica”, tanto da farne uno di quelle professioni che chiama “helping profession”, per le quali la vigente normativa per la sicurezza (D. Leg.vo 81/2008, art.28) prevede che siano “individuati e contrastati i rischi specifici della professione e lo stress da lavoro correlato”.
Non ci sono solo i disturbi vocali, quindi. Insegnare, anche per la scarsa considerazione sociale ed economica, può risultare usurante.
Incurante di tutto ciò oltreché del fatto che gli stipendi dei docenti italiani sono tra i più poveri d’Europa (cosa che influisce non poco sulla tranquillità e sulla psiche), il Governo del rottamatore, con la proposta di riforma della scuola, paradossalmente titolata “La buona scuola”, anziché valorizzare vuole peggiorare la dignità e il ruolo stesso degli insegnanti, bloccando loro gli scatti, un minimo di aumento salariale che oggi hanno, e condannandoli al salario d’ingresso.
Anziché riconoscere loro quanto già fanno con i loro stipendi assai inferiori a quelli dei colleghi europei; anziché stabilizzare i precari come chiede la Giustizia europea, per “la buona scuola” si pensa a racimolare il gruzzolo necessario a fare l’assunzione di 150mila precari, bloccando loro e a tutti i docenti gli scatti fino al 2018, e istituendo la banca delle ore da recuperare per non pagare più supplenze.
Siamo pazzi? Pazzi per la scuola? Macché: qui è la politica italiana che è diventata pazzesca, ubriaca dalle prebende, dalle tangenti e da malaffare, oltreché immemore del fatto che, solo investendo sulla scuola, sui saperi di base e sulla ricerca universitaria, si può davvero sperare di invertire la rotta di un paese che non cresce più.

@RitaBernardini e @MarcoPannella a #Catanzaro sabato 22 novembre per presentare ‘la peste ecologica e il caso Calabria’, il #libro di Giuseppe Candido

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Care amiche e cari amici lettori di Abolire la miseria,

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La copertina

  l’Associazione di volontariato culturale Non Mollare, ha il piacere di annunciare la prima presentazione del libro La peste ecologica e il caso Calabria di Giuseppe Candido che si terrà sabato 22 novembre 2014, alle ore 18:00 presso la Sala della Giunta Provinciale di Catanzaro (Piazza Luigi Rossi, 1 – Catanzaro).
A seguire si aprirà un dibattito sul ‘Rischio idrogeologico, sismico e ambientale’ in Calabria (e non solo) al fine di promuovere, da subito, una diversa politica per il territorio.

Alla presentazione del libro interverranno l’On. Rita BERNARDINI Segretaria di Radicali Italiani e l’On. Marco PANNELLA, presidente Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito, autori dell’introduzione al volume, l’Avv. Filippo CURTOSI, presidente dell’Associazione di volontariato culturale Non Mollare e direttore responsabile di Abolire la miseria della Calabria, il Prof. Carlo TANSI, geologo ricercatore presso il CNR-IRPI, autore della prefazione, il Dott. Francesco FRAGALE presidente dell’Ordine dei Geologi della Calabria che, lo scorso mese di agosto, ha inviato una lettera aperta al Presidente del Consiglio Matteo Renzi proprio su questi temi, e lo scrivente, autore del volume.

Il dibattito sarà condotto e moderato da Antonio GIGLIO, consigliere comunale di Catanzaro. La partecipazione è aperta a tutti.


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#RischioIdrogeologico: ‘La peste ecologica e il caso Calabria’, un libro da far leggere nelle scuole

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Perché l’educazione dei nostri bimbi comprenda la drammatica consapevolezza di cosa è successo nel nostro povero Paese

di Antonio Biamonte*

Oggi è il 14/11/2014 e da almeno 20 giorni le cronache riportano gli ennesimi disastri e terribili lutti: Maremma, Genova, Chiavari, Crema.

La peste ecologica e il caso Calabria, il nuovo libro di Giuseppe Candido, con la prefazione di Carlo Tansi, l'introduzione di Rita Bernardini e Marco Pannella e una nota di Valerio Federico

Li cito in ordine sparso dimenticando sicuramente qualche evento, oggi penosamente e sistematicamente troppo spesso “giustificato” dalle piogge eccezionali, dovute al cambiamento climatico ormai in atto.

L’unica verità è che da qualche anno sono più frequenti, ma il libro di Giuseppe è un impietoso, straordinariamente documentato, j’accuse, una spaventosa e poderosa opera di verità. È un libro drammatico nella sua intensa e copiosa rassegna di alluvioni, frane, terremoti, scempi ambientali dovuti a mala o criminale gestione di rifiuti.

Un libro da far leggere nelle scuole perché l’educazione dei nostri bimbi comprenda la drammatica consapevolezza di cosa è successo nel nostro povero Paese. Ma non è finita qui ovviamente, il territorio è devastato da decenni di scempi urbanistici e edilizi, dai quali in ben pochi possono “tirarsi fuori”.

Politici, tecnici, imprenditori, semplici cittadini, quasi nessuno è immune da colpe. Un territorio fragile, troppo fragile, per essere “trattato” così male. A nulla nei decenni sono serviti i peana dei geologi, visti sempre come dei menagrami e inguaribili pessimisti.
Al caro “vecchio” amico Giuseppe, appassionato e preparato collega, va il mio e nostro ringraziamento per questa opera di verità e impegno civile, autentico esempio di come la competenza tecnica si possa e debba coniugare con le proposte concrete, il rispetto della dignità umana e la proposta politica.
Chiudo con un bellissimo pensiero di M. Pannella che non conoscevo e che devo, anche questo, a Giuseppe:


“Dove c’è strage di legalità (e delle leggi naturali) che c’è sempre, come corollario, strage di popoli”

 

* Antonio Biamonte è geologo, dipendente presso Uff. Geol. regionale Regione Toscana

Contro la tortura democratica del 41bis, per fermare i suicidi e per il diritto alle cure in carcere

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Un sit in e una conferenza stampa davanti al carcere di Palmi

«Venerdì 8 agosto, come Radicali calabresi, dalle 9.00 alle 15.00, manifesteremo con un sit-in presso la Casa circondariale di Palmi (RC) per sostenere il satyagraha in corso di Marco Pannella e Rita Bernardini, quest’ultima in sciopero della fame dal 30 giugno scorso, assieme a oltre trecento cittadini, per chiedere al governo e al Parlamento di interrompere il massacro delle morti e dei suicidi in carcere, la “tortura democratica” del 41bis perpetrata persino con detenuti dichiarati incapaci di intendere e di volere, e di garantire il diritto alle cure e alla salute nelle carceri.
Per questo, alle 11,00 terremo una conferenza stampa per chiedere alla politica regionale di istituire il garante per i diritti delle persone private della libertà personale anche in Calabria».
È quanto si legge in una nota di Giuseppe Candido, segretario dell’associazione Non Mollare e militante del Partito Radicale Nonviolento.
I radicali chiedono, inoltre, una maggiore informazione su questi temi anche dal servizio radiotelevisivo pubblico regionale.
“Non è più tollerabile, infatti,” – continua Candido nella nota – “la censura operata su questi temi. Solo per fare un esempio, si pensi che dal 7 al 9 luglio l’Italia è stata oggetto di una visita da parte di una delegazione di rappresentanti ONU per i diritti umani guidata dal norvegese Mads Adenas che ha chiesto al nostro Paese misure straordinarie, come soluzioni alternative alla detenzione per eliminare l’eccessivo ricorso alla carcerazione, protezione dei diritti dei migranti, scarcerazione quando gli standard minimi non possono essere rispettati, rispetto delle raccomandazioni ONU del 2008 e quanto statuito nella sentenza Torregiani, adozione delle raccomandazioni come quelle formulate dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’ottobre del 2013, incluse le proposte di indulto e amnistia. Su tutto ciò la censura è stata totale. A gli italiani non è stato consentito di conoscere tali richiami. Come non è dato conoscere le continue e trentennali battaglie nonviolente che i Radicali portano avanti. In Italia – continua Candido – siamo formalmente contro la pena di morte, ma tolleriamo la morte per pena inumana e degradante. Tolleriamo, cioè, la morte per suicidi di liberazione (24 dall’inizio dell’anno) e la morte per ritardo o mancanza di cure. Dall’inizio dell’anno 82 morti. Sono numeri che dovrebbero far riflettere. Satyagraha,» prosegue ancora Candido, «in indiano significa forza e amore per la verità. Ed è con la forza della verità e con l’arma della nonviolenza che – assieme a Yvonne Raph, Emilio Quintieri, Sabatino Savaglio, parenti dei detenuti e altri militanti del partito della nonviolenza, saremo davanti al carcere di Palmi per dare corpo, anche in Calabria, a questa battaglia di civiltà».
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«Sul 41 bis, il cosiddetto “carcere duro”, vorrei solo ricordare – insiste Candido nello spiegare le ragioni dell’iniziativa – che questo fu introdotto con decreto-legge nel giugno del 1992 poi convertito in legge nell’agosto dello stesso anno, come risposta dello Stato alle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui morirono i due magistrati in prima linea nella lotta alla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Dopo la morte del primo fu emanato il decreto legge. E dopo quella di Borsellino il decreto venne poi convertito in legge. Con l’introduzione del 41bis nell’ordinamento penitenziario si consentì al Ministro della giustizia, per sua iniziativa o a richiesta del ministro dell’interno, di sospendere per “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica” l’applicazione delle regole ordinarie di trattamento nei confronti dei detenuti – per i reati di criminalità organizzata (e non solo) indicati al comma uno dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario: mafia, traffico di droga, sequestro di persona, terrorismo, omicidio, estorsione, rapina e, in teoria, altri ancora e meno gravi se chi li ha commessi si ritiene lo abbia fatto “avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”.

Nel diritto internazionale, con il termine “tortura” – reato non ancora introdotto nei codici nostrani – indica, “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa ha commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o su una terza persona”.
Noi – in Italia – abbiamo il 41bis, il carcere duro, la “tortura democratica” dalla quale si esce solo da pentiti. Ce lo impone il “conformismo dell’antimafia”.
Per Marco Pannella, invece, “le dure condizioni di detenzione rispondono solo ad una logica di rivalsa e a un primordiale senso di vindice giustizia”. Nel redigere la prefazione al volume “Tortura Democratica”, – inchiesta su “la comunità del 41 bis reale” – di Sergio D’Elia e Maurizio Turco (Marsilio ed., 2002), volume che andrebbe riletto attentamente (e magari ristampato visto che è introvabile), Marco Pannella sottolineava che – a dieci anni dall’introduzione del così detto carcere duro – “Si è risposto con Pianosa e l’Asinara alle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il dolore dei parenti delle vittime contro le vessazioni nei confronti dei detenuti. Questo è stato messo a confronto! Le inutili, meramente afflittive soverchierie dell’articolo 41 bis, provocano soltanto – scriveva Pannella – durezza di comportamenti, irriducibilità, autolegittimazione, rifiuto di ogni dialogo o, peggio, a fronte di gravi maltrattamenti, l’imbarbarimento generale, la pseudo-legittimazione di rivalse mafiose, magari nei confronti di magistrati e poliziotti che cercano di difendere, nella legalità e con la civiltà dei loro comportamenti, la legge e lo Stato. Il “proprio” dello Stato di diritto – ricordava Pannella – è rispondere con la sovranità, sia pure armata, delle regole. Non può “dichiarare guerra” alla criminalità, neppure sotto la guida di un angelo giustiziere come è stato Caselli”.
Oggi l’imbarbarimento è divenuto istituzionale al punto che, mentre l’Europa e l’ONU ci sanzionano per trattamenti inumani e degradanti equivalenti a torture, continuiamo a mantenere in regime di 41bis persino malati come Bernardo Provenzano dichiarato da tre differenti tribunali della Repubblica persona incapace di intendere e di volere. Aspettiamo che collabori con la Giustizia? Siamo sicuri che il fine giustifichi – sempre e comunque – i mezzi? O, invece, proprio i mezzi che si usano per condurre giuste lotte com’è certamente quella alle criminalità organizzate sono in grado di compromettere gli scopi che ci si prefigge?

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“La peste ecologica e il caso Calabria”. L’introduzione di Rita Bernardini e Marco Pannella, la nota di Valerio Federico e Paolo Farina

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La peste ecologica e il caso Calabria di Giuseppe Candido, prefazione di Carlo Tansi, introduzione di Rita Bernardini e Marco Pannella
Prefazione di Carlo Tansi, introduzione di Rita Bernardini e Marco Pannella

E’ andato in stampa il volume di Giuseppe Candido, con una prefazione di Carlo Tansi, la postfazione di Franco Santopolo, una nota di Valerio Federico e Paolo Farina e l’introduzione di Rita Bernardini e Marco Pannella che di seguito pubblichiamo.

Uscirà a breve, nella prossima settimana, per i tipi di Non Mollare edizioni, la casa editrice dell’associazione di volontariato culturale Non mollare che edita on line anche Abolire La Miseria della CalabriaLa Peste ecologica e il caso Calabria, l’ultimo libro di Giuseppe Candido.


 

Nell’Abstract del volume si legge che …

Dove c’è strage di leggi c’è sempre strage di popoli. Rischio sismico, idrogeologico e ambientale, mal governo del territorio, rifiuti tossici interrati, mala depurazione e un’emergenza rifiuti infinita per alimentare clientele e “fare progetti”; storie (vere) di frane, alluvioni, terremoti e disastri ambientali aventi tutti come denominatore comune il disastro politico che li ha causati!La peste ecologica e il caso Calabria, è un libro-dossier in cui si ripercorrono fatti, eventi spesso tragici sul dissesto idrogeologico, sui rischi sismici e su quelli ambientali del nostro Paese con particolare rifermento, per quest’ultimo aspetto, al caso dei veleni e dei rifiuti in Calabria. Cos’hanno in comune rischi, mal governo del territorio, dissesti e veleni? La peste ecologica è la violazione sistematica delle leggi che ha, per conseguenza, una strage di popoli.


La peste ecologica e il caso Calabria, di Giuseppe Candido. Prefazione di Carlo Tansi, introduzione di Rita Bernardini e Marco Pannella, postfazione di Franco Santopolo e una nota di Valerio Federico e Paolo Farina – Non Mollare edizioni, euro 18,00; Pagine 394 – ISBN 9788890504020 – Per prenotarne una copia è sufficiente inviare una mail all’indirizzo associazionenonmollare@gmail.com


L’Introduzione di Rita Bernardini e Marco Pannella

Con il suo bel libro Giuseppe Candido presenta al lettore una seria e documentata proposta che, affondando le sue radici nello specifico calabro, rafforza la complessiva urgenza nazionale (e non solo!) di contrastare i connotati illiberali e ormai anti-democratici dello Stato italiano –renziano– arroccato in accanita difesa proprio di ciò che è oggetto, da decenni, delle massime imputazioni e condanne delle giurisdizioni europee. Imputazioni e condanne seriali richiamate dal “Massimo Magistrato” italiano, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con il suo messaggio costituzionale alle Camere, una straordinaria testimonianza, completa di “obblighi” e di proposte indirizzate al nostro Paese e, non a caso, trattata in modo indegno dal Parlamento, suo naturale destinatario.

Gli “obblighi” che l’Italia disattende, e che derivano anche dal Diritto comunitario da anni costituzionalizzato, riguardano altresì – in grandissima parte – l’ambiente sfregiato dei nostri territori. Grazie alla visione transnazionale del Partito Radicale, questi “obblighi” verso l’ambiente non hanno confini e ci costringono a farcene carico, studiandolo per ciò che è: una “funzione” vitale del pianeta, che nessuno può permettersi di sacrificare.

Citando Aldo Loris Rossi, Marco Pannella lo ripete in modo assillante: “Il genere umano ci ha messo due milioni di anni per arrivare – nel 1830 – al primo miliardo; cento anni per arrivare al secondo, 30 per il terzo, 15 per il quarto, 13 per il quinto, 12 per il sesto, e ancora 13 anni per il settimo miliardo.

Mentre scrivo, un sito internet (http://www.worldometers.info) ci conta e censisce, a noi umani, in tempo reale. Girando vorticosamente, ci informa che in questo preciso istante siamo 7 miliardi 243 milioni 471.433 e che fino a questo momento in questa giornata sono nate 328.443 persone e ne sono morte 135.528. Molto probabilmente questo contatore, grazie a un’elaborata formula matematica, ci azzecca. Non dico all’unità, ma quasi. E allora mi chiedo se nell’implacabile calcolo offertoci in diretta ci siano già finiti i morti di cui ho avuto notizia poco fa: due detenuti suicidati; un altro, morto per malattia incompatibile con lo stato di detenzione, mentre – infine – un agente di polizia penitenziaria di 42 anni e un suo amico sono morti per overdose di eroina.

Certamente, nel contatore sono finiti i morti che ci segnala Giuseppe Candido: morti per alluvione, frane, tumori causati dai rifiuti tossici o dai veleni industriali o per micidiali concessioni edilizie rilasciate senza rispetto delle leggi. Ci sono anche i morti censiti dai libri di Maurizio Bolognetti e Massimiliano Iervolino. Via via, il contatore ingloberà anche i morti delle analoghe stragi, che fin da oggi si possono tranquillamente prevedere senza che nulla venga fatto per fermarle nonostante le denunce e le soluzioni prospettate da quella che Pannella definisce “letteratura militante”.

Se puntiamo l’implacabile strumento su questo o quello dei continenti del pianeta, osserveremo che la velocità del fenomeno varia: sarà molto più lento in Europa, più veloce nell’America del sud, velocissimo in Africa o in Asia. Ma quel che è certo è che il dilagante aumento della popolazione mondiale sta facendo crescere il consumo dei suoli, dell’acqua e di energia, per sopperire a esigenze non solo alimentari in crescita esponenziale. Fulco Pratesi ci spiattella un altro ferma-immagine impressionante: visto che siamo oltre 7 miliardi e 200 milioni, ciascuno di noi umani ha a disposizione – contando anche luoghi invivibili come deserti, ghiacciai, montagne – poco più di due ettari a testa, corrispondenti a quattro campi di pallone. Se però prendiamo in considerazione le sole terre arabili, ogni umano ha a disposizione meno della metà (il 40%) di un solo campo di pallone. Ma i Paesi ricchi, in primis la Cina, si stanno muovendo da anni per acquistare e occupare terreni nel sud del mondo, in particolare in Africa: dovendo prevedere necessità energetiche e alimentari che, con il consumo e distruzione dell’ambiente in casa loro, rischiano di non poter più affrontare e governare, si recano altrove per continuare a consumare (e distruggere) suolo e risorse.

Da una parte quel contatore corre veloce, ammonendoci che la crescita vertiginosa della popolazione mondiale è insostenibile; dall’altra ci segnala anche morti – troppo spesso vere e proprie stragi – che potrebbero essere evitate se solo si rispettasse la legalità democratica, dove c’è. Dove non c’è, dovrebbe essere urgenza impellente di tutti i paesi democratici, di ciascun democratico, promuoverla e instaurarla.

Quel che il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito sta cercando di promuovere da più di vent’anni (con solide radici nel passato) è che nessun fenomeno del nostro tempo può essere più governato con una visione localistica e dunque occorrono istituzioni transnazionali democratiche per affrontare il futuro. Futuro che è destinato a divenire un incubo se si considera quanto straordinariamente spiegato nel documento politico, coordinato dal Prof. Aldo Loris Rossi, che il Partito Radicale ha presentato all’ONU in occasione del World Urban Forum 6 svoltosi a Napoli dall’1 al 7 settembre 2012: “dal dopoguerra – così esordisce e successivamente documenta – la terza rivoluzione industriale fondata sull’energia atomica, l’automazione, l’informatica, ha ristrutturato l’intero ciclo produttivo in senso post-fordista e spinto impetuosamente verso la globalizzazione, l’economia consumista e le megalopoli,provocando la più grande espansione demografica e urbana della storia”.

Anche se l’idea dello sfruttamento illimitato delle risorse è il modello di sviluppo oggi considerato normale, occorre tentare di sventare il conseguente ecocidio planetario, come si deve fare con una persona che si sta per suicidare. Impossibile? «Non è perché le cose sono difficili che noi non osiamo, è perché non osiamo che sono difficili»: questo ci dice Aldo Loris Rossi, citando Seneca. E la sostanza di questa verità ci dice – con tutta la sua vita di dialogo nonviolento -Marco Pannella.

Di fronte alla bomba demografica, che va governata così come va governato il consumo dissennato di terra, acqua, aria, occorre concepire con amore il nuovo possibile. Per questo il Partito Radicale – con i suoi connotati di nonviolenza, transnazionalità e transpartiticità – cerca il dialogo: anche e soprattutto con i “lontani”, come i cinesi tra gli altri. Perché sa come sia un’illusione il chiudersi nelle proprie mura nazionali e pensare di risolvere i problemi nell’egoismo isolazionista. I nazionalismi sono un cancro che uccide, ed è necessario contrapporgli la concezione di istituzioni federaliste, autonome e democratiche, che abbiano come regola etica il rispetto dei Diritti Umani fondamentali consacrati nella Dichiarazione Universale dell’ONU.

Dal transazionale si passerà poi, con una logica conseguente, al locale, ai “casi” Campania, Basilicata, Roma, fatti emergere dalla letteratura e dall’evidenza di compagni radicali che da sempre, in tutti i campi, producono letteratura ed evidenza del dissesto, innanzitutto democratico, che sta avvenendo nei loro paesi, nel nostro Paese.

Il libro di Giuseppe Candido è un altro bel tentativo, che partendo dalla realtà calabrese fornisce elementi di verità e di conoscenza per cambiare rotta in Italia, e non solo.

Rita Bernardini è Segretaria Nazionale di Radicali Italiani, Deputata radicale XVI legislatura (2008-2013), Membro Assemblea dei legislatori del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito


 

La “pillola” di un “ambientalista”

di Paolo Farina e Valerio Federico1

Questo poderoso volume, frutto dell’ammirevole lavoro di Giuseppe Candido, ci lascia spiazzati davanti alla conclamata e quasi scientifica devastazione di un territorio nonché alle cause e ragioni (o S-ragioni) che hanno portato a questa distruzione di un patrimonio naturale, umano e civile.

Quanto accaduto, capace di segnare indelebilmente i territori coinvolti e l’Italia in generale, non può non essere che l’esito dell’azione e della non azione delle maggioranze e delle opposizioni che hanno governato questa parte del Paese. Il prodotto della contemporanea inadempienza dei governanti e dei cosiddetti oppositori. Inadempienti rispetto al patto sociale che le forze politiche stipulano “naturalmente” con i cittadini.

Si tratta davvero, e bene ha fatto Candido a stigmatizzarlo già nel titolo del libro, di una “peste”, che distribuisce i suoi sintomi, i suoi effetti, in modo ramificato e distrugge oltre all’ambiente naturale anche i più diversi aspetti che regolano il diritto alla libertà, alla giustizia e alla conoscenza di una o più comunità umane. Il lavoro serio e scrupoloso, oltreché documentato, di Candido ha il pregio di fornire un contributo tanto scientifico quanto divulgativo. Scritto da un Geologo, ovvero da uno scienziato, e non semplicemente da un pur bravo giornalista d’inchiesta.

Un Geologo, appunto. Nella migliore delle semplificazioni oggi i geologi vengono definiti genericamente “ambientalisti” nel senso più negletto del termine. Spesso, attraverso uno scientifico lavoro di disinformazione e mistificazione, essi vengono privati del loro contributo dal carattere scientifico attribuendogli una fastidiosa etichetta di “ambientalisti” mossi da una sorta di frenesia ideologica. Ascoltando o leggendo i frutti dei loro lavori, si arriva a considerarli come figure di esaltati millenaristi che ci terrorizzano con i loro allarmistici scenari apocalittici di piaghe terribili ed irrimediabili distruzioni.

Questo è il primo effetto della “peste”, che inizia offuscando le coscienze e arriva ai risultati distruttivi quanto imbarazzanti ben descritti nel libro di Candido. Imbarazzanti perché? Non vi è nulla di più evidente e sperimentabile degli eventi naturali quali sono il dissesto idrogeologico di un territorio, inondazioni, terremoti, inquinamento e, non da ultimo, malattie concrete e gravissime che colpiscono la popolazione.

Eppure pervicacemente si prosegue in quest’opera di distruzione, frutto del malaffare, della distribuzione e gestione del potere fine a se stesso, a fini di lucro e in cui sono da sempre coinvolte le maggioranze politiche che amministrano regioni e territori ma anche le stesse minoranze che partecipano al banchetto. Un sistema clientelare partitocratico che non distingue maggioranze e opposizioni e che nutrono la metastasi di questa “peste” a loro esclusivo vantaggio.

La convergenza di interessi di un sistema dove gli insider, nel gioco delle parti di un impotente e apparente confronto, operano da un palcoscenico dove le repliche dello spettacolo si ripetono giorno dopo giorno lasciando inermi gli spettatori, indifferenti i cittadini. Quasi che i rischi di cui scrive Candido non li riguardino. Gli outsider, pochi, si oppongono e propongono, ma lo spazio di tribuna a loro non viene dato, e il palcoscenico, quel palcoscenico non è per loro. Vi sono, appunto, i Geologi come Candido che non si rassegnano allo status quo e si impegnano in lavori preziosi quale il suo libro ne è un esempio.

Dunque, se il conclamato ed evidente prodotto finale di questa “peste” è la devastazione di regioni e territori, nonché gli effetti sull’ambiente, sulla salute dei cittadini, sulla strage di legalità e il depauperamento di quel “contratto sociale” tra politica e cittadinanza, di contratto “naturale” tra politica-legalità-cittadinanza, allora i primi sintomi di questa “peste” si avvertono e si verificano anche per il diritto negato alla conoscenza.

Il “diritto alla conoscenza” è un’estensione delle facoltà di scelta, di controllo e di partecipazione del cittadino nell’amministrazione dello Stato e delle sue articolazioni regionali e locali, è un elemento di democratizzazione della società. Quanti atti pubblici avrebbero dovuto o hanno lasciato traccia di quanto stava avvenendo di quanto esposto da Candido?

E’ urgente attuare in pieno riforme che si ispirino al Freedom of Information Act (FOIA) statunitense per il quale il cittadino può accedere a tutti i documenti della Pubblica Amministrazione senza che debba dimostrare un interesse diretto. La trasparenza e la conseguente possibilità di controllo per il cittadino dell’attività delle pubbliche amministrazioni è il mezzo utile, tra un’elezione e l’altra, per esercitare effettivamente quella sovranità popolare dal basso promossa dalla Costituzione.

La “peste”, dunque, avanza, devasta e distrugge. Eppure potremmo disporre della cura che porterebbe alla guarigione, allo stato di diritto, al ripristino della legalità.

Il libro di Candido ne è, per esempio, una pillola. Utile, preziosa e salutare.

1 Valerio Federico è consigliere di Zona del comune di Milano, tesoriere di Radicali Italiani

 

La banalità del male e la tortura di oggi di cui c’è rischio di assuefarsi

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Riflessioni #Radicali di Liberazione con un po’ di Satyagraha 

a cura di Giuseppe Candido  /

Dovremmo riflettere su quanto il male possa a volte diventare banale. L’Europa ci condanna per le condizioni inumane e degradanti delle carceri sovraffollate che costituiscono, nelle forme e strutturali e sistemiche, violazione dell’articolo 3 (rubricato sotto la voce Tortura) della Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Ma ci stiamo abituando, ci si è assuefatti al fatto che i diritti umani, persino quelli fondamentali come la salute e la vita, nelle nostre carceri possano essere “sospesi”.

Secondo Hannah Arendt, (Le origini del totalitarismo, 1951, 2004 Einaudi) per i partiti totalitari il campo di concentramento” è un laboratorio per l’annientamento della personalità, prima ancora che per lo sterminio.

L’Europa di oggi, quell’Europa che a parole diciamo più forte, ci dice però che le torture per il sovraffollamento nelle carceri avvengono in modo strutturale. E anche la negazione del diritto alla salute per il quale il 22 aprile l’Italia è stata sanzionata, costituisce di per sé trattamento inumano e degradante che equivale a tortura. Tortura che poi porta, in moti casi, al suicidio di liberazione.

Nel 1961 Hannah Arendt segue per il settimanale New Yorker il processo del criminale nazista Eichmann1 accusato di aver coordinato la deportazione degli ebrei, rintracciato in Argentina da agenti israeliani e condannato a morte nel 31 maggio del 1962.

Nel libro La banalità del male2 pubblicato la prima volta nel 1963, l’autrice riporta un dettagliato resoconto del processo e una serie di considerazioni proprio sulle motivazioni che resero possibile il trasformarsi di un uomo banale, mediocre, in un demone capace di atrocità mostruose.

La Arendt afferma che il semplice pensare, riflettere sulle cose, la capacità di giudizio sulle implicazioni morali può evitare le azioni malvagie di chi invece si limita ad “obbedire ciecamente agli ordini”.

Per l’autrice era già allora evidente il paradosso della “Ragion di Stato” contro i diritti umani. Il riflettere sulle cose, la conoscenza e la capacità di giudizio, invece, potrebbero anche oggi riportarci sulla via dello Stato di Diritto.

Ma andiamo con ordine. La banalità del male sta nel fatto che i burocrati del Reich erano in realtà tutte persone “terribilmente normali” che erano però capaci di mostruose atrocità per il semplice fatto che non si fermavano a riflettere sugli ordini a loro dati e che il loro pensiero restava limitato alla leggi di Hitler che venivano rispettate incondizionatamente. In particolare, questo tipo di criminali commette i suoi crimini in circostanza che quasi impediscono di accorgersi che agisce male. Come nei processi a Norimberga, anche per Eichmann si sollevò il problema che non avesse violato alcuna legge già in vigore ma soltanto obbedito agli ordini. Allora, anche oggi dovremmo chiederci se il mancato rispetto dei diritti umani possa ancora essere tollerato da un Paese che si ritiene civile.

L’unica ipotetica sentenza che per la Arendt avrebbe avuto senso sarebbe stata basata perché Eichmann si era reso responsabile, commettendo crimini contro gli ebrei, di attentare all’umanità stessa, cioè alla sua base, il diritto di chiunque a esistere ed essere diverso dall’altro.

Uccidendo più razze si negava la possibilità di esistere all’umanità, che è tale solo perché miscuglio di diversità.

(…) Eichmann, tutto era fuorché anormale: era questa la sua dote più spaventosa.

Alla fine la Arendt si domanda se il male deve necessariamente essere annidato in qualcosa di più profondo. O se sia sufficiente assuefarsi alla “Ragion di Stato” di un regime contro lo Stato di Diritto.

Ecco perché Pannella, in sciopero della fame e della sete per aiutare Papa Francesco, il Santo Padre a fare ciò che fece l’ormai Santo Givanni Paolo II chiedendo al Parlamento nel 2002 provvedimenti di clemenza, vuole che l’Italia venga incriminata e processata da un tribunale penale internazionale per i suoi crimini contro l’umanità.

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NOTE al testo

1 Secondo la voce La Banalità del male, WiKipedia: Il processo ad Eichmann suscitò varie polemiche: in primo luogo perché Eichmann non venne mai legalmente arrestato, ma rapito dai servizi segreti israeliani in territorio argentino, dove godeva dell’asilo politico. Dall’Argentina Eichmann fu rapito e fatto passare clandestinamente in Israele, contro la volontà dell’Argentina. In secondo luogo perché Eichmann, nonostante fosse accusato di crimini contro l’umanità, venne giudicato dallo Stato di Israele, il quale non poteva costituirsi parte civile, giacché non ancora esistente all’epoca dei fatti contestati ad Eichmann. Inoltre, (ma non in ultimo) dato che i crimini contro l’umanità commessi da Eichmann venivano considerati crimini contro gli ebrei, dal momento che veniva giudicato in Israele, risultava contrario a qualunque diritto penale che le vittime (gli israeliani) giudicassero il carnefice, e non fosse un giudice imparziale a farlo.

2 Il titolo originale dell’opera è “Eichmann in Jerusalem – A Report on the Banality of Evil. Pubblicato nel 1963, il volume riprende i resoconti che Hana Arendt pubblicò come corrispondente del settimanale New Yorker per il processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista catturato nel 1960, processato a Gerisalemme nel 1961, condannato a morte il 15 dicembre 19661. L’esecuzione di Adolf Eichmann avvenne il 31 maggio del 1962 per impiccagione (pp.257–258). Fonte: it.WiKipedia.org/wiki/La_banalità_del_male

Nell’Antropocene calabrese aspettare oltre sarebbe suicida

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Secondo Jürgen Renn1, direttore dell’Istituto Marx Plank per la Storia della Scienza di Berlino, viviamo oggi in una era nuova. L’Antropocene, la chiama: una era “geologica” nella quale “più del 75% della superficie terreste non ricoperta da ghiaccio è stata trasformata dall’uomo”. Per lo scienziato questa che stiamo vivendo è “l’era in cui la natura incontaminata non esiste più”.

di Giuseppe Candido

 Un’era in cui l’impronta ecologica della specie umana si sta facendo devastante.

Nell’ampia prolusione2 tenuta, il 3 marzo 2014 all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Bergamo, l’illustre cattedratico ha posto alcuni seri interrogativi ai “responsabili del pianeta”.

Abbiamo creato cambiamenti irreversibili, consumando le risorse naturali, liberando materiale radioattivo, alterando sia la biosfera sia l’atmosfera. Questo significa che il futuro del nostro pianeta sarà in larga parte forgiato dall’azione umana. Come possiamo essere – chiede Renn – all’altezza delle responsabilità che ci siamo presi? Che tipo di conoscenza serve? Come possiamo essere certi che la conoscenza guiderà la nostra risposta alle grandi sfide che ci attendono?”.

E aggiunge: “Chi può garantire che la scienza fornirà le risposte ai problemi creati da questi interessi politici ed economici? E anche se otteniamo le risposte, quali strutture saranno richieste per implementarle?”.

Come lo stesso Renn sa bene, questi sono “interrogativi enormi di cui nessuno conosce le soluzioni”.

Renn non è però il solo a parlare di “Antropocene” e di modello di sviluppo, come oggi lo conosciamo, non più sostenibile.

Nel settembre del 2012, durante il 6° World Urban Forum3 tenutosi a Napoli, il Partito Radicale Nonviolento Transazionale e Transpartito, quale ONG con Status Consultivo Generale di prima categoria presso l’ECOSOC delle Nazioni Unita, ha presentato una specifica relazione4 ad opera e coordinamento del Prof. Aldo Loris Rossi, docente di Urbanistica presso l’Università Federico II di Napoli e attivista storico del Partito Radicale.

Per Aldo Loris Rossi, quello che non si riesce a capire è che “il depauperamento delle risorse naturali, legato alla crescita senza sosta, rischia o minaccia la sopravvivenza del pianeta”.

La relazione presentata alle Nazioni Unite è in continuità con le tesi proposte oltre mezzo secolo fa e tutt’ora attuali, non solo per noi italiani, in particolare da Aurelio Peccei, dal Club di Roma, da Bruno Zevi e da Paul Erlic, Barry Commoner, Dennis Meadows; nonché con le lotte e proposte radicali di Marco Pannella sull’ambiente e sulla “questione napoletana”, dalla riorganizzazone territoriale con l’area metropolitana della “Grande Napoli” e per imporre la presa di coscienza del problema Vesuvio e della sismicità dell’intera area.

In questo senso il lavoro del Prof. Aldo Loris Rossi depositato presso le Nazioni Unite per conto del Partito Radicale, rappresenta un vero e proprio “manifesto” ecologista mondiale e un approfondimento prezioso già dall’incipit nel quale si notava come, al 2012, il ritmo di crescita della popolazione umana è aumentato vertiginosamente.

Se la popolazione mondiale ha impiegato 2 milioni di anni per giungere al primo miliardo di abitanti nel 1830 e 100 anni per il secondo, dal 1930 ne sono occorsi solo 30 per il terzo miliardo, 15 per il quarto, 13 per il quinto, 12 per il sesto, 13 per il settimo nel 2011. Intanto le metropoli in espansione tendono a formare sistemi sinergici con quelle prossime configurando megalopoli definite tali se superiori a 30 milioni di abitanti.(…)

(…) La sinergia delle due esplosioni, demografica e metropolitana, ha causato tra il 1950 e il 2000 il raddoppio della popolazione urbana (dal 25,4 % al 50,0 %) che ha superato quella rurale nel 2008. (…)

(…) Ma se la città tradizionale pre-industriale, cresciuta in simbiosi con la natura, non ha avuto alcun impatto sul pianeta, dalla rivoluzione industriale in poi l’habitat dell’uomo è mutato progressivamente e con legge esponenziale al punto da indurre il premio Nobel per la chimica 1955 Paul J. Crutzen a denominare tale era: Antropocene5, che oggi minaccia la sopravvivenza del pianeta. (…)

(…) Dunque, nel XX secolo si assiste alla più grande espansione demografica, urbana e economica della storia che ha rotto definitivamente l’equilibrio millenario Città-Natura6.

Dopo una premessa in cui si analizzano le cause storiche, nella relazione del prof. Rossi, si individua chiaramente come, tale insostenibilità “si manifesta attraverso patologie sempre più allarmanti”; patologie che – come si legge testualmente – “non possono essere più rimosse, minimizzate o ignorate dalle istituzioni7”.

Le patologie identificate come segno manifesto di un’impronta ecologica non più trascurabile sono riassumibili nei seguenti fenomeni:

  1. L’esplosione della bomba demografica;

  2. L’espansione permanente delle mega-cities e delle galassie megalopolitane;

  3. L’onnipotente sviluppo post-industriale, la globalizzazione mercatista e il controllo planetario delle risorse;

  4. La mutazione genetica post-fordista della produzione, della società, della metropoli;

  5. La globalizzazione di infrastrutture, mercati e sistemi urbani in un’unica weltstadt “infinita e senza forma”;

  6. L’ “Impronta ecologica” della città planetaria oltre i limiti della Natura;

  7. La distruzione progressiva del patrimonio storico e delle comunità tardo-antiche.

  8. Il consumismo come acceleratore esponenziale della produzione: la sua metamorfosi da vizio a virtù.

  9. L’apogeo e il tramonto dell’era dei combustibili fossili: il conflitto per il dominio mondiale delle energie.

  10. La crescita vertiginosa di rifiuti, inquinamento e effetto serra: l’ecocidio planetario;

  11. L’autoreferenzialità dell’architettura nella società consumistico spettacolare8.

Due punti di quel documento, il sesto e il decimo, riguardano direttamente quella peste ecologica di cui il caso Calabria rappresenta la punta di iceberg di un più ampio problema italiano, europeo e, più in generale, globale.

Nel documento presentato dal Partito Radicale si denuncia alle Nazioni Unite come, dette “patologie” sono ormai “giunte a un livello di pericolosità tale da minacciare, (…) la sopravvivenza del pianeta!”.

La sinergia tra tecnocrazia, economicismo e mercatismo ha continuato a ignorare l’ecocidio planetario in atto svelato e denunciato, dagli anni Settanta in poi, dalla nuova visione sistemica del mondo.

Essa ha evidenziato che il pianeta, in quanto ecosistema “vivente” in equilibrio autoregolato, non può più essere governato da tali principi e dalla politica del laisser-faire laisser-passer sempre più indifferenti alla gravità della crisi ambientale, energetica e metropolitana, pervenuta a un punto di rottura9.

Nel documento si parla esplicitamente della necessità di una “Nuova alleanza” con la natura. Necessaria, scrive Aldo Loris Rossi, “Se si vuole liberare la modernità dai « suoi disastrosi inconvenienti », ormai insostenibili, occorre con urgenza una strategia alternativa capace di perseguire” a livello globale, il “disinnesco della bomba demografica”, “la rifondazione del modello di sviluppo come sintesi di economia e ecologia”, “la città dell’era solare (Eliopolis) e delle energie rinnovabili: la riconversione dell’habitat planetario” e “la nuova civiltà entropica del riciclaggio, del controllo dell’inquinamento e dell’effetto serra10”.

Come giustamente nota Enrico Salvatori nell’intervistare il prof. Aldo Loris Rossi, si tratta di “un documento politico in undici punti nel quale si tenta di spiegare che il vecchio modello dello sviluppo illimitato industriale, che ha sempre considerato la natura come una riserva da sfruttare a volontà, ha già creato problemi ingovernabili”.

Un manifesto ecologista di stampo transnazionale che indica, però, soluzioni anche per quella peste ecologica che evidenziamo anche in Calabria, emblema del caso Italia. Cosa centra il disinnesco della “bomba demografica”, per la Calabria? È problema che non riguarda questa regione?

In merito alla sfida demografica basti rilevare che nella seconda metà del XX secolo l’incremento della popolazione tra le rive nord e sud del Mediterraneo è avvenuto ad un ritmo molto differenziato: nel 1950 quella nord registrava 150 milioni di abitanti, mentre la riva sud aveva meno de1la metà degli abitanti (73 milioni); nel 1970, rispettivamente 178 ml e 122 ml; ma nel 1990, i valori si invertono, 1999 ml contro 200; nel 1997, 202 ml della riva nord contro 233 ml di quella sud. Dunque gli squilibri tra le diverse rive del Mediterraneo sono preoccupanti ed esigono politiche concertate per affrontare la “sfida demografica”.
In particolare, il versante sud dell’Europa è formato da otto metropoli che superano il milione di abitanti: Valenza (1,5), Barcellona (2), Marsiglia (1,4), Genova (0,9-1), Roma (3), Napoli (3), Atene (3,2) e Istanbul (9). Mentre, sulla sponda opposta africana e su quella medio orientale, ritroviamo altre otto metropoli: Algeri (3,7), Tunisi (1,8), Tripoli (2), Alessandria (4), il Cairo (11), Beirut (1,9), Smirne (2), Damasco (2), in via di sviluppo. (…)11

Per la “megalopoli mediterranea”, secondo il documento del Partito Radicale, “emerge in tutta la sua importanza il ruolo dei Corridoi trans-europei da connettere alle «autostrade del mare» al fine di realizzare quel grande sistema intermodale capace di integrare la «megalopoli europea» e la «megalopoli mediterranea» in una nuova prospettiva unitaria”.

(…) Ma se l’Italia svolgerà sempre più una funzione di cerniera tra la megalopoli europea e la megalopoli mediterranea, quale sarà il ruolo del Mezzogiorno in tale contesto?
In realtà – si legge nella relazione del Prof. Loris Rossi – questo ruolo emergerà naturalmente nella misura in cui si realizzerà la suddetta “zona di libero scambio” euro-mediterranea.
L’Italia come cerniera tra la megalopoli europea e la megalopoli mediterranea. Il Mezzogiorno come piattaforma logistica intermodale proiettata nella “zona di libero scambio”. (…)

(…) Dunque emerge il ruolo centrale del Mezzogiorno articolato in tre piattaforme logistiche: la Tirrenica-sud, formata dalla piattaforma ferroviaria di Marcianise, dal nodo di Nola e dai porti di Napoli, Salerno e Gioia Tauro; l’Adriatica-sud, costituita dal nodo di Pescara, dal nodo ferrovia-rio e portuale di Bari e Brindisi-Taranto; la Mediterraneo-sud, con i porti di Palermo, Catania e Cagliari (hub).12

In pratica, è l’intero pianeta che rischia di morire a causa della peste ecologica. Il rapporto “State of the World 2013”13 del Worldwatch Institute, si domanda se sia ancora possibile la sostenibilità. Nell’edizione italiana curata da Gianfranco Bologna da oltre vent’anni, si afferma come ciò sia possibile solo con “una nuova cultura e una nuova economia”.

Nel rapporto sullo stato del nostro pianeta, prestigiosi ricercatori assieme ad alcuni tra i maggiori esperti internazionali di economia ecologica, scienze del sistema Terra, scienza della sostenibilità, scienze sociali e protagonisti della società civile, annualmente “si interrogano su un tema cruciale per l’intera civiltà umana e cioè se, allo stato attuale della situazione, sia ancora possibile per l’umanità imboccare una rotta di sostenibilità dei propri modelli di sviluppo sociale ed economico14”.

È lo stesso Gianfranco Bologna a notare come Kate Raworth, una delle prestigiose autrici del World State 2013, ricercatrice “seniordi Oxfam e docente presso l’Environmental Change Institute della Oxford University, scrive che:

Ogni pilota conosce l’importanza della bussola per il volo, senza di essa correrebbe il rischio di andare fuori rotta. Per questo le moderne cabine di pilotaggio sono dotate di una vasta gamma di strumenti e quadranti, dalla bussola all’indicatore del carburante, dall’altimetro al tachimetro. È un vero peccato quindi che i decisori economici non si siano avvalsi di tali strumenti per pianificare il corso dell’intera economia. Negli ultimi decenni, si è dimostrato un eccessivo interesse per il prodotto interno lordo (PIL) come indicatore dell’andamento economico nazionale; ciò equivale a pilotare un aereo servendo- si del solo altimetro che mostra le variazioni di altitudine senza però fornire dati sulla direzione o sulla quantità di carburante disponibile. Un tale interesse per la produzione economica monetizzata non riesce a riflettere il crescente degrado delle risorse naturali, il lavoro inestimabile ma non retribuito di assistenti e volontari e le sperequazioni del reddito che conducono molti individui in tutte le società alla povertà e all’esclusione sociale. Il dominio del PIL ha abbondantemente superato la sua legittimità: è necessario impiegare una strumentazione più adeguata che ci permetta di navigare nel 21° secolo in direzione dell’equità e della sostenibilità. Fortunatamente si stanno mettendo a punto indicatori più adeguati15”.

Sull’ambiente, siamo governati da piloti che, pur avendo gli strumenti, non ne tengono conto.

Ciò è vero sul piano globale, ma anche per il livello locale quando si parla di governo dei territori nelle regioni del nostro Paese. E il caso Calabria ne è un tragico esempio. Molto spesso le comunità locali credono che consumare suolo dissennatamente per costruire case, sia un modo di promuovere lo sviluppo e l’economia. Il problema dei rifiuti viene sottovalutato, non si tiene adeguatamente conto e non si informano adeguatamente le popolazioni dei rischi geologico-ambientali.

Nel citato rapporto sullo Stato del pianeta 2013, è delineato chiaramente il quadro che abbiamo, oggi, davanti a noi su scala globale:

1) Tutti gli avvertimenti, documentati e motivati, che si sono succeduti in questi ultimi decenni sulla gravità della situazione ambientale in cui versa la nostra biosfera, sebbene siano stati oggetto di ampi dibattiti, polemiche e iniziative politiche di vario tipo, nel complesso non si sono tradotti in urgenti misure per cambiare decisamente rotta ai nostri modelli di sviluppo socioeconomico;

2) La conoscenza della comunità scientifica internazionale sul Global Environmental Change (GEC) è progredita in maniera impressionante in questi ultimi decenni e ci ha condotto alla comprensione che stiamo vivendo in pratica un nuovo periodo geo- logico (un vero battito di ciglia nella storia del nostro pianeta che data 4,6 miliardi di anni) non a caso, definito Antropocene, a dimostrazione delle prove ingenti sin qui raccolte che dimostrano quanto gli effetti dell’intervento umano sulla natura siano or- mai paragonabili agli effetti delle grandi forze geologiche che hanno modificato il pia- neta nella sua intera storia e che la nostra pressione sui sistemi naturali ci sta sempre più urgentemente conducendo verso alcuni punti critici, oltrepassati i quali per la no- stra civiltà sarà veramente difficile o impossibile reagire adeguatamente;

3) L’inazione politica, l’utilizzo costante dell’attesa, della deroga, del rimando, la lentezza dei processi democratici nel prendere decisioni importanti per l’intera civiltà umana sono sotto gli occhi di tutti e certamente non aiutano a risolvere i problemi che, con il passare del tempo, non fanno altro che aggravarsi16.

A giugno del 2013, la Population Division delle Nazioni Unite ha pubblicato i dati sulla popolazione mondiale aggiornando i dati al 2012.

Gianfranco Bologna nel curare la sua pubblicazione annuale del rapporto sullo stato di salute del pianeta,

La popolazione attuale è di 7,2 miliardi e si prevede incrementerà di un miliardo entro i prossimi 12 anni, raggiungendo gli 8,1 miliardi nel 2025 e i 9,6 miliardi nel 2050. Nel World Population Prospects precedente, quello del 2010, la popolazione prevista al 2050 per la variante media (le Nazioni Unite analizzano, in ogni rapporto, le varianti bassa, media e alta nonché la variante costante, ma la più credibile rispetto a quanto poi si verifica nella realtà è quella media) era di 9,3 miliardi.

Nel nuovo Prospects l’indicazione per il 2050 è di 9,6 miliardi, con la previsione di un incremento di 300 milioni rispetto alla previsione precedente, dovuta alla revisione dell’andamento del livello dei tassi di fertilità totale (il numero di figli/figlie che ha una donna nell’arco della propria esistenza riproduttiva) di diversi paesi in via di sviluppo. Sempre secondo la variante media la popolazione mondiale, al 2100, passerebbe quindi dalla precedente previsione (2010) di 10,1 miliardi a quella dell’attuale rapporto di 10,9 miliardi (quindi quasi 11 miliardi).

La maggior parte della crescita della popolazione avrà luogo nelle regioni in via di sviluppo che si prevede incrementeranno la popolazione dai 5,9 miliardi nel 2013 agli 8,2 del 2050. La crescita sarà abbastanza rapida in 49 paesi in via di sviluppo che vedranno la loro popolazione passare da circa 900 milioni del 2013 a 1,8 miliardi nel 2050 (tra questi paesi vi sono, per esempio, la Nigeria, il Niger, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, l’Uganda, l’Afghanistan). Nello stesso periodo la popolazione delle regioni sviluppate rimarrà abbastanza stabile, intorno a 1,3 miliardi. Una significativa crescita della popolazione globale, nel periodo che va da ora al 2050, avrà luogo in Africa, dove la popolazione incrementerà da 1,1 miliardi attuali ai 2,4 miliardi nel 2050, raggiungendo potenzialmente, addirittura, i 4,2 miliardi nel 2100, alla fine del secolo.

L’impatto della specie umana sui sistemi naturali è stato riassunto in una famosa equazione pubblicata nel 1971, dai grandi studiosi Paul Ehrlich, il notissimo ecologo del- la Stanford University e John Holdren, esperto energetico, allora alla California University di Berkeley e poi divenuto, con l’amministrazione Obama, capo scientifico della Casa Bianca. Secondo l’equazione di Ehrlich e Holdren, l’impatto (I) dell’attività uma- na è il prodotto di tre fattori: la dimensione della popolazione (P), il suo tenore di vita (A, dall’inglese affluence) espresso in termini di reddito pro capite, e la tecnologia (T), che indica quanto impatto produce ogni dollaro che spendiamo. L’equazione di Ehrlich e Holdren ci dice con chiarezza che è impossibile ridurre l’impatto umano sui sistemi naturali intervenendo semplicemente su uno solo dei tre fatto- ri che la compongono. È necessario, infatti, intervenire su tutti e tre17.

Quello della crescita demografica, è problema che il Partito Radicale come ONG propone ormai da anni con l’associazione “Rientro dolce”.

Un problema che sta determinando l’avanzare della peste ecologica.

Minxin Pei, esperto di governo della Repubblica popolare cinese di rapporti Usa-Asia e di processi di democratizzazione nei paesi in via di sviluppo, attualmente direttore del centro di studi strategici presso il Claremont McKenna College in California, nell’articolo ripreso lo scorso 21 novembre 2013 dal settimanale L’Espresso per traduzione di Anna Bissanti, parala esplicitamente di una Cina sovrappopolata, devastata dal punto di vista ecologico e di dati sull’inquinamento, non tanto dell’aria difficile da nascondere, ma dell’acqua e del suolo, tenuti segreti da Pechino.

Penuria d’acqua, inquinamento idrico del fiume Yangtze, risorsa vitale per mezzo miliardo di persone e l’inquinamento del suolo da pesticidi agricoli e metalli pesanti, per un’estensione del 10% del suolo coltivato, sono difficili da nascondere.

Già ora, nota lo l’esperto, “i raccolti coltivati su questi terreni devono essere controllati accuratamente”, concludendo che, “di questo passo, la Cina dovrà affrontare presto una grave crisi della sicurezza alimentare. Una crisi alimentare nella nazione più grande e popolosa del mondo, la seconda economia più importante al mondo, che avrà ripercussioni spaventose a livello globale”.

Una bomba ecologica: la peste ecologica è problema globale, ma che però deve essere affrontato a partire dalle realtà locali, non in modo indipendente da una visione olistica d’insieme che faccia da linea guida, da bussola a chi le decisioni le deve prendere.

Parliamo di “sviluppo sostenibile”, ma spesso si fa mota confusione.

Per Gianfranco Bologna, “volendo semplificare il concetto in una semplice definizione, possiamo affermare che la sostenibilità significa imparare a vivere in una prosperità equa e condivisa con tutti gli altri esseri umani, entro i limiti fisici e biologici dell’unico pianeta che abitiamo: la Terra18”.

Per Gianfranco Bologna, curatore dell’edizione italiana del rapporto State of the World da oltre vent’anni,“La continua inazione ha aggravato la situazione19”. “Il 1972” – ricorda Gianfranco Bologna – “costituì un anno particolare per la crescente consapevolezza delle problematiche ambientali nelle società di tutto il mondo20”.

In quell’anno le Nazioni Unite organizzarono la prima grande conferenza internazionale per far confrontare i governi di tutti i paesi sull’analisi di un quadro sempre più preoccupante, relativo allo stato di salute dei sistemi naturali, e sulle proposte da concordare e attuare per migliorare la situazione. Era il giugno del 1972 e a Stoccolma si tenne la prima Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano. Si riunirono i rappresentanti dei governi di oltre cento paesi con studiosi, esperti e rappresentanti di oltre 400 organizzazioni governative e non governative, mettendo a confronto i problemi dei paesi del Nord del mondo, ricchi e industrializzati, con quelli del Sud, poveri e desiderosi di ottenere maggiore crescita economica. La Conferenza trattò i temi delle risorse ambientali e della loro gestione, del nostro impatto sulla natura e degli inquinamenti da noi provocati, sollecitando giuste mediazioni tra le esigenze della tutela ambientale e dello sviluppo economico e sociale. Da allora si è aperto un vero e proprio periodo di “ecodiplomazia internazionale” mirato a trovare soluzioni a tali problemi e ad avviare percorsi di sostenibilità dei nostri processi di sviluppo socioeconomico, mentre sono state realizzate altre tre grandi Conferenze del- le Nazioni Unite sui problemi dell’ambiente e della sostenibilità del nostro sviluppo: a Rio de Janeiro nel giugno 1992 (l’Earth Summit, il Summit della Terra e cioè la Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo), a Johannesburg nell’agosto 2002 (il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile) e di nuovo a Rio de Janeiro nel giugno 2012 (la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile21).

Qualche mese prima della Conferenza di Stoccolma, il 12 marzo 1972, presso la prestigiosa Smithsonian Institution a Washington, – ricorda Gianfranco Bologna – “un gruppo di giovani studiosi del System Dynamics Group dell’autorevole MIT, coordinati da Dennis Meadows, presentò un rapporto voluto dal Club di Roma, con un titolo molto chiaro The Limits to Growth22.

(…) La ricerca del MIT si proponeva di definire le costrizioni e i limiti fisici relativi alla moltiplicazione del genere umano e alla sua attività materiale sul nostro pianeta. Si trattava di fornire risposte concrete ad alcune domande fondamentali per il nostro futuro: che cosa accadrà se la crescita della popolazione mondiale continuerà in modo incontrollato? Quali saranno le conseguenze ambientali se la crescita economica proseguirà al passo attuale? Che cosa si può fare per assicurare un’economia umana capace di soddisfare la necessità di un benessere di base a tutti e anche di mantenersi all’inter- no dei limiti fisici della Terra? (23)

Le conclusioni dello studio furono le seguenti:

1) Nell’ipotesi che l’attuale linea di crescita continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l’umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale.

2) È possibile modificare questa linea di sviluppo e determinare una condizione di stabilità ecologica ed economica in grado di protrarsi nel futuro. La condizione di equilibrio globale potrebbe corrispondere alla soddisfazione dei bisogni materiali degli abitanti della Terra e all’opportunità per ciascuno di realizzare compiutamente il proprio potenziale umano.

3) Se l’umanità opterà per questa seconda alternativa, invece che per la prima, le probabilità di successo saranno tanto maggiori quanto più presto essa comincerà a operare in tale direzione. (24)

Occorre fare bene e occorre fare subito, insomma.

Poi, come lo stesso Gianfranco Bologna ci ricorda esplicitamente nel rapporto 2013 sullo Stato del nostro pianeta da lui curato, vent’anni dopo il Club di Roma, “nel 1992, l’anno della “grande Conferenza” dell’ONU su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro, Donella e Dennis Meadows e Jorgen Randers, i tre principali autori del rapporto originale del MIT del 1972, pubblicarono, a distanza di venti anni, un’ottima rivisitazione di quel rapporto. In questa nuova versione gli autori dello studio riformulano i tre punti pubblicati come conclusioni al primo rapporto del 1972 nel modo seguente:

1) L’impiego di molte risorse essenziali e la produzione di molti tipi di inquinanti da parte dell’umanità hanno già superato i tassi fisicamente sostenibili. In assenza di significative riduzioni dei flussi di energia e materiali, ci sarà nei prossimi decenni un declino incontrollato della produzione industriale, del consumo di energia e della produzione di alimenti pro capite.

2) Questo declino non è inevitabile. Per non incorrervi, sono necessari due cambiamenti. Il primo è una revisione complessiva delle politiche e dei modi di agire che perpetua- no la crescita della popolazione e dei consumi materiali. Il secondo è un drastico, veloce aumento dell’efficienza con la quale materiali ed energia vengono usati.

3) Una società sostenibile è, dal punto di vista tecnico ed economico, ancorapossibile. Potrebbe essere molto più desiderabile di una società che tenta di risolvere i propri problemi affidandosi a un’espansione costante. La transizione verso una società sostenibile richiede un bilanciamento accurato tra mete a lungo e a breve termine, e una accentuazione degli aspetti di sufficienza, equità, qualità della vita, anziché della quantità di prodotto. Essa vuole, più che produttività o tecnologia, maturità, umana partecipazione, saggezza.” (25)

Per come testualmente si legge nel rapporto, “le conclusioni del rapporto MIT-Club di Roma rivisitato venti anni dopo rappresentano l’essenza delle analisi, delle riflessioni e delle proposte per avviare, nel concreto, una sostenibilità del nostro sviluppo sulla Terra26”.

I tre eminenti ricercatori, nel nuovo rapporto del ’92, ribadiscono “i punti fondamentali che hanno impedito di indirizzare verso una strada di minore insostenibilità” il modello di sviluppo socioeconomico:

1) La crescita dell’economia fisica è considerata desiderabile; essa è al centro dei nostri sistemi politici, psicologici e culturali. Quando la popolazione e l’economia crescono, tendono a farlo in modo esponenziale. 2) Vi sono limiti fisici alle sorgenti di materiali e di energia che danno sostegno alla popolazione e all’economia e vi sono limiti ai serbatoi che assorbono i prodotti di scarto delle attività umane. 3) La popolazione e l’economia in crescita ricevono, sui limiti fisici, segnali che sono distorti, disturbati, ritardati, confusi o non riconosciuti. Le risposte a tali segnali sono ritardate. 4) I limiti del sistema non sono solo finiti, ma anche suscettibili di erosione quando vengano sollecitati o sfruttati all’eccesso. Vi sono inoltre forti elementi di non linearità – soglie superate le quali i danni si aggravano rapidamente e possono anche diventare irreversibili. (27)

Questo “elenco di cause del collasso” è al tempo stesso, “un elenco dei modi che consentono di evitarli”.

“Per indirizzare il sistema verso la sostenibilità e la governabilità”, si nota nel rapporto, “basterà rovesciare le medesime caratteristiche strutturali:

1) La crescita della popolazione e del capitale deve essere rallentata, e infine arrestata, da decisioni umane prese alla luce delle difficoltà future, e non da retroazione derivante da limiti esterni già superati. 2) I flussi di energia e di materiali devono essere ridotti aumentando l’efficienza del capitale. In altri termini, occorre ridurre l’impronta ecologica e ciò può avvenire in vari modi: dematerializzazione (utilizzare meno energia e meno materiali per ottenere il medesimo prodotto), maggiore equità (ridistribuire i benefici dell’uso di energia e di materiali a favore dei poveri), cambiamenti nel modo di vivere (abbassare la domanda o dirottare i consumi verso beni e servizi meno dannosi per l’ambiente fisico). 3) Sorgenti (sources) e serbatoi (sinks) devono essere salvaguardati e, ove possibile, risanati. 4) I segnali devono essere migliorati e le reazioni accelerate; la società deve guardare più lontano e agire sulla base di costi e benefici a lungo termine. 5) L’erosione dei sistemi ecologici deve essere prevenuta e, dove sia già in atto, occorre rallentarla e invertirne il corso”. (28)

Il dibattito scientifico sull’Antropocene è ormai vivacissimo.

(…) La consapevolezza della dimensione antropocenica nella quale ci troviamo ha condotto tanti scienziati ad approfondire le ricerche e a cercare le soluzioni. Paul e Anne Ehrlich, famosi ecologi della Stanford University, qualche anno fa hanno lanciato un grande progetto internazionale definito Millennium Assessment of Human Behaviour (MAHB) che si è poi trasformato nel Millennium Alliance for Humanity and the Biosphere.

(…) Tra i compiti più importanti delle azioni del MAHB vi è proprio la realizzazione di di- battiti pubblici sulle cause del comportamento autodistruttivo dell’umanità, quali il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, discutendone anche le dimensioni etiche e indagando come l’evoluzione culturale possa dirigersi verso la creazione di una società globale sostenibile.

Il quadro della situazione dei sistemi naturali del nostro meraviglioso pianeta è sempre più drammaticamente chiaro agli scienziati di tutto il mondo e non possiamo rimandare ancora nel muoverci speditamente per cambiare rotta e imboccare la strada di una maggiore sostenibilità dei nostri modelli di sviluppo.

(…) La tutela della biodiversità, la ricchezza della vita sulla Terra, è fondamentale per la so- pravvivenza umana. Il valore sociale, economico, culturale, spirituale e scientifico del- la biodiversità è realmente incalcolabile.

(…) Gli studiosi ci ricordano chiaramente che una crescita economica incontrollata è insostenibile in un pianeta con limiti biofisici evidenti. I governi devono riconoscere le se- rie limitazioni presentate dal PIL (il prodotto interno lordo) come misura e indicatore della crescita e della ricchezza di un paese. Il PIL quindi deve essere assolutamente integrato con altri indicatori ambientali e sociali che diano il senso compiuto di cosa significhi realmente la ricchezza di un paese. Inoltre è necessario istituire delle tasse ecologiche ed eliminare rapidamente tutti i sussidi perversi forniti dai governi alle attività dannose per l’ambiente e il nostro futuro. (29)

Tutto questo, si obbietterà, è valido a scala globale, planetaria, ma che c’entra il rapporto sullo stato del pianeta con la nostra Calabria e i suoi evidenti problemi ambientali ed ecologici?

È lo stesso curatore del rapporto a spiegarlo.

La ricerca scientifica e il dibattito sugli ormai sempre più famosi tipping point (i punti critici) che l’impatto umano può provocare nei sistemi naturali a livello globale, – nota Bologna – si sta arricchendo sempre di più.

(…) Gli scienziati ritengono plausibile il raggiungimento di un punto critico (tipping point) su scala planetaria che richiede ovviamente una grandissima attenzione da parte di noi tutti e una raffinata capacità scientifica di registrare i primi segnali di allerta (…).

(…) Gli ecologi sanno bene che i tipping point esistono e si manifestano negli ecosistemi a livello locale e regionale e tantissime situazioni sono state ormai ben studiate e approfondite. Per fare solo un semplice esempio, se a un lago vengono aggiunte parecchie sostanze nutrienti, le sue proprietà ecologiche tendono a continuare finché il lago improvvisamente entra in un nuovo stato, in una situazione di eutrofizzazione dove le acque da limpide diventano torbide e le comunità di piante e pesci e altri organismi cambiano completamente. Riportare le condizioni del lago allo stato preesistente è possibile ma a costo di sforzi imponenti e costosi per le società umane.

(…) Recentemente altri studiosi, come Barry Brook, Erle Ellis, Michael Perring, Anson Mackay e Linus Blomqvist, pur sottolineando la drammaticità della situazione dei si- stemi naturali dovuta all’intervento umano, non ritengono però che queste condizioni si possano applicare globalmente alla biosfera planetaria. Per avere un tipping point planetario, essi ritengono che le forze prodotte dall’umanità dovrebbero essere praticamente uniformi su tutta la biosfera, tutti gli ecosistemi dovrebbero rispondere a tali forze nelle stesse maniere e questo dovrebbe essere trasmesso rapidamente attraverso i vari ecosistemi nei vari continenti. Persino i fenomeni dovuti al cambiamento climatico, così evidenti in tutto il pianeta, non rispondono a questi requisiti secondo questi studiosi. Alcuni ecosistemi in diverse regioni subiscono, per esempio, prolungati periodi di siccità e altri invece forti e con- centrati periodi di piovosità. Secondo Brook e colleghi, l’umanità sta producendo massicci cambiamenti nei sistemi naturali della biosfera, con effetti diversi nei diversi ecosistemi, comunità o specie. La risposta della biosfera alle pressioni umane è rappresentata dalla somma di tutti questi cambiamenti.

Diventa quindi sempre più importante comprendere e gestire l’evoluzione degli ecosistemi a livello locale e regionale. (30)

Ecco perché il discorso sugli aspetti ecologici globali ha riflessi importanti, secondo noi, anche con quelli regionali di una realtà come la Calabria.

Quello che si rischia, entro il 2050, sono situazioni molto gravi di sofferenza per l’intero genere umano. È estremamente importante un’azione rapida e condivisa per intervenire su cinque grandi elementi che causano la disgregazione dei sistemi naturali e che sono strettamente interconnessi fra di loro: 1) il degrado del sistema climatico; 2) i processi di estinzione delle specie viventi; 3) la perdita della diversità degli ecosistemi; 4) l’avanzamento degli inquinamenti dei sistemi naturali; 5) la crescita della popolazione umana e dei livelli di consumo.

L’avanzamento dei fenomeni di inquinamento come il malgoverno del territorio devono essere urgentemente arrestati, ma per farlo, l’abbiamo detto più volte, serve un cambiamento di cultura radicale.

Secondo Gianfranco Bologna, tutti noi, nel nostro piccolo, dovremmo diventare “soggetti moltiplicatori” di questi messaggi “per cercare concretamente di modificare in positivo gli attuali andamenti dei nostri processi di sviluppo socioeconomico”.

Ma c’è anche un’altro aspetto del “caso” Calabria che, direttamente, coinvolge le politiche del Partito Radicale sull’ambiente. Ed è quello legato alla lotta per il diritto alla conoscenza, per il diritto, cioè, delle popolazioni a conoscere i dati relativi ai rischi geologici e ai rischi ambientali.

«Isolando la scienza dai suoi contesti sociali, non si comprendono le sue relazioni effettive. La scienza» – aggiunge Renn nella sua prolusione citata – «è soltanto una forma particolare di conoscenza. La conoscenza è un aspetto fondamentale della cultura umana, ben più ampio della scienza. La conoscenza deriva dalla riflessione sulle nostre azioni precedenti, consentendoci di progettare quelle future31».

Ai responsabili del pianeta e, in generale, della cosa pubblica, Jürgen Renn fa notare che:

«La conoscenza non ha soltanto una dimensione cognitiva, ma anche sociale e materiale. Può essere comunicata, condivisa e immagazzinata tramite rappresentazioni esterne come congegni, manufatti e testi». Con la rivoluzione scientifica di Einstein, per Jürgen Renn, «vi è stata una trasformazione che ha riguardato non solo la scienza, ma più in generale le strutture della conoscenza. L’evoluzione della conoscenza è prodotta dalle strutture sociali32».

La conoscenza dei dati dell’inquinamento ambientali, la conoscenza dei luoghi a rischio dissesto, la conoscenza della sismicità locale e della vulnerabilità del patrimonio edilizio, sarebbero fondamentali per salvare vite umane oltre che per risparmiare un sacco di soldi. Il diritto alla conoscenza dovrebbe essere garantito, l’abbiamo detto tante volte, come diritto umano inviolabile.

Per capire, invece, quanto poca importanza sia data, oggi, da parte di una regione come la Calabria, alla conoscenza di quei dati ambientali e dell’uso delle risorse naturali che pure dovrebbero essere pubblici, è stato sufficiente andare a cercare sul sito del Consiglio regionale della Calabria nella sezione dedicata all’amministrazione trasparente. Nulla, a marzo 2014, non si trova nulla. Anche delle informazioni ambientali la cui trasparenza, oltreché dalla convenzione di Aarhus, dovrebbe essere ormai garantita dalla semplice applicazione dell’articolo 40 del D. Lgs. n. 33 del 2013, non si sa nulla.

Nell’ambito delle informazioni ambientali, sul sito della regione Calabria, sia che si cerchino i dati sullo stato dell’ambiente, sia che si voglia sapere quali siano i fattori di rischio o le misure incidenti sull’ambiente con le relative analisi di impatto, sia che si voglia conoscere le misure adottate a protezione dell’ambiente, e sia che si cerchi la relazione sull’attuazione della legislazione o, soprattutto, quella sullo stato di salute e della sicurezza umana, la risposta che, in automatico, costantemente si genera, è sempre la stessa: “Sezione in aggiornamento”.

NOTE

1 Jürgen Renn è direttore dell’Istituto Marx Plank per la Storia della Scienza di Berlino, docente di Storia della Scienza all’Università Humboldt e Visting, e docente presso la Boston University. Tra i più conosciuti e apprezzati studiosi del pensiero e dell’opera di Albert Einstein, ha scritto e curato numerosi lavori tra cui, in italiano, il libro Sulle spalle di giganti e nani: la rivoluzione incompitua di Albert Einstein, (Bollati Boringhieri, Torino, pp.360)

2 Il testo della prolusione citato è stato anticipato, in sintesi, nella rubrica Scienza e Filosofia, su Domenica, inserto de Il Sole 24 Ore, Domenica 2 Marzo 2014, n°60

3 Il World Urban Forum 6 è la più importante conferenza a livello mondiale sulle questioni urbane promossa da UN-Habitat alla quale partecipano Capi di Stato, rappresentanti di Governi, esperti, organizzazioni della “società civile”, Università, imprenditori e migliaia di delegati da oltre 160 paesi che si confronteranno sul tema “Il Futuro urbano”

4 Aldo Loris Rossi, L’Antropocene come minaccia alla sopravvivenza del pianeta, Relazione del Partito Radicale, 6° World Urban Forum, 1-7 settembre 2012, Napoli (fonte: Notizie.Radicali.it/node/5234).

5 Per Crutzen, precisa lo stesso Loris Rossi nella sua relazione, «A segnare l’inizio dell’Antropocene sono state la Rivoluzione industriale e le sue macchine, che hanno reso molto più agevole lo sfruttamento delle risorse ambientali. Se dovessi indicare una data simbolica, direi il 1784, l’anno in cui l’ingegnere scozzese James Watt inventò il motore a vapore. L’anno esatto importa poco, purché si sia consapevoli del fatto che, dalla fine del 18° secolo, abbiamo cominciato a condizionare gli equilibri complessivi del pianeta. Pertanto propongo di far coincidere l’inizio della nuova epoca con i primi anni dell’Ottocento» (2005).

6 A. L. Rossi, L’Antropocene come minaccia alla sopravvivenza del pianeta, Op.cit.

7 Ibidem

8 Ibidem

9 Aldo Loris Rossi, L’Antropocene come minaccia alla sopravvivenza del pianeta, Op. cit.

10 Ibidem

11 Ibidem

12 Aldo Loris Rossi, L’Antropocene come minaccia alla sopravvivenza del pianeta, Op. cit.

13 Bologna G. (a cura di), State of the World 2013Is Sustainability Still Possible? – Worldwatch Institute, Edizioni Ambiente, Milano, Agosto 2013

14 Bologna G. (a cura di), La sostenibilità è possibile? Solo con una nuova ccultura e una nuova economia, ne: State of the World 2013 – Op. cit., p.9-13

15 Bologna G. (a cura di), La sostenibilità è possibile? Solo con una nuova cultura e una nuova economia, ne: State of the World 2013 – Op. cit., p.10

16 Bologna G. (a cura di), Op. cit., p.11

17Bologna G. (a cura di), Ivi, Op. cit., p.12

18 Bologna G. (a cura di), L’Uso improprio del termine sostenibilità, ne: State of the World 2013 – Op. cit., p.13

19 Bologna G. (a cura di), Dal 1970 a oggi: la continua inazione ha aggravato la situazione, ne: State of the World 2013, Op. cit., p.14

20 Bologna G., Ibidem

21 Bologna G., Ibidem

22 Meadows D.H., Meadows D.L., Randers J. e Behrens III W.W., I limiti dello sviluppo, Mondadori, 1972.

23 Bologna G. (a cura di), Dal 1970 a oggi: la continua inazione ha aggravato la situazione, ne: State of the World 2013, Op. cit., p.15

24 Bologna G. (a cura di), Ibidem

25 Bologna G. (a cura di), Dal 1970 a oggi: la continua inazione ha aggravato la situazione, ne: State of the World 2013, Op. cit., p.17

26 Bologna G., Ibidem

27 Bologna G., Ivi, p.17.18

28 Bologna G., Ivi, p.18

29 Bologna G., Ivi, p.23

30 Bologna G., ivi, p.25

31T esto della prolusione di Renn J., in sintesi, ne Scienza e Filosofia, su Domenica, inserto de Il Sole 24 Ore, Op. cit.

32 Renn J., in sintesi, ivi